Alfabeta - anno VII - n. 74/75 - lug./ago. 1985

Yf. ~----- TRANCHIDA EDITORI 2111·,1 \111.-\:\0 - (:()!{\() (:()\IO. Alfonso Sastre LA TAVERNA FANTASTICA Bernardin de Saint-Pierre LA CAPANNA INDIANA (studi della natura) Edgar Lander BELALUGOSI biografia di una metamorfosi presentazione di Gia1drall(() \lanlrnli nelle migliori librerie caseaditrmicearietti Roberto Pazzi CERCANDO L'IMPERATORE Prefazione di Giovanni Raboni «Narrativa» Pagine X+ 176, lire 16.000 Russia 1917. La tragica prigionia della famiglia imperiale. Il reggimento Preobrajensky, sperduto in Siberia, cerca di raggiungere Nicola II... Una figura del Potere svanisce nella tempesta della Storia. Premio «selezione» Campiello 1985. Emilijan Stanev LA LEGGENDA DI SIBIN, PRINCIPE DI PRESLA V Introduzione di Danilo Manera «Narrativa» Pagine 152, lire 16.000 Oltre le verità «astute» e monolitiche del dispotismo politico e del fanatismo religioso, la storia di Sibin e Kalomela ha il fascino di un'avventura della libertà. Olof Lagercrantz IL MIO PRIMO CERCHIO «Saggistica» Pagine 136, lire 18.000 L'autobiografia della giovinezza. Un «romanzo familiare» nel profilo storico della Scandinavia moderna. Silvia Ferretti IL DEMONE DELLA MEMORIA Simbolo e tempo storico in Warburg, Cassirer, Panofsky «Filosofia» Pagine 254, lire 23.000 Le differenze di pensiero e di intento storiografico di tre fra le maggiori figure del Novecento. I concetti di simbolo e di tempo storico nell'impostazione dei problemi di storia della cultura. Distribuzione: P.D.E., DIF. ED., (Roma), Magnanelli (To). e-sui polpacci per non gelare, come i soldati in fuga dalla Russia, che conoscono bene il gelo nevoso. «Non ci credo proprio» ripeto alla ragazza. «Neppure io» mi risponde la ragazza e sono le prime parole dopo il «Sì» con una voce sibilante, un soffio pungente, e spalanca la bocca per ridere e mostrarmi la sua lingua nera, lo stesso colore degli occhi concavi, a punta, ma più larga di quella di un uccello e finisce con uno schiocco. «Sono appena passata in farmacia» dice mostrandomi il pacchetto, «e devo passare da mia madre a casa a portare le medicine». «Allora ci vediamo tra un'ora, va bene? per cenare insieme ... » «Tra un'ora» dice lei, e abbassa la testa (ha denti piccolissimi) in segno di assenso. Ha una nuca ovale. Le prime fitte al sesso. Lei si gira e mi precede verso l'uscita, tutta vestita di lana, ha un sedere molto bello, penso, su gambe molto magre, penso, la mia eccitazione procede con fitte sempre più frequenti, alcune già ricche di piacere, arrivano in gola. Primi sintomi dell'essere sollevato e del precipitare in un vuoto d'aria, come in aereo. Brevissime estasi. Le tocco soltanto un gomito e il dorso della mano sente il suo costato. «Vedi che non nevischia» dice voltandosi. Mi sfiora con la bocca, all'altezza della mia. Sul fondo della piazza (non ci sono più palazzi tra il Duomo e il Castello Sforzesco) il disco solare incandescente sopra la pianura padana. «Il sole ha smesso di tramontare ... » le dico, sorpreso per il ricordo di questa frase che avevo appuntato per una poesia e che non ricordo se ho utilizzato o no. Lei risponde: «Gli eserciti si sono fermati in vista di Milano e bivaccano ... » «È tòrnata la pace» continuo e non so più parlare. Stiamo zitti pochi secondi e chiedo «Tu leggi la Bibbia?». Si sa che in Italia non la legge nessuno. «Mia madre me la legge dal letto, non si può più alzare». «Anch'io la leggo, non ho mai smesso di leggerla... » I cavalli, liberati dai pesi, masticano e riposano. Q uando ci lasciamo, dicendo «Tra un'ora», insieme, sono preso dalla paura che la mia eccitazione proceda troppo veloce. Ho paura che mi succeda quello che ho sentito raccontare a un uomo di pelo rosso con una barba bellissima e occhi azzurri chiari un mese fa in via Manzoni, mentre rideva con un amico: «... eravamo stati lì a discutere tutta la sera, a cena, e dopo, se fare l'amore, sai, con tutti i pro e i contro, finalmente lei si decide, io sono eccitatissimo, lei è già biotta, • n che mi aspetta, io mi spoglio di furia, non ce la faccio più, e quando sono lì nudo anch'io vengo di colpo ... ho cominciato a ridere, a ridere, e anche lei rideva, rideva, non sapevamo che cosa fare, ho cominciato a rivestirmi, lei no, stava lì a guardarmi, senza più ridere, nemmeno si alzava, allora le ho dato un bacio sulla fronte e me ne sono andato, sempre ridendo, ridendo anche in ascensore, e per la strada, da solo, in piena notte, con quel freddo poi, io sentivo ancora un caldo pazzesco ... » Non mi è mai successo, ma se mi capitasse questa volta?. E lui poi, il biondo barbuto, perché· se ne è andato, perché non ha aspettato. Le donne sanno aspettare. Maledetta cultura maschile. Da dove viene tutta questa fretta? E· io ho mai avuto tanta fretta? Ho sempre pensato di no, finché un giorno una donna, amata, mi ha detto che qualche volta sì, ho avu-- to fretta. Allora non c'è salvezza? C'è una possibilità, . praticabile: non pensare mai all'orgasmo, al maledetto, inutile orgasmo. (E se poi arriVa da solo, incontrollato, e senza pia;ere?) Tali i pensieri della paura. Milano sembra una tendopoli abbandor ata, con la tenda dominante al suo centro, il Duomo grigio-perla, fluttuante. Sì, miriadi di tende sbattute dal vento notturno e dentro lumi o buio assoluto o il chiarore di una· luce così tersa da far pensare di essere usciti dalla pianura velata. Così dico alla ragazza che sta entrando in casa: «Ti piace la mia tenda?» Lei sta al gioco, come prima, e dice: «Fuori si lano in questo momento? Che suono prolungato sta emettendo? Ha un significato? È il vento, i cavi dell'alta tensione, le foglie che vengono strappate, miriadi di topi affamati che squittiscono nell'erba, zampettii di eserciti di merli, schioccare di fruste, un ridere prolungato di ragazze e ragazzi che ci stanno ascoltando dietro le altre tende? È l'accumulo delle voci di una immensa tendopoli attraversata da un esercito in pace e da cavalli fasciati? Tendopoli, o punto di passaggio, riferimento per popolazioni nomadi, transumanti (infatti gli stanziali sono qui solo Giancarlo Cardini sentono i cavalli che scalpitano e forse io sono Giuditta e tu sei Oloferne?» Sotto le mura di Milano si sente l'acqua dei fossati che scorre come un piccolo fiume. «Hanno i piedi fasciati, già ho detto piedi, gli zoccoli fasciati dalle coperte tagliate a strisce» dico inseguito dalla mia ossessione. «Ma dietro la parete mobile di una tenda si sentono lo stesso». «E se adesso stesse davvero nevicando? se questa fosse la ragione di un suono tanto attenuato?» «Non può nevicare» risponde sicura, «oggi quando siamo entrati i cavalli luccicavano... » «Mi sorprendi» dico. «Perché?» per rivendere cibi). Così simili a me? E io sono poi così uguale a loro, ai transumanti? «Guarda, se alzi la tenda della finestra non c'è la neve, non è neppure un deserto, non c'è sabbia, non ci sono cavalli con le zampe fasciate, non ci sono soldati italiani prigionieri e in fuga, non c'è ... non c'è ... » La guardo incredulo negli occhi così scuri che sono tutto pupilla. La bocca di serpente? Così tesa. Sibili. Indossa solo la gonna. Il petto per sempre adolescente non ha quasi seni. Capezzoli lunghi, eretti, neri come la lingua. Pungono le dita? PungePaolo Bertetto .. «Già, perché?» «Se non fosse così. non ti avrei invitato» aggiunge. «Ma sei poco più di una bambina, che frase usuale, _ma vera ... così sembra ... » La sua risposta: «Sono troppo intelligente».- Che io sia un miracolato? Che lo-sia lei? Che sia solo,uno specchio? L'eccitazione è dimenticata e sono senza paura. «Apriamo .i pacchetti?» chiede, e . aggiunge: «Voglio mangiare qualcosa insieme a te prima di fare l'amore. Sai,,ho l'impressione che a stomaco vuoto riesca male, come a stomaco troppo pieno, ci ho pensato molte volte, è ·una questione di ritmi». Ma che città sta diventando Miranno il mio petto? «Che cosa c'è allora?» chiedo senza guardare. «Un lago». A lziamo la tenda e guardiamo il lago scuro, immobile. Il vento passa e non lo increspa. C'era da aspettarselo. Al centro un'isola, al centro dell'isola la tendopoli, Milano, tra tutte le ten- -de anche la nostra. Vediamo tutto da fuori perché lo guardiamo dentro il lago. Lo schermo scuro. Città cinturata dalle acque. Le acque la stringono alla vita e non mollano la presa. Una luna agghiacciante la taglia in due. Si dissolve. La mitica alba sta lottando con le brume del lago, rosa e grigio, adesso. Una piccola mano, la sua, si appoggia al mio petto, un dito passa sul mio capezzolo eretto. Mi spinge verso il letto, più che un letto è un grande materasso appoggiato sul pavimento, candido. Si toglie la gonna e la lascia dietro di sé. Sale sul letto e sopra di me cammina a quattro zampe. Mi punge con _la lingua nera. Per un attimo mi lecca come fossi il suo vitello. Nella finestra rimasta aperta la luce nitida di un lago ora perfettamente azzurro. Lei mi porta il sesso sopra gli occhi e ripete: «Guarda». O mollusco, o attinia, occhio di orchidea, perfino un nome latino mi passa per la mente: Reziza vesiculosa? E il mio Pha/lus impudicus, allora, sta bucando la terra? Pulsa con ritmo lentissimo. Cadono gocce di succo di mela. O indicibile, io ti parlo lo stesso! «Non posso vedere bene» mormoro, «la luce è troppo bassa». Lei si rovescia sul fianco, si apre del tutto e ripete: «Guarda». Mi sollevo sui gomiti, mi metto sulle ginocchia, prendo uno specchio e dico: «Così vedi anche tu insieme a me». Pulsa più forte, come ci arrivasse il terminale di un'arteria, adesso. Come all'interno di una caviglia. Ma è tutto chiuso, inestricabile, attorcigliato, con mille trappole, intrecci grigi e rosati. Poso lo specchio accanto al suo corpo e chiedo: «Ma tu sei vergine?» Lei dice forte: «Sì!», e io penso: «Troppo tardi». Troppo tardi per fuggire, per castrarmi, per gettarmi nel lago. Troppo tardi perché? Le sue cosce sono chele che mi tengono prigioniero. Prigioniero? Niente affatto. Le dico: «È troppo tardi, per fuggire, per castrarmi, per gettarmi nel lago... » Lei risponde: «Fai quello che vuoi, puoi scegliere ... ». Sempre più stretto, più prigioniero. La penetrazione avviene lentamente come se lei non fosse vergine. Si apre mentre sto entrando. I mille nodi si sciolgono a uno a uno, senza fatica. Si dilata e si richiude poco a poco. Sto scomparendo dentro di lei. Un ultimo comico pensiero: «E la mia identità?» Parola come un guscio vuoto. Nel lago, come una sirena maschio, un tritone. Sento i colpi della sua coda sulla schiena. Sembra che l'acqua del lago ci attraversi senza soffocarci. La tenda si solleva e gli abitanti tutt'intorno ci guardano. Non c'è modo di staccarci. Il sole scalda la mia schiena e la sua, una dopo l'altra, man mano che ci rovesciamo l'uno sull'altra. Non riescono a staccarci. Qualcuno ci sta provando, due o tre donne prese da pietà. Pensano che stiamo per morire. Poi uomini robusti e decisi. Anche vigili urbani, col fischietto. «L'amore è pubblico oppure non è» dice un'altra donna che cerca di tenere lontani i vigili e gli strappa i fischietti dalla bocca. Sembra vero, penso, se ami, ama al centro di una piazza. Lei mi dice: «Sta andando molto bene». Mi penetra un orecchio con la punta della lingua. Poi comincia a schioccarla lentamente come per imitare i cavalli al passo. Così fanno anche i bambini. Quando ci alziamo e cominciamo a camminare insieme nessuno tenta di fermarci. I gusci vuoti delle identità sono in frantumi sotto i piedi di tutti i presenti. All'orizzonte della pianura lombarda i ciuffi giallolucenti dei pioppeti autunnali. Migliaia di uomini e donne laboriosi stanno uscendo dalle tende per andare a guadagnarsi la giornata. Il diritto alla vita. Molte altre donne stanno a casa a covarla e pensano, come tutte le donne, che ogni vita mancata sia un'occasione perduta per sempre.

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