Alfabeta - anno VII - n. 74/75 - lug./ago. 1985

ralismo linguistico: «Saussure si è ispirato in parte all'economia che, alla sua epoca, insisteva soprattutto sulle prime (con Pareto, che seguiva Walras)». E (a parte il rapporto discutibile di Pareto con Walras e il suo lavoro di netto distacco dell'economico dal sociale) le «prime» sono semplicemente le leggi di equilibrio rispetto a quelle di sviluppo. E ci sarebbe dunque una prevalenza dell'equilibrio sullo sviluppo. Non in Gadda. Peraltro Saussure era manuale corrente di linguistica in Svizzera, mentre noi stavamo sotto Croce. Se Gadda possiede una precisa idea della distanza dal referente, e dell'istituto sociale della Lingua, che è proprio della Linguistica strutturale, per cui può muoversi a un certo tratto «negli scacchi come nella langue», quasi corrispettivo al Cours saussuriano, perché stupirsi a tal punto da farne non un apprendimento gaddiano ma un paragone teorico addirittura? Solo per un motivo, credo: perché così il nesso fra l'invenzione espressionistica di Gadda e il livello linguistico, decidente nell'epoca con semiologia come disciplina-madre, è un nesso assoluto. È proprio questo, per precisione, che non mi va, sia in senso teorico sia nel riguardo di Gadda, che è autore così lordo di materia. Io leggo la Cognizione dove il decentramento del soggetto è beli'esposto, già con la tensione matricida che viene narrata solo dalla Battistina osservatrice ... E leggo un punto più lacaniano addirittura che freudiano: «l'io si determina, con la sua brava monade in coppa, come il cappero sull'acciuga arrotolata sulla fetta di limone sulla costoletta alla viennese» (p. 126). È più un io mistificatore che un io servo freudiano. E leggo: «sognare è fiume profondo, che precipita a una lontana sorgiva, ripùllula nel mattino di verità» (p. 119) - col grande ironico stile gaddiano per nulla felpato. Non devo dunque dire che Gadda è freudiano? O come mai non si cita la pagina 31 dell'ed. Roscioni dove Gadda nell'interesse -per l'evoluzione dice niente meno: «si sente che tutto ciò è vero»? Certo, libri ne legge curiosamente vari. E, da martinettiano, •Schelling e Fichte, non Hegel. E come scienziato ingegnere è anzitutto neopositivista, e dice nella versione prima su «il dato»: «è ciò che ha carattere di esteriorità per un certo aggruppamento conoscitivo (... ): per la ragione umana è dato la cosiddetta materia»; «le cosiddette percezioni forniscono dati o sono dati». Neopositivista nel fondo, attento alle relazioni del campo come un geodeta, dubbioso sulla materia intesa in senso grezzo perché sa che essa è movimento, lettore di filosofia moderna classica tanto da preferire la sostanza come concetto essenziale, perciò spinoziano e dunque materialista (pre-dialettico), è assai chiaro e profondo il fatto che non si decida fra Aristotele e Mach, se si vuole, fra «le due tesi» sulla conoscenza epistemica del reale: perché esse, dice, sono un più o un meno blando «coordinare apprensioni fortuite, di che resulti il tessuto realtà» ... Indubbiamente vi è in Gadda inoltre una esasperazione che è caratteristica del sentire che è avvenuta «la morte di Dio». Ed è investito dalla crisi: ·contro• la quale starebbe, come· sanità, il fasci- • smo... Cerca di rispondere all'unità perduta, ammalandosi dietro ciò che accade. E sostiene come punto centrale della sua ·tesi sul sistema (p. 7): «il flusso fenomenale si identifica in una deformazione conoscitiva, in un 'processo' conoscitivo»; e ancora «procedere, conoscere, è inserire alcunché nel reale, è, quindi, deformare il reale». Certo non è hegelo-marxista, esclude l'ottimismo, e ogni facile rivincita degli umili, che ama e racconta. Pur accettando il processo, in cui si agisce... Ma a questo punto occorre la più netta distinzione nel campo proprio e non in quello filosofico: fra l'espressionismo letterario di Gadda, che è marcato dall'espressione in luogo della forma armonica, ed è la linea anticlassica matura e novecentesca, e, dall'altra parte, il suo linguaggio a sua volta «deformato», conoscitore e inserìto nel reale, con aspetto di linguismo. Questo è una spia della sua deformazione, passiva e attiva, e della crisi e del soggetto policentrico: e viceversa, indubbiamente, si ricava da questo la sua mentalità modernistica di prima fase, la sua radicalità, in una versione struggente dell'espressionismo, quasi pollockiana, con tubetti linguistici strizzati e sgocciolati. Non c'è la definizione di esso - come pare presso Contini - tramite l'atto spastico di linguaggio, che poi si fa norma andando a ritroso, e con solo i testi a esistere e non i concetti. C'è una rigorizzazione espressionistica che, presso di lui, passa nei vari punti della struttura e, fra essi, come già in molti poeti, passa a livello della sillabazione. •Esclude intanto i procedimenti disseminativi estremi, così come • gli a.ssettigeometrizzanti, che, nella referenzialità dominante in sede letteraria (al contrario che nella sede artistica visiva ·dove prevale l'evocazione), sono rari e difficili, o insoddisfacenti. (Relazione al Convegno su Gadda nell'Università di Roma in ottobre 1984) Il senso materialistico dell'espressionismo A. (Avviamento) Io ritengo (e ripeto) che l'espressionismo nel suo supporto è connesso con la critica del soggetto quale si svolge in vari passaggi, presso Marx anzitutto, e presso Nietzsche e quindi Freud; ed è connesso con la relatività di certezza sul mondo reale esterno, propria della ricerca scientifica già nello stesso Circolo di Vienna. E invece di essere inteso per una svolta decisiva l'E è stato interpre- (che non è più poco) ... Per l'altro verso, si dà una messa in dubbio, fondante per le ricerche successive, sulla motivazione esterna, in favore della soggettività come tale, nel proprio atto di percezione. Il linguaggio è decisivo in quanto è coassiale, non è assunto in termini assoluti. Questa appare oggi una messa in dubbio che è nel suo campo rigorosa, nient'affatto idealistica, né irrazionalistica ed esistenzialistica. È rottura di un'illusione armonica. E oggi non ci stupiamo più della diffidenza espressionistica verso la civiltà storica, produttrice di merci, che .. ,:::-.... ,,,.,., •. ,.,.,._: ·=•:.:;.•;.•.-.-.•,•:·:·:":':":·:···· · ..... ,~~,.-- Marianna Troise tato come ancora confuso o preliminare, e cioè genericamente corruttivo della classica armonia, nel lavoro storiografico degli ultimi decenni. Mentre il nuovo comincerebbe più oltre, dove è netto·- a mio parere è insieme semplificato - il distacco del nome dalla cosa. Si può dire oggi che il mondo (l'altro dal linguaggio) ci sfugge, o noi ne sentiamo o prendiamo distanza, mettendo sempre più il «reale» fra virgolette. Forse il ricorso di interesse per l'E .si lega a questa situazione valutativa in continuo slittamento. Certo l'E controverte l'elemento della certezza inconsapevole, della quiete ambientale, e carica di valore la svuota l'ambiente, lo spazio, umano già. È spesso accaduto che un'assolutizzazione del linguaggio (anzitutto quella heideggeriana, col suo potente ritorno negli anni Settanta, e altri modi successivi di «nominalismo») ha preferito scivolare su questo punto cognitivo difficile, come se fosse scontato o di partenza: per andare altrimenti a speculare sul tipo di deformazione che viene detto «allegorico», per merito di Benjamin, mentre esso indubbiamente su quel punto si regge. Certo, va detto inoltre come importante che la struttura linguistica in quanto tale, azzerando ogni a. .-:=::i:!:!:\:(:!///:[:(:(:(:ftl:::: .. ::••• 1 : 1 ••• 1 ::.:::·:•:::::.:::;(;:;(1:rm Gruppo Carme presa soggettiva, che serve al soggetto per approssimare qualche cosa, di cui. è tuttavia. parte; così mi sembra. Oggi questo punto va posto in evidenza: Per un verso il soggetto decentrato di Freud è già ben presente nell'E, prima che in altre operazioni novecentesche; .e di questo si tratta,'accanto a una critica dell'esistente storico, non si tratta di ribellismo generico in senso trasgressivo individualistico scatto psicologistico e anche soggettivistico, è l'altro polo inventivo, geometrico o --astrattod, elle ricerche del Novecento (e ha avuto priorità nel '50-60). Ma esso non è la contraddizione del primo, iniziale e decisore: che non si restringe tanto .in un senso informale o gestuale, quanto propone una procedura generale con distanza presa, con fondo elementare, con atto che è per un verso impulsivo, per un altro consapevole (i due livelli insieme e senza appiattimento). E si presenta in vari modi, subliminare, aggressivo, volante. B. (Base teorica di due diversi rapporti cognitivi e linguistici col «reale») Occorre ora dire che in ciò risulta pure un nesso col principio del materialismo, sia pre-dialettico e dialettico che, oggi, neo-evoluzionistico; se si bada ad alcune precisazioni. E certo la relatività della verità emerge dopo Popper come critica dell'induzione, della verifica sperimentale e dei sensi, con un elemento di scetticismo; e investe certo anche la verifica intersoggettiva linguistica dei protocolli o delle asserzioni di base che è stata propria del neopositivismo. Ma, posta materialisticamente, in una sede cioè dove l'individuo o soggetto agente è condizionato a più livelli (biologico, sociale, ecc. ecc.) ed è un prodotto fin qui terminale del processo evolutivo, la relatività del vero o dell'esterno o del mondo non ha un timbro scettico ma rigoroso. Vi è infatti una spaccatura o Spaltung per la quale il mondo esterno (non la realtà, che è ignota e ci comprende) è eterogeneo e asimmetrico rispetto al pensiero; e il pensiero procede per approssimazione a investigare quello. Non siamo necessitati di un ricorso a Saussure, nel quale si voglia ipotizzare un trattamento che distanzia il discorso dalle cose. La letteratura è un angelo, certo, se si vuole intendere che l'angelo è collocato nella spaccatura. È forse l'angelo di Benjamin, che qualche anno fa Cacciari assomigliava al segno (o ipersegno )? Non so più. Così pure non so se valermi dell'utopia del Bloch che rintuzza Lukacs trovando nell'espressionismo un uso contadino del demoniaco ... E lo stesso con Bachtin, dove il grande gioco a più voci è condotto non si sa più se dall'angelo o dal demonio, insomma istanze l'una e l'altra giustamente non pure, ma pulsionali e intellettuali. Ciò che comunque non va posto è un distacco assoluto o nominalistico, al livello simbolico e linguistico. Ma, per me, questo distacco, che si dà, non vale per se stesso, è-un aspetto-del distacco-radicale fra pensiero e mondo. Per quanto riguarda lo scetticismo, se si vuole dir tale la posizione prevalente dell'epistemologia di oggi, dove è forte la scepsi sul «reale» attingibile con una teoria e le sue deduzioni, si deve tener conto che esso è il supporto, già antico, di ogni soggettivismo radicale negativo del «reale» stesso. E consiste nel ritenere che le percezioni, restringendosi a ciò che appare, non ci danno indicazioni oggettive sul mondo, sia perché tra loro opposte, sia perché ogni discorso su di esse è contraddittorio. Dunque si circoscrive l'analisi nell'ambito del soggetto (che, come scrisse già Sesto Empirico, ha «il 'potere' di contrapporre in qualsiasi maniera fenomeni e intellezioni»). Non questo è il criterio di soggettività dell'E. In esso vale il dubbio, piuttosto, sullo stereotipo e sul convenzionale di tipo storico; con influsso da Schopenhauer per la supposizione di un livello strutturale o altro, profondo o elemen- , tare, dal quale decorre, come e quanto è possibile, escludere sovrapposizioni e fissazioni. Questo è un soggettivismo. (non filosofico ma percettivo e artistico) che è connesso all'approccio sul «reale», con• una problematicità nuova. E una omologia si rende riconoscibile fra tale ricerca, che inizia qui, e la messa in dubbio della verifica sperimentale nella teoria della scienza.

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