Alfabeta - anno VII - n. 74/75 - lug./ago. 1985

tura vantarmi di essere la prima straniera cui sia toccato questo onore», p. 205, e vedi anche p. 209): mai infatti, a quanto ci è noto, simili privilegi furono concessi ad esempio a Madame de Bonnac, la moglie dell'ambasciatore di Francia, che girava per Pera solo se munita di «tutte quelle formalità e quelle cerimonie che rendono la vita impersonale e tediosa» (p. 148). E ppure possiamo essere sicuri che, una volta tornata nei salotti di Parigi dove la incontrerà anche Ais.sé (p. 38), Madame de Bonnac si comportò come «quella gente che passa gli anni qui a Pera senza aver mai visto Costantinopoli ma ha la pretesa di parlarne», come deplora Lady Montagu (p. 208). Poco di grave, se queste chiacchiere fossero rimaste nei salotti, e; soprattutto, se le sue descrizioni non avessero trovato conferma in molti volumi di viaggiatori e non avessero avuto proprio in quegli anni un'eco nelle Lettere persiane. Per quanto riguarda i primi Lady Montagu ha idee e esperienze molto precise: «Ho scritto una lettera a Lady ( ... ) che credo non le piacerà ( ... ). La stizzisce il fatto che io mi rifiuti di raccontar storie come gli altri viaggiatori. Sono convinta che si aspetta che io le parli degli antropofagi e degli uomini che hanno la testa sotto le spalle» (pp. 121-22); «Forse La sorprendo con questa mia descrizione così differente da quelle che conosce Lei, opera dei soliti scrittori di viaggi, sempre pronti a parlare di quello che non sanno. Solo per ragioni molto particolari o in occasioni straordinarie un cristiano può entrare nella casa di un personaggio importante e gli harem sono sempre terreno proibito. Così possono parlare solo dell'esterno, che non dice gran che; inoltre gli appartamenti sono tutti sul dietro, quindi invisibili» (pp. 166-67, vedi anche pp. 152, 165, 177, 188 ecc.). Senonché tutto ciò ha un'eco nelle Lettere persiane: Jean Starobinski nella sua Introduzione mette in evidenza che «Montesquieu ha voluto che Uzbec fosse( ... ) un fedele rappresentante dei costumi familiari persiani (secondo le informazioni precise fornite da Chardin, Tavernier, Rycaut ecc.)» (p. 30). Ecco quindi che, se «il lettore francese è invitato a prendere le distanze per esaminare, dal punto di vista dello straniero, gli usi del suo paese ( ... ), in compenso è ammesso nell'intimità delle sue anime e dei suoi corpi, nella Persia lontana (... ). Nell'immaginario erotico la Persia è vicina» (p. 18) e «il campo erotico serve come luogo di esperienza immaginaria per una teoria generale del potere» (p. 40). Ma come la mettiamo con il dettaglio essenziale che il «campo erotico» persiano utilizzato da Montesquieu non solo è immaginario, al pari ad esempio del Paese di Lilliput la cui 'scoperta' risale proprio a quegli stessi anni, ma è mendace, perché altera e deforma un mondo concretamente esistente e in realtà affatto diverso dalla· raffigurazione datane? L'harem, se prestiamo fede a Lady Montagu - che indiscutibilmente ne sapeva di più se non altro perché l'aveva visitato in modo palese e ufficiale senza penetrarvi surrettiziamente come gli altri viaggiatori - non è affatto il tremendo ambiente dove si sviluppano «nella penombra ( ... ) tutte le varianti del desiderio frustrato, tutte le astuzie della compensazione, tutte le conversioni e perversioni del sostituto» (Starobinski, p. 29), e la vita delle donne musulmane non ha nulla in comune con quella parodia dei conventi cristiani offerta da Montesquieu, senza contare che la società persiana era infinitamente più articolata, complessa e contraddittoria di quanto non appaia dalle Lettere persiane Renato \1inore dove i corrispondenti di Rica e Uzbec non parlano che di sesso e di religione. Tenuto conto quindi che la «teoria del potere generale» di Montesquieu, così come ipotizzato da Starobinski, è stata sperimentata in un «luogo erotico» non solo inesistente, ma, meglio, creato ad arte proprio per la dimostrazione delle tesi stesse, queste ultime non dovrebbero forse essere ridiscusse alla luce di quanto oggi acquisito sul problema (si vedano, ad esempio, le osservazioni di Said, Orientalism, pp. 188 sgg.)? Non essendo esperto di simili argomenti, non mi permetto di rispondere a tale domanda. Viceversa, data la mia specializzazione di 'orientalista', sono quotidianamente condotto a verificare altri esiti del discorso culturale sotteso alle Lettere persiane: seppur diverse nelle forme, nei contenuti e negli obbiettivi, ancora adesso le chiacchiere di Madame de Bonnac e le pagine di Montesquieu e dei loro seguaci ed epigoni permeano e contrassegnano la maggior parte delle letture correnti sull'Oriente musulmano, mentre analisi come quelle di Lady Montagu continuano a essere guardate con malcelato sospetto, quasi a dare per l'ennesima volta ragione al suo acume: «Temo che Lei dubiterà della veridicità delle mie parole, che, lo riconosco, non corrispondono affatto a quel che crediamo noi in Inghilterra. Ma le cose stanno proprio così» (p. 188). M anca qui lo spazio per offrire la riprova dell'attualità di questa affermazione o per discutere sulle sue possibili motivazioni storiche, culturali e politiche. Limitiamoci quindi al rapporto già accennato tra discorso erotico e discorso sul potere. L'esame a luce radente fa intravvedere, oltre agli accennati schemi sul sesso e sugli harem più o meno di comodo, anche un altro filo più nascosto, più confuso, più tortuoso, difficilmente identificabile perché inespresso, ma non meno gravido di prospettive: quello sull'omosessualità. Il Grande Eunuco scrive a Uzbec: «Ho trovato Zachi coricata con una delle sue schiave: cosa proibita dalle leggi del serraglio» (p. 274), e i curatori delle Lettere di Lady Montagu sottolineano che costei «passa l'omosessualità sotto silenzio, né del resto aveva modo di osservarla» (p. 94) - proprio c~me Aissé, che accenna solo a «una brutta storia che fa rizzare i capelli, è troppo infame per scriverla» (p. 52). Indizi, venature di complicata ricostruzione e di ancor più ardua interpretazione, ma che pure esistono. Questi indizi dovrebbero indurci ad andare oltre, non accontentandoci neppure di capire se e perché è vero che le donne turche «hanno più libertà di noi», come affermava Lady Montagu (p. 152) contro ogni credenza nostra di ieri e di oggi. Come per altri aspetti degli eventi orientali, proviamo a cogliere l'occasione per confrontarci anche con un'altra faccia del discorso sul sesso quale è appunto l'omose'.isualità - maschile e femminile -, diffusa in tutto l'Oriente (a partire da quella Grecia che in un certo senso non è né Oriente né Occidente) in forme che - è bene sottolinearlo a tutte lettere - nulla hanno a che spartire con il fenomeno gay di moda da noi. Confrontarsi, dunque, non con le nostre immagini di loro, bensì con quello che loro sono, magari partendo da quel famoso e esplicito passo del Libro dei Consigli (Milano, Adelphi, 1982) dove il sovrano Kay Ka'us ibn Eskandar ammoniva il figlio, nel capitolo su «Come indulgere al godimento» (capitolo per altro tenuto ben separato da quello sul «Come s'abbia a prender moglie» e su «L'arte amatoria»): «Quanto al problema della scelta fra donne e fanciulli, è opportuno non limitare la propria preferenza a un sesso piuttosto che a un altro; può trarsi in tal modo piacere da entrambi, senza che nessuno ti prenda in antipatia ( ... ). Nel periodo estivo, comunque, propendi nei tuoi desideri verso i fanciulli, e riserba alle donne l'inverno, cercando sempre di rispettare un'alternanza stagionale» (pp. 97-98). PoerecensiscMeanzoni I promessi sposi, or The Betrothed Lovers; A Milanese Story of the Seventeenth Century: as translated for the Metropolitan, from the ltalian of Alessandro Manzoni, by G.W. Featherstonaugh. Washington: Stereotyped and Published by Duff Green. 1834. 8vo. pp. 249. L a comparsa di quest'opera ci ricorda da vicino le note con cui la Edinburgh Review, trent'anni fa, iniziava la presentazione di Waverley. Potendo, ce ne approprieremmo volentieri, ma «c'è onore anche tra i ladri!» I rece·nsorinon devono rubare ad altri recensori; e non si tratta forse di furto, se chi prende a prestito non ha niente di valido da offrire in cambio? Possiamo tuttavia spingerci a imitare «il grande Napoleone dei regni della critica» e felicitarci, insieme ai nostri lettori, per la pubblicazione di un lavoro che promette di inaugurare un nuovo modo di scrivere romanzi. Dai tempi di Fielding, inimitato e inimitabile - e di Smollett, che produsse opere talmente diverse da non sembrare neppure imparentate - un succedersi di dinastie ha regnato sui territori del romanzo. Abbiamo avuto la dinastia Radcliffe, la dinastia Edgeworth e la dinastia Scott; ogni famiglia, come quella dei Cesari, è passata dal bene al male, e di male in peggio fino ali' estinzione. Rivoltosi di provincia hanno talvolta mostrato di aspirare al ruolo di rivali: ma si sono presto eclissati. Le eroine delle paludi e gli eroi delle Highlands, o della campagna polacca, non sono riusciti a tenere in vita le loro aspirazioni, anche se riunivano in sé aspetti più ammirevoli dei personaggi civili e di quelli selvaggi. Il motivo, forse, era proprio questo: ci piace leggere cose che possano in parte ricordarci fatti osservati nella realtà. Sir Charles Grandison che indossa un kilt scozzese è solo un'apparizione sconcertante. È vero che di tanto in tanto il giovane D'Israeli ha fatto balenare la luce di una genialità capricEdgar Allan Poe ciosa; ma uno dei suoi capricci è stato quello di frustrare le speranze che aveva suscitato. Ci ha fatto vedere cosa sapeva fare, e questo è tutto. Anche Bulwer si è messo in mostra con un raptus di radicalismo letterario. Ha rifiutato di unirsi a quelli che si vestono con Tommaso Ottonieri gli abiti smessi degli scozzesi e che studiano, come di fronte allo specchio, il modo di imitarlo, quasi con l'ambizione di mettere in mostra i loro furti ( ... ). Temiamo che, dopo aver detto tutto ciò, l'autore dell'opera che abbiamo davanti non avrà motivo di ringraziarci per le lodi. Al contrario, c'è il pericolo di coinvolgerlo nell'astio che forse ci riserva quella cabala che ha dei membri su entrambe le sponde dell' Atlantico. «Tu citami, io ti cito» è la parola d'ordine. Se si dovesse sprecare anche soltanto la metà delle lodi che si innalzano per le opere sfornate quotidianamente dai giornali, finiremmo forse per vedere gli scritti con cui ci siamo divertiti e educati in gioventù su uno stesso scaffale insieme a Tommaso d'Aquino e a Duns Scoto. Gli uomini, che non possono mangiare tutto, non possono leggere tutto; e i petits plats serviti caldi non ci lasciano onorare il roastbeef della vecchia Inghilterra o il prosciutto aromatico della Virginia. Ma sono questi i cibi con cui i muscoli e le membra si nutrono meglio. Stimolano e aiutano la digestione. Ai loro tempi la dispepsia non esisteva. Arrivò con la Gastronomia francese. Siamo forse in errore, se crediamo vedere i sintomi di una specie di dispepsia intellettuale, che nasce dall'esposizione continua ai «bon-bons» e ai «cioccolatini» della stampa? Bene! Ecco invece una cosa a cui non manca la spina dorsale; un'opera di cui tenteremo una specie di sin- 'O tesi, anche se non si può riassu- c::1 .:; mere. 11 meccanismo dell'intreccio non è complicato, ma ogni brano è necessario al tutto. Tralasciare qualcosa è come non dire niente. Sarebbe esagerato affermare che questo romanzo è del tutto originale. Lo scrittore cono- ~ Cl. ~ O\ ....... ~ t ~ - ~ sce bene la letteratura inglese e sembra aver colto almeno un sug- K gerimento di sir Walter Scott. Il ~ paragone è suggerito dal modo in ~ -e cui quest'ultimo utilizza documen- ~ - ti e tradizioni del passato. i::s

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