Un colpo mancato Roberto Cagliero La recensione de I promessi sposi, pubblicata nel maggio 1835 sul Southern Literary Messenger, e che qui diamo in traduzione con qualche taglio, è uno dei primi saggi di critica letteraria di Edgar Allan Poe. Mentre stanno uscendo sullo stesso Messenger racconti famosi, come Morella o Berenice, Poe inizia una vera e propria carriera di recensore, attaccando con foga riviste, romanzieri e poeti, accusati di stupidità e spesso di plagio. Più che un senso di giustiNaturalmente Manzoni, come italiano, ha pensato che negli archivi degli Stati italiani minori, ormai quasi scomparsi dalla mappa dell'Europa, si sarebbe trovato del materiale molto simile. Certo gli scontri tra piccoli Stati, anche se per l'uomo politico sono meno interessanti di quelli tra le grandi potenze, forniscono maggiori occasioni per mettere in scena la personalità di un individuo e l'agire di quelle passioni che, in un romanzo, costituiscono il motivo di maggiore interesse. Ma cosa si sa di quegli uomini grandi e valorosi che agirono nobilmente in questo scenario, quando il teatro stesso delle loro azioni è schiacciato e sepolto sotto il pattume della rivoluzione? Estrarli dalle rovine e far sì che il mondo si fermi per un attimo a contemplarne le virtù, ecco un'azione buona e encomiabile. È triste pensare che un periodo di soli due secoli possa frustrare la speranza che animò gli ultimi momenti del patriota e dell'eroe. «Per la patria visse, per la patria morì»; per lui la patria era tutto; ma la sua patria è perita, e lui con essa. Conosciamo tutti le guerre civili inglesi; i nostri cuori si sono infiammati, e abbiamo pianto calde lacrime vedendo le virtù e le sofferenze di chi contribuì a quelle scene; ma se le tradizioni che fanno parte di questo libro sono vere, una storia contemporanea della Repubblica italiana mostrerebbe personalità ancor più degne di simpatia e ammirazione. Il cardiStefano Gensini Linguistica leopardiana Bologna, Il Mulino, 1984 pp. 306, lire 25.000 Antonio Prete Il pensiero poetante. Saggio su Leopardi Milano, Feltrinelli, 1980 pp. 177, lire 17.000 Lf interesse per Leopardi in questi anni sembra andare sempre più di pari passo con la necessaria constatazione della complessità e diversità estreme della sua scrittura e della sua opera. r::s Questo dato di fatto, prima giu- .s &° dicato - come presenza e intrusio1::)., ne di elementi estranei e «non ~ poetici» all'interno di una dimen- -. sione «lirica» nella quale venivano .9 ricondotti i maggiori esiti espressi- ~ Cl() vi - in termini decisamente negati- :§ vi da una tradizione critica intenta j a continue e immotivate separazioni di indagine, volta ad assumere ottiche costantemente separate nell'esplorazione di un corpus letterario così grande e stratificato, è ~ adesso uno dei punti di forza più Ì influenti dell'attuale situazione di ~ studi leopardiani. zia per la letteratura «vera» (concetto che Poe ingloba in una teoria del bello), lo anima una strategia di autopromozione: per giungere alla notorietà Poe si costruisce una fama giornalistica, un'immagine di operatore culturale al servizio del gusto, paladino di una letteratura nazionale di cui egli stesso sarà il giudice inappellabile. Ecco quindi la necessità di farsi conoscere, di emergere come il letterato americano. Il pezzo su Manzoni è un ovvio esempio di questo atteggiamento smanioso, irrequieto: in esso si mescolano nale Borromeo è un personaggio storico. Lo scrittore, ovviamente, vuole dipingerlo com'era nella realtà; gli annali dell'umanità verrebbero scrutati invano alla ricerca di un esempio più glorioso di purezza, entusiasmo e ispirazione morale. Potremmo sospettare che un certo fervore si sia mescolato alla ricchezza delle descrizioni, per salvare l'onore della Chiesa romana. E invece Manzoni, proprio come Lutero, era cosciente degli abusi di quella Chiesa. In uno degli episodi ce ne svela alcuni, di cui eravamo solo in parte al corrente. Sapevamo che c'era qualcosa di strano, ma. ancora non sapevamo con certezza cosa fosse. L'autore ha svelato il mistero. Ha sollevato un velo sotto a cui non avevamo ancora potuto guardare. Avevamo fatto supposizioni, avevamo letto quelle fatte da altri; ma non eravamo sicuri di che cosa si trattasse. Ma ecco la costrizione spirituale, più crudele della tortura fisica: una povera ragazza, vittima del freddo orgoglio di genitori che non hanno neppure bisogno di ricorrere all'autorità né alla persuasione (entrambe da escludersi), viene mandata in convento perché il fratello possa conservare più agevolmente i privilegi ereditari. Tutto ciò ci sembrava incomprensibile e assurdo. Leggendo opere come The Nun della Sherwood, ci pare di avere a che fare con delle congetture. Ma sappiaLa direzione nella quale si muove la critica più recente, a distanza di alcuni decenni dai decisivi contributi di Binni, Luporini, Timpanaro, che dettero il via a un processo di complessiva reinterpretazione, è in effetti quella di un sensibile allargamento di interessi, di una considerevole estensione mesenza troppa chiarezza esposll1va passi analitici brevi, quasi aforistici, una sequenza ininterrotta di citazioni e riferimenti colti, una serie di attacchi polemici contro il tradizionalismo letterario degli americani. Poe sente di dover fare un elenco dei buoni e dei cattivi: ammira Walter Scott, critica Bulwer, Richardson (l'autore del citato Sir Charles Grandison) e Cooper (che per riuscire a eguagliare un romanzo di Manzoni dovrebbe scriverne due). I riferimenti sono volutamente oscuri: Poe vuole farsi notare come erudito, stupire il /etmo invece che la situazione descritta più sopra è vita vissuta. Saremmo ben felici di servircene per le pagine della nostra rivista. Probabilmente verrebbe letta con interesse superiore a quello che noi riusciamo a suscitare; ma ormai è davanti agli occhi del pubblico e non abbiamo il diritto di scaricare Dominique Grandmont i nostri debiti sui lettori, dando loro ciò che già possiedono. Chiediamo soltanto la loro indulgenza, per offrire un breve saggio della forza di questo scrittore. Ef un quadro degli orrori della peste scoppiata a Milano nel 1628. Ci mostrerà forse che, al confronto, la pestitodologica, imposta dalla ricchezza e pluralità di quel tessuto teorico e riflessivo che quest'opera puntualmente esibisce. Posizione assai centrale assume allora quel libro eccezionale che è lo Zibaldone, la cui attenta valutazione diventa determinante ai fini di uria globale comprensione della ricerPaolo Bessegato tore, usare una bibliografia vastissima anche se conosciuta soltanto attraverso le riviste. Il suo non è un sistema filosofico ma un universo immaginario da cui escludere, additandoli nelle recensioni, i propri nemici. In mezzo a questo turbinio emerge, alla fine, anche Manzoni, di cui Poe ammira soprattutto la descrizione della peste. Pochi mesi dopo questo articolo vengono pubblicati due racconti, Re Peste e Ombra, che fanno riferimento a un'epidemia colerica - proprio come quella scoppiata tre anni prima nelle grandi città omericalenza abbattutasi recentemente su di noi era un angelo del perdono. I carri di cui si parla nel passo che segue sono quelli su cui i cadaveri, che non venivano messi nelle bare, erano trasportati a una sepoltura comune, «la più parte ignudi, alcuni mal involtati in qualche cencio, come un gruppo di serpi». I «monal ti» (sic) erano uomini che, guariti dalla peste, venivano considerati immuni e impiegati per seppellire i morti. ( ... ) Il tutto ha una forza ammirevole. Ci spiace dire che la traduzione contiene molti errori. E ci dispiace ancora di più, poiché si tratta di errori dettati dalla fretta. Il traduttore, temiamo, aveva fame; una disgrazia di cui siamo partecipi. Lo stile è in gran parte italiano: con parole inglesi, ma pur sempre italiano. Questo è un grave errore. In altri casi sarebbe imperdonabile. Qui, forse, è compensato da altrettanta bravura. In un'opera come questa, piena di frasi intraducibili, patrimonio della parlata popolare, lo stile conferisce uno strano vigore non del tutto inaccettabile. E c'è di più. Traduzioni simili di lavori simili abituano l'orecchio di chi parla inglese agli idiomi dell'italiano, ed essi una volta naturalizzati arricchiscono la lingua. Ed è proprio in questo modo che la poesia di Burns e i romanzi di Scott l'hanno arricchita in misura inestimabile. La dimestichezza con Shakespeare (il cui inglese non è contemporaneo) è un tesoro di ricchezze, che ca letteraria di Leopardi. Due saggi recenti, diversissimi tra di loro, ne propongono una lettura. L'accurata analisi di Stefano Gensini appare esclusivamente rivolta all'insieme delle teorie linguistiche presenti nei pensieri leopardiani, valutate in termini di «politica linguistico-culturale», e ne. Ovviamente Poe vuole far leva su una situazione recente per attirare i lettori, e sembra ragionevole presumere che anche la recensione del libro di Manzoni risponda, almeno in parte, alle stesse esigenze. Mancato questo colpo giornalistico, lo scrittore non si interesserà più al romanziere italiano, che non verrà più citato nei numerosi articoli che costellano la . sua carriera di critico. (Il testo di Poe appare in Complete Works of Edgar Allan Poe, a cura di I.A. Harrison, New York, AMS Press, 1965, voi. VIII, pp. 12-19). altrimenti andrebbero perdute. La forza di una lingua è nel numero e nella varietà delle frasi idiomatiche. Si tratta di forme linguistiche rese familiari dall'uso e svincolate dalle mortificanti restrizioni della grammatica. Esse consentono a chi parla di essere conciso senza essere oscuro. Il senso di ciò che si dice ellitticamente viene compreso con chiarezza e precisione. Se Featherstonaugh dovesse riprendere in mano l'opera di Manzoni, speriamo che trovi il tempo di correggere certe inaccuratezze, di cui è indubbiamente al corrente; ma siamo sicuri che non vorrà considerare tra i suoi errori le espressioni popolari dell'italiano. Smollett, nella traduzione del Don Chisciotte, ha sprecato con la sua meticolosità un'occasione per ingigantire la forza della lingua inglese. Quest'opera preannuncia ottimi rapporti con i nostri lettori. Ecco un libro che offre quanto Cooper riesce a dare in due romanzi, portato a termine con bravura per lo meno eguale e ricevuto al prezzo ragionevole di quarantadue centesimi! È un numero della Washington Library, pubblicata mensilmente al prezzo di cinque dollari l'anno. Con queste tariffe un buongustaio letterario, per quanto ingordo, può sperare di soddisfare l'appetito librario senza far soffrire di fame i figli. All'autore va la nostra lode, al traduttore e all'editore il nostro ringraziamento. saldamente legate, del resto, all'orizzonte intero delle riflessioni «teorico-filosofiche».Questo aspetto particolare della speculazione leopardiana viene qui considerato come dimensione pienamente autonoma della sua 'poetica', ed è quindi esaminato in quanto tale, inserito in un dibattito che verte su terni e metodologie proprie della filosofia del linguaggio. Così, l'interesse di Gensini alle fonti illuministiche del pensiero leopardiano diventa indicazione dei punti di vista progressisti e «politicamente» impegnati che esso rivela: è il caso degli interventi sulla «questione della lingua», che Leopardi affronta ponendosi al di fuori della logica prettamente retorico-letteraria del tempo, assumendo una posizione «modernamente nazionale», cogliendo il . rapporto essenziale tra questione della lingua e società. O ancora, il caso del dibattito sulla «varietà delle lingue», rispetto al quale Leopardi rivela una posizione di grande apertura, verso la definizione di una lingua con caratteri nazionali, di contro a posizioni più arcaiche di municipalismo linguistico e di priorità del fatto retorico e letterario.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==