Tendenze di ricerca/ Arti Criticadellasimmetria ~Tendenze di ricerca» In continuazione e sviluppo del convegno a Palermo «Il senso della letteratura» (9-11 novembre 1984) abbiamo dato inizio a una serie di scritti sulla ricerca in diversi campi: Aldo Gargani (epistemologia) e Karlheinz Stockhausen (musica) nel n. 68 (gennaio '85), Eugenio Barba (teatro) e Antonio Attisani (teatro) nel n. 69 (febbraio '85), Julian Beck (teatro) nel n. 72 (maggio '85). Qui riprendiamo la discussione e l'interesse sui problemi della ricerca con uno scritto di Gilio Dorfles, un saggio di Francesco Leonetti (che ha lunghezza pari a un «testo» teorico di Alfabeta) e con alcuni testi letterari di Nanni Balestrini, Giorgio Ce/li, Giampiero Comolli, Aldo Gargani, Amedeo Giacomini, Antonio Porta. * * * «Tyger! Tyger! burning bright I In the forest of the night, I What immortal hand or eye I Could frame thy fearful symmetry? » William Blake, Songs of Experience (1794) D i fronte allo slittare di molte forme artistiche tradizionali verso il mediocre, il ripetitivo, il revivalistico, esiste nonostante tutto un desiderio e un bisogno di produzione e fruizione artistica che finisce per inglobare altri settori cli solito trascurati dagli «studiosi dell'arte». Si tratta di tutto l'immenso coacervo di produzioni cromatiche, acustiche, plastiche ecc. che circondano l'uomo nella sua esistenza quotidiana, che entrano a far parte del panorama urbano, della pubblicità, dell'abbigliamento, della segnaletica stradale ecc. e che non possono non essere considerate come «estetiche».· Ma - ed è questo che vorrei costituisse il nocciolo del mio discorso odierno - l'aspetto più evidente del deteriorarsi delle diverse operazioni artistiche è dovuto, in definitiva, all'assoluto prevalere d'un' «arte di consumo», d'un'arte di massa rispetto all'arte colta, all'arte elitaria. E ciò che caratterizza queste forme di arte di consumo (jazz, rock, trasmissioni televisive tipo Festival di Sanremo, fotoromanzi, musica di consumo ecc.) è il loro tendere verso modelli che potremmo definire «tradizionali», lontani dall'avanguardia e anzi succubi delle norme o pseudonorme ereditate dal passato. È questa, oggi (contrariamente a quanto molti reputano), la tendenza cui soggiace gran parte della produzione artistica massificata che attraverso i mass media trova una sua divulgazione ubiquitaria. È insomma una tendenza basata su moduli conformisti, sulla cristallizzazione di forme e formalismi desueti anche se talvòlta camuffati con linguaggi in apparenza innovatori, e sopra una globale tendenza (potrei osare qui un termine pericoloso ma certamente idoneo a riassumere tutta la situazione) alla simmetrizzazione. Sia ben chiaro che intendo qui «simmetrico» secondo un'accezione molto lata: non solo secondo quella che è l'effettiva impostazione scientifica, geometrica, fisica, del termine (simmetria speculare ... bilaterale, traslatoria, rotatoria ecc.) ma secondo quella che è una valenza metaforica, traslata, dello stesso. Simmetrico, dunque, come equivalente di ordinato, consuetudinario, equilibrato, senza scosse, senza scarti ... e asimmetrico, per contro, come equivalente di dinamico, anticonformista, innovatore ... H o sollevato altre volte e altrove (cfr. «La scelta dell'asimmetrico e l'asimmetria delle scelte», in Dal significato alle scelte, Torino, Einaudi, 1973, pp. 215-35) alcuni quesiti attorno al problema dell'asimmetrico nell'arte dei nostri giorni, ponendo in rapporto alcuni aspetti della civiltà estremo-orientale (soprattutto se basata sullo Zen) con il concetto di asimmetria, e anche rifacendomi ai ben noti studi - ormai divulgatissimi - sull'asimmetria dei nostri emisferi cerebrali e quindi sul contrasto tra apparente (e in parte effettiva) simmetria del corpo umano e sostanziale asimmetria delle aree corticali del nostro encefalo e della conseguente asimmetria nel nostro modo di percepire, ideare, valutare. Siccome negli ultimi tempi gli studi attorno a questi fenomeni si sono venuti moltiplicando, invadendo anche le pagine dei rotocalchi, mi sembra superfluo insistere su questo punto. Mi sembra invece opportuno sostenere come oggi - in un periodo di netto declino della creatività e di esiziale conformismo in tutti i settori della produzione artistica massiva - sia molto interessante cercar di scorgere la possibilità d'un rinnovamento dell'arte e di de-cristallizzazione del pensiero umano attraverso una decisa spinta verso quello che potremmo definire (anche per adottare la dizione proposta dagli ideatori di questo convegno) «strappo», o «scarto», di una concezione estetica basata sull'ordine e la simmetria, e dunque svolta della creatività verso una situazione di disequilibrio e di disimmetria. Un'accesa polemica attorno al rapporto simmetria-asimmetria si è già avuta a più riprese per quanto concerne l'architettura e in genere il pensiero architettonico. Mi permetto di rimandare il lettore a un acuto saggio di Philip Tabor, «Fearful Symmetry» (in ·Architectural Review n. 1023, maggio 1982; il titolo è preso da un sonetto di William Blake), dove si fa un'accurata analisi dei problemi riguardanti la simmetria nell'architettura classica e in quella moderna, con riferimento all'abbanGilio Dorfle dono della stessa da parte del Movimento moderno e di molti architetti postmoderni, e a certe illazioni di Bruno Zevi che assimila simmetria e· passività o, addirittura, omosessualità. Ma non è soltanto l'architettura moderna a costituire un banco di prova per una cosiffatta impGstazione·estetica. Ritengo che sia necessario oggi tener conto di quanto sta avvenendo in molti altri settori un tempo considerati come di scarsa importanza rispetto all'universo estetico (come il jazz, la grafica pubblicitaria, le sigle televisive, e via dicendo), che forse non possono essere considerati come appartenenti al «bello» in senso tradizionale, ma che sono decisamente incombenti sulle nostre percezioni visive e auditive, sicché l'intero edificio d'un'estetica odierna deve fare i conti con simili elementi pseudo- o meta-artistici, eppure direttamente interessanti la nostra sensorialità esteticamente specializzata. Ecco perché, se vogliamo discutere sull' «apparizione del bello» (secondo la dizione che gli ideatori di questo convegno hanno proposto), sarà opportuno identificare lo «strappo» o « scarto» nel bello con un «brusco cambiamento», con una «differenza» (non necessariamente nell'accezione derridiana) che si venga - o meglio che si dovrebbe venire - a evidenziare in vista d'un recupero di nuove possibilità espressive ed esperienziali. Juan Hidalgo E,, dunque, solo attraverso un'esaltazione della differenza o anche dello scarto, dello strappo, nella strutturazione dell'opera, che si può realizzare una nuova valenza espressiva. L';pera d'arte originata da tale scarto, da tale differenza, da tale intervallo, sarà ovviamente asimmetrica perché resulterà dalla rottura d'una simmetria preesistente. E, se questo è vero, è anche lecito azzardare una diversa interpretazione - rispetto alle tantissime già offerte - circa il valore di alcuni tropi retorici, e della metafora in particolare, in quanto fattori di creatività estetica. È vero, bensì, che attraverso la metafora (e la metonimia ecc.) è possibile aggiungere un elemento conoscitivo ulteriore rispetto a quello fornito dal consueto linguaggio denotativo: è vero che solo attraverso la traslazione immaginifica della metafora è possibile spingersi oltre quei concetti che la mera razionalità d'un linguaggio comune o scientifico riesce a convogliare. Ma questo arricchimento del significato attraverso la figuralità retorica, attraverso l'irrompere dell'immaginario, non è dovuto tanto alla analogia tra i due termini (tra veicolo e tenore, se vogliamo valerci della terminologia richardsiana), come di solito viene affermato, quanto alla differenza, allo scarto, alla asimmetria che si instauri tra gli stessi. Quando si afferma che la metafora agisce per similarità (e la metonimia per contiguità), che l'immagine di cui la metafora è l'incarnazione mette in evidenza la similarità tra due oggetti (due situazioni, due eventi ecc.), si trascura di evidenziare proprio il processo opposto: ossia che, se una profonda differenza, un notevole scarto, non esistesse tra gamba del tavolo e gamba umana (o tra temporale meteorologico e temporale dei sentimenti, e via dicendo), non meriterebbe neppur conto ricorrere a un tropo retorico per esprimere tale somiglianza. La similarità esiste, ovviamente, ma proprio perché l'immensa differenza, l'asimmetria tra i due elementi messi a confronto, la rende avvertibile e «scandalosa». Quindi diciamo che tanto metafora che metonimia sono forme retoriche in quanto sottolineano e s'appropriano dello scarto che si istituisce tra due elementi, e se ne valgono a un fine poetico, estetico e persino noetico. Se approfondiamo e allarghiamo la nostra ricerca circa gli effetti che tale «strappo», tale scarto, provoca nella creazione artistica in generale - e in quella d'ogni avanguardia in particolare - ci accorgeremo come, sempre di più, sia evidente la carica inventiva, il potenziale espressivo, che sta alla base di questo fattore differenziale, intervallare, disimmetrico, tra due termini posti a confronto. È, dunque un merito e un compito dell'estetologo di mettere in luce, di evidenziare, gli scarti, gli strappi, che si determinano in ogni nuova creazione degna di questo nome. N on è un caso, d'altronde, che l'effetto rassicurante della simmetria si possa considerare tanto alla base del pensiero religioso come del pensiero delirante (cfr. Roger Bastide, Des fausses fenètres ou de la symétrie dans la pensée morbide, Convegno dell'Unesco alla Fondazione Cini, 1971: «La constitution de symétrie à l'intérieur du monde fabuleux qu'il [il malato mentale] va construire obéit à la meme valeur sécurisante de la symétrie que nous avons déjà constatée dans la religion» ( ... ) «La pulsion compensatrice vers l'ordre, prend la forme de l'arrangement symétrique ou de la répétition rhythmique des memes gestes»). Sappiamo ormai da numerosi studi che la coazione a simmetrizzare è propria di molti schizofrenici (basta scorrere qualche disegno di tali malati mentali per constatarlo) e che a un'analoga volontà simmetrizzante si possono ascrivere i gesti ripetitivi, le iterazioni, le perseverazioni, di molte nevrosi coatte (Zwangsneurosen). Nella simmetrizzazione temporale, come in quella spaziale, il soggetto cerca e trova un'ancora che gli permette di sottrarsi all'angoscia dell'asimmetrico. Ed è appunto per una ragione analoga che tante forme d'arte sacra, di misticismo, e persino di pratiche iniziatiche, si basano sulla ripetitività e sulla simmetria delle azioni rituali e delle iconologie religiose. Si ponga mente a tutta l'immensa iconologia cristiana e alla costante tendenza a dare al fedele una sensazione di equilibrio e di sicurezza attraverso la staticità e l'euritmia delle figurazioni religiose e del rituale: potremmo dire persino che la simmetria, in questo caso, sta alla divinità come l'asimmetrico sta al demoniaco. In molte forme di delirio religioso l'ammalato cerca un riparo alle lusinghe del Demonio - si veda l'antica «Teufelsneurose» di Freud (S. Freud, Eine Teufelsneurose des XVI]. Jahrhundects, 1923) attraverso la ripetizione simmetrica di gesti, di preghiere, di cerimoniali coatti. Ma se, come ho detto, possiamo ammettere che molta arte mistica, magica, esoterica, del passato sia impostata sopra un elemento di netta simmetrizzazione (per le ragioni dianzi accennate), a-maggior ragione dobbiamo scorgere, nell'attuale fase del pensiero estetico, un'urgenza di rottura, di «scossa» inferta - o da inferire - alla stessa. Ecco perché è così pressante rendersi conto di alcune essenziali differenze esistenti tra il pensiero estetico odierno e quello del passato, di un certo passato (soprattutto per quanto riguarda la nostra civiltà occidentale). Se non vogliamo soggiacere agli effetti rassicuranti - ma coartanti e annichilenti (spesso psichedelicamente annichilenti: si veda il rock e certe musiche di consumo) - della simmetria (e in genere dell'arte di consumo e di massa che, come ho detto più sopra, è quasi sempre riconducibile a moduli e pattern «rassicuranti», simmetrici, «tonali»); se vogliamo invece riconoscere all'intervallo, allo scarto, allo strappo, una valenza sostanziale nell'attivare nuove espressività artistiche, dobbiamo accettare l'ipotesi che un'arte basata sulla stasi e sull'assenza di fattori diastematici (intervallari) faccia da pendant a una situazione patologica di coartazione e di pensiero delirante che trova rifugio soltanto in una ambigua coazione a simmetrizzare.
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