Lettere di Mademoiselle ~ a Madame C... a c. di Benedetta Craveri Milano, Adelphi, 1984 («Piccola Biblioteca» 169) pp. 230, lire 12.000 Montesquieu Lettere persiane introduzione e note di Jean Starobinski traduzione di G. Alfieri Todaro-Faranda Milano, Rizzoli-Bur, 1984 pp. 382, lire 7.500 Mary Wortley Montagu Lettere orientali di una signora inglese introduzione di Anne Marie Moulin e Pierre Chouvin ed. it. a c. di Luciana Stefani Milano, Il Saggiatore, 1984 pp. 274, lire 30.000 P er coincidenza (ma Giorgio Galli ci suggerisce di andarci cauti con le congiunture apparentemente fortuite ... ) nel 1984 sono apparsi in Italia vari volumi accomunati da punti di contatto forse più o meno evidenti ma tali comunque da stimolarne una lettura a luce radente. Con tale ottica (senza dubbio forzata, ma tuttavia stimolante) è possibile mettere in risalto una trama peculiare che non solo percorre questi testi, ma si ritrova in tutta la nostra cultura moderna e che proprio in questi anni - di nuovo certo non per coincidenza - riappare come un intreccio di nodi resi ancor più cruciali dalle contingenze della nostra epoca. Uno dei punti di contatto è di immediata percezione: la loro forma compositiva a epistolario. Non importa - dal punto di vista che qui ci interessa - il dettaglio che alcune siano lettere veraci scritte per essere spedite a destinatari in carne e ossa, mentre in altri casi si tratta di semplici artifici stilistici. Infatti, anche in questo secondo caso ciò che conta è che «fingere che si pubblichino dei documenti comunicati da viaggiatori (... ) significa appellarsi all'autorità della vita reale ( ... ) significa negare ( ... ) un'origine immaginaria» (J. Starobinski, Introduzione a Lettere persiane, pp. 11-12). Altro tratto comune è che queste opere sono state composte pressoché contemporaneamente, intorno agli anni Venti del XVIII secolo, quando cioè iniziano a delinearsi le luci (e le ombre) dell'Illuminismo. Ed è proprio in questo secolo, anzi esattamente in questi anni, che sorge anche quella scienza il cui oggetto di studio è il terzo elemento che collega i testi, vale a dire l'Oriente. Precisiamo subito: Oriente è parola estremamente ambigua che 2 solo di rado, per non dir quasi -~ mai, sta ad indicare, come vorreb- ~ bero i dizionari, «l'insieme dei paesi asiatici» esteso dall'Anatolia all'arcipelago nipponico. Questo 2 Oriente generico e sconfinato ricS ~ mane uno sfondo sfocato da cui si ]i stagliano i molti Orienti particola- ]' rie limitati (nel tempo e nello spazio) che si differenziano l'un l'altro non tanto per i suoni delle lingue o le forme degli occhi dei loro abitanti, quanto soprattutto per le ~ civiltà che vi si sono sviluppate. l Roland Barthes, cogliendo con ~ l'usuale sensibilità l'esistenza e ereorientalidel700 l'importanza di tali differenze, annotava nell'Impero dei segni (Torino, Einaudi, 1984, pp. 230-31): «l'olio [giapponese] (ma è poi proprio olio, si tratta davvero della sostanza madre dell'unto?)... è secco, senza più alcun rapporto con quel lubrificante con cui il Mediterraneo e l'Oriente coprono la loro cucina e la loro pasticceria». Ecco, è questo Oriente, «parte integrante della civiltà e della cultura materiale dell'Europa» (E. Said, Orientalism, London, Routledge and Kegan Paul, 1978, p. 2), il terzo elemento in comune ai nostri libri. L e tre coordinate così evidenziate (quella formale, quella storica e quella geografico-culturale) costituiscono dunque una delle possibili griglie di racGiorgio Vercellin nello stesso grado: il lettore suo contemporaneo, che poteva senza difficoltà trovare riscontri concreti per il primo, assumeva pure la descrizione del secondo come esatta; mentre il lettore di oggi a sua volta, non potendo verificare alcunché di persona, si basa sul giudizio dei suoi predecessori e accetta perciò di buon grado come veritiere tutte le descrizioni di Montesquieu. Tanto più che le osservazioni parigine di Rica e Uzbec sono corroborate da altre fonti, come le Lettere di Mademoiselle Aissé, la principessa circassa acquistata nel 1698 al prezzo di 1500 livres nel bazar di Costantinopoli dal diplomatico francese Charles de Ferriol, quando aveva appena quattro anni. L'unica cosa orientale rimasta in Aissé sembra essere il ricorCarmen Gregotti cordo tra i tre volumi settecenteschi, dove gli estensori - veri o fasulli - delle lettere hanno scelto di riportare un certo numero di osservazioni, di giudizi, di critiche, di paragoni non solo sulle nuove realtà con cui sono venuti a contatto durante i viaggi, ma pure su quelle che si sono lasciati alle .. spalle. Si rileggano, ad esempio, le pagine di Lady Montagu sulla poesia turca, i suoi tentativi di farla apprezzare ai corrispondenti, tra cui il poeta Alexander Pope, anche «dandogli lo stile della poesia inglese», e i suoi commenti sui meriti e demeriti delle due lingue e delle due culture (pp. 157-60). Non diverso è il comportamento di Rica e Uzbek nelle Lettere persiane: le scoperte delle meraviglie della vita in Occidente sono contrappuntate dai ricordi delle esperienze passate e soprattutto dalle notizie su quanto avviene nell'harem in Oriente. In questo modo, Montesquieu pone i due mondi sullo stesso piano, come esistenti do lontano della nascita tra i monti del Caucaso: eppure, malgrado il suo totale inserimento nell'ambiente di corte, ella «sentiva di non godervi di una cittadinanza a pieno diritto: le era stata cortesemente concessa la parte di spettatrice, non di protagonista» (B. Craveri, Introduzione a Lettere di Mademoiselle Aissé, p. 20). Tuttavia proprio questa collocazione ai margini del privilegio permette alla circassa neofita di Parigi un'estrema estraniazione e una totale assenza di pregiudizi nel descrivere l'ambiente che la circonda: non ha tradizioni da difendere, non ha retaggi da trasmettere (addirittura non rivelò mai all'amatissima figlia nata dalla relazione con il Cavalier d' Aydie il legame che le univa). Viaggiatrice di passaggio alla corte di Francia più che cortigiana-,Aissé si accorge senza preconcetti e senza pudori (il che non vuol dire, però, in maniera cinica o freddamente distaccata) che «tutto quello che accade in questa monarchia annuncia la propria distruzione» (p. 52). Tale constatazione è - come già detto - affatto priva di qualsivoglia rimpianto, né lascia trasparire il minimo interesse per un rinnovamento o per un cambiamento. Dalle lettere di Aissé manca quell'urgenza di riforme che invece costituisce il nerbo delle Lettere persiane laddove l'estraniamento è cercato a bella posta da Montesquieu proprio per esplicitare senza timore le critiche più aspre all'ordine costituito e per sollecitarne uno nuovo. L a giovane principessa-schiava si rivela assai più vicina a Lady Montagu: le due donne descrivono i mondi con cui sono a contatto con grande curiosità e con altrettanto sincera partecipazione affettiva, certo; ma sanno di Equilibrio di giudizio, rispetto dei costumi dell'altro, del diverso, curiosità attiva (inviando a una Lady non identificata le informazioni richieste sulle lettere d'amore turche: «Se la mia curiosità non fosse stata più tenace di qualsiasi altro prima di me, mi sarei vista costretta a risponderLe scusandomi, come ho dovuto fare quando desiderava che acquistassi per Lei una schiava greca», p. 202). E vi si accompagna ironia e autoironia, e soprattutto un atteggiamento di ricerca della conoscenza e del contatto con l'altro nel reciproco rispetto («Ho pensato che avrei deluso la sua [della moglie del Visir] curiosità (... ) se fossi andata vestita in un modo che le era familiare, e perciò ho indossato l'abito di corte di Vienna, che è assai più sfarzoso del nostro», p. Biancamaria Frabotta esserne comunque estranee, semplici testimoni. E se non risparmiano le annotazioni di dissenso, non pretendono neppure di possedere loro la verità da proporre o perfino da imporre. Si legano in questa chiave i giustamente celebri passi di Lady Montagu sull'inoculazione del vaiolo, e ancor più quelli in cui la giovane donna racconta alle amiche lontane la sua decisione di adattarsi alle usanze locali per quanto riguarda la sua seconda maternità: «Ero molto contrariata da questa necessità, ma, avendo notato che mi guardavano con una grande aria di disprezzo, ho finito per mettermi al passo e ho partorito un figlio anch'io» (p. 215); «Non considero questo come una delle mie avventure più divertenti, benché debba ammettere che qui è assai meno penoso che in Inghilterra( ... ). Nessuno sta a letto per un mese, e io non sono certo tanto attaccata alle nostre usanze da rispettarle se si dimostrano inutili» (p. 194). 168; «La signora che aveva l'aria di essere la più importante fra di loro mi ha invitata a sedere vicino a lei e mi avrebbe voluto volentieri spogliare per il bagno. Ho avuto qualche difficoltà a tirarmi indietro perché erano tutte molto insistenti nel loro desiderio di persuadermi. Alla fine sono stata costretta a slacciarmi la gonna e a mostrar loro il busto. Questo le ha del tutto soddisfatte perché ho capito che credevano che io fossi imbrigliata in quell'arnese al punto di non potermene assolutamente liberare e che attribuivano quell'espediente a mio marito», p. 139). È eccessivo supporre che la controparte ottomana abbia colto e apprezzato questa disponibilità, e che proprio perciò alla moglie dell'ambasciatore Wortley siano state aperte porte fino ad allora rimaste sprangate, quali quelle dell'harem? Lady Montagu andava a ragione fiera di simili visite («Ho avuto la fortuna di fare amicizia con alcune signore turche e di riuscir loro simpatica: posso addirit-
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