Alfabeta - anno VII - n. 74/75 - lug./ago. 1985

Giapponeavanguardiadel futuro a cura di Ester de Miro Genova, 26 aprile-31 maggio 1985 N elle esperienze di punta dell'arte contemporanea giapponese presentate nella mostra di Genova, l'interazione di una rigorosa organicità strutturale con una assoluta perfezione linguistica costruisce una sintesi fascinatoria e luminescente assolutamente singolare. Le installazioni elettroniche di Yamaguchi e di Tono e i film di Matsumoto e di Itoh, il lavoro di design di Eiko Ishioda (art director nel Mishima di Schrader), gli ologrammi di Setsuko Ishii, rappresentano insieme la perfezione metastorica del falso e il suo superamento. Nelle forme simboliche più recenti del Giappone, infatti, pare che l'invasione dei simulacri teorizzata dai filosofi europei, da Klossowski a Baudrillard, abbia trovato non solo una piena realizzazione, perdendo ogni connotato di perdita di valore, ma anche una sorta di normalizzazione storica, che esclude tutte le vecchie remore umanistiche. I meccanismi esattamente calibrati forniti dall'elettronica creano una couche di interrelazioni totali in cui ogni determinazione acquista nuove valenze simboliche. Le strutture estetiche prodotte hanno perduto ogni carattere di affermazione e di tematizzazione della modernità, a favore di un unicum senza soluzione di continuità, in cui convivono perfettamente i sistemi più sofisticati di trasferimento delle immagini e la dimensione della natura, le tracce del regno vegetale e animale e la trasformazione dello spazio intersoggettivo in spazio informativo. Sono forme simboliche che superano la contrapposizione tra passato e presente, moderno e postmoderno, avanguardia e tradizione - che catalizzano ancora la qualificazione estetica nel mondo occidentale -, per proporre una sorta di infinito futuro in cui le contrapposizioni e le alternative sono risolte in un quadro di nuova significazione. È un orizzonte translucido puro, abitato da ologrammi multicolori (le installazioni di Setsuko Ishii) o dall'impalpabilità delle registrazioni di ombre e silhouettes sul derma dell'acqua (Aqua-demik di Tono) o dalle sculture info-ambientali o info-costruttive di Yamaguchi. Un mondo che ha superato l'alternativa tra involucro e volume, e presenta sagome ipo-fenomeniche, istantaneità multiple, manifestazioni luminose racchiuse dentro contorni continui, con duplice effetto di proiezione e recezione di luce e di atmosfera, forme iridate, montabili-smontabili, aerodinamiRoberto Mussapi che ed elettroniche. Moduli conchiusi in sé, con contorni curvilinei, bilanciamenti centripeti, attraversati dall'energia, e dai meccanismi soft dei· relais elettronici, strutture morfo-atmosferiche, spettri morbidi, aerodinamismi gelatinosi, artificiali-concreti, omogenei-oggettuàli. Opere in cui le forme del moderno e del classico si fondono in un nuovo orizzonte estetico che non ha nulla del bric-à-brac postmoderno, ma ha già attinto la forma conchiusa di un organismo dislocato nel futuro. A ll'interno della manifestazione genovese, lo spazio più rilevante è tradizionalmente lasciato al cinema sperimentale, che ha presentato, accanto al ricupero di due rarissimi classici dell'avanguardia storica giapponese (Jujiiro e Kurutta lppeiji di Kinugasa), una personale di Terajama, un'altra personale dedicata al cinema sperimentale realizzato in Giappone dal critico americano Donald Ritchie, nonché un'ampia selezione della ricerca filmica più recente. L'accostamento dei film di Ritchie con i film giapponesi sembra fatto per suggerire immediatamente una comparazione tra le caratteristiche fondamentali dello stile dell'underground americano (rappresentate in forma mediocre ma esemplare dalla-ricerca di Ritchie e le linee essenziali della sperimentazione nipponica. Pur nella loro estrema modestia, i film di Ritchie si inseriscono perfettamente in un clima di ricerca 'calda', alternativa, visionaria, utopico-esistenziale, desiderante, che non solo ha avuto una rilevanza estrema nell'underground americano, ma ne ha forse costituito il filo rosso più evidente, in una linea che va da Markopoulos a Jack Smith, dal primo Kenneth Anger a Ron Rice, a Taylor Mead, ecc. I fantasmi ossessivi e le immediate immagini di desiderio, le costruzioni di cattivo gusto tardo-surrealiste e le contemplazioni voyeuristiche che caratterizzano quel modello linguistico americano, sono infatti sostanzialmente assenti anche nelle esperienze giapponesi più visionarie e caotiche, più composite e multiformi, come, ad esempio, la ricerca di Terajama. In Terajama, infatti, convivono certamente determinazioni immaginative diverse, suggestioni dell'avanguardia storica europea e dell'underground americano, tecniche e soluzioni visive di matrice surrealista o espressionista, mescolate a immagini Kitsch e a visioni improvvise di grande suggestione. Ma il lavoro sul visibile di Terajama ha un'altra complessiLiesl Uivary - - g1appones1 tà e un'altra forza non solo nei confronti delle povere cose di Ritchie, ma anche rispetto alle altre esperienze dell'underground americano. Per Terajama l'inquadratura è lo spazio specifico in cui esprimere la propria inventività inesauribile e paradossale. Terajama procede per accensioni di intensità, introduce elementi incongrui, spiazza l'attenzione e lo sguardo dello spettatore mediante improvvise apparizioni o dislocamenti improbabili. Le porte di Rodin, una vecchia signora con l'orologio rotto, un giovane in un mucchio di carbone, una vecchia nuda su una cyclette arrugginita, un giovane calvo che posa ripetutamente lucertole sul corpo di una donna nuvramondo translucido che è insieme trasparente e compatto, plurimo e seriale, geometrico e assolutamente formalizzato. Matsumoto, Itoh e gli altri artisti non solo producono una visione sintetica in cui vengono compiutamente integrate tecnologia e natura, ma, di più, studiano e rendono visibile la radice. dell'illusione cinematografica, che ~ insieme esaltata nella sua forza fascinativa e nella sua ambiguità e pienamente esibita. In Connection Matsumoto riprende un passaggio di nuvole con lenti particolari che frammentano i piani visivi, invadendo progressivamente lo schermo che all'inizio è nero. Nello stesso tempo divide in settori diversi la visione, sezionandola in forme multicolori e Arrigo Lora Totino da, alcune donne molto truccate con grandi parrucche di riccioli biondi, libri di tutte le dimensioni nascosti in cunicoli o esposti sulle mura di un palazzo si mescolano con labirinti d'erba ricavati all'interno dello schermo, giochi sistematici di luci e di ombre che mascherano gli oggetti e gli eventi mostrati, angoli di ripresa assolutamente anomali che deformano il profilmico. Il fatto è che la ricerca di Terajama è insieme sul visibile e sull'invisibile, è un'avventura anche caotica nell'inventività visionaria e una ricerca sul suo dissolversi nel1'ombra. In Terajama, a differenza degli autori americani, la volontà di vedere al di là non è mai disgiunta dal gusto di nascondere la visione, rendendola incerta e problematica. F orse più interessanti e sicuramente più direttamente proiettate sul futuro risultano le ricerche di Matsumoto, di Itoh, di Nieda e di Hagiwara. Non solo e non tanto perché questi autori utilizzano il video e il computer per rielaborare all'infinito l'immagine e renderla sempre più complessa e sempre più perfetta; ma perché il loro cinema crea un soJacques Roubaud realizzando in uno spazio delimitato anche effetti di flickering, nella prospettiva di costituire un puro visibile di grande suggestione. In Spacy Itoh opera una ricognizione sistematica sullo spazio di una palestra vuota, dapprima analizzandola zona per zona, poi cogliendola come una totalità e immediatamente straniandola, riducendola en abfme grazie all'inquadratura di una fotografia della pa-· lestra stessa, collocata su un cavalletto in mezzo allo spazio ripreso. La fotografia della palestra è inquadrata ripetutamente mediante un rapidissimo zoom in avanti, che continuamente passa dalla ripresa dal vero alla fotografia, per poi riaprire sulla palestra e poi ancora sulla fotografia, in una sistematica dialettica di sfondamento della riproduzione e di avventura nell'artificiale rinaturalizzato, che illustra l'illusione cinematografica e ne palesa la profonda enigmaticità. L'immagine è dentro l'immagine, dietro l'immagine, e il reale è soltanto una parvenza che si produce nell'immagine, un elemento adatto a rafforzare l'immagine, non la sua origine. E la visione filmica appare, anche quando è referenziale, come un processo e una dimensione totalmente artificiali, Giuseppe Guglie/mi che utilizzano il materiale fenomenico come una mera funzione compositiva. Ma forse la proposta più rile- . vante dell'intera manifestazione è stata la proiezione dei due film di Teinosuke Kinugasa, Jujiiro (Incrocio) e Kurutta Ippeji (Una pagina di follia), unici esempi di cinema d'avanguardia nel Giappone degli anni Venti. Sono film che non rinunciano a una struttura narrativa di fondo e introducono la sperimentazione linguistica all'interno di uno sviluppo diegetico preciso, secondo un modello di scrittura più vicino al Caligari, a Ottobre o a L'Inhumaine che a Entr' acte o a Vormittagspuk. Ma sono film di una ricchezza di invenzione e di una capacità di sperimentazione e di ampliamento delle potenzialità espressive del cinema davvero eccezionali. Jujiiro e, soprattutto, Kurutta lppeiji meritano di essere considerati al livello delle grandi opere dell'arte muta, per il rigore della ricerca sulla visione e l'intensità della dinamica ritmica. Kinugasa lavora contemporaneamente sull'immagine e sul montaggio, realizzando da un lato complesse e calibrate forme di composizione del visibile, e dall'altro esperimenti di montaggio, ora rallentato, ora accelerato, ora ritmico', ora quasi «intellettuale», che non hanno nulla da invidiare alle ricerche di punta del cinema europeo degli anni Venti. Anche perché Kinugasa riesce a sintetizzare efficacemente le complesse suggestioni di Ejzenstejn con il modello dell'impressionismo francese, fondato sulla composizione ritmica e sulla «musica .delle immagini» - come diceva Gance - , e il modello espressionista 'tedesco, impegnato in una esplorazione della plasticità della visione e delle strutture formali .dell'immagine. Si tratta di film che presentano, tra l'altro, sovraimpressioni con movimenti di macchina in direzioni opposte, panoramiche con intrecci di inquadrature a fuoco e fuori fuoco, magari concluse su un'inquadratura di gusto astratto, sovraimpressioni con campo e controcampo nella stessa immagine, segmenti di montaggio velocissimo che imprimono un ritmo incandescente al vedere, composizioni visive in cui i referenti si dispongono secondo modelli formali astratti, a volte combinate con concatenamenti· di inquadrature particolarmente serrati. Sono esperimenti di scrittura della visione in cui tutto, anche l'invenzione linguistica più inattesa, è ordinato in una forma particolarmente elaborata e ogni inquadratura, ogni procedimento tecnico ripensa le potenzialità espressive del cinema. Mbaden Machiedo

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