costa &nolan Sam Shepard Scene americane Rock Star Il bambino sepolto Vero West a cura di Paolo Bertinetti Joe Orton Farse quotidiane Ciò che vide il maggiordomo Intrattenendo il signor Sloane Il malloppo • a cura di Massimo Baciga/upo Leon Battista Alberti Apolosmi ed elogi a cura di Rosario Contarino presentazione di Luigi Malerba Rossana Bossaglia La Riviera Ligure Un modello di grafica liberty con un saggiodi Edoardo Sanguineti a giorni jn libreria Nina Kandinskij Kandinskij e io presentazione di Pontus Hu/ten Edizioni Costa & Nolan Genova Via Peschiera 21 te!. (010) 873888/9 Distribuzione in libreria Messaggerie Libri LIVIO GARZANTI UNACITTÀ COME BISANZIO Narratore misurato, equilibrato, sapientissimo Giorgio Bàrberi Squarotti ( La Stampa) Uno scrittore forse scomodo, certo singolare e autonomo nel panorama della letteratura italiana d'oggi. Attilio Bertolucci ( Panorama) C'è uno scrittore, narcisista e pungente, secco e intricato, che ha trovato la propria intonazione identificatrice. Giuliano Gramigna (Corriere della Sera) Una apprezzabile sigla stilistica personale ... . Un penetrante, ossessivo, narcisistico e 1ns1emesevero, bisogno di confessione. Geno Pampaloni ( Il Giornale) ~I LONGANESI&C!~ riemerge la qualità materiale del sonoro che la musica era solita nascondere sotto l'orpello delle sue ingannevoli mozioni. La nostra adesione va alla nuda •sostanza dell'evento sonoro ritrovata negli atti che lo adempiono. In tale contesto qualcosa della vecchia immaginazione e del vecchio lessico può essere trattenuta. Ma si intende che tali apparizioni valgono anch'esse come dei residuati di una sintassi e di una espressività non più in vigore, sono a loro volta dei meri gesti; non già dei vagheggiamenti, bensì dei reperti di un passato che allo stato attuale della ricerca ha perduto di senso e resta soltanto testimoniato da comportamenti postumi. I n Masse: omaggio a Edgar Varèse Manzoni applica su larga scala una tecnica riguardante la capacità degli strumenti della famiglia dei legni (flauto, oboe, clarinetto, fagotto) di produrre, oltre agli usuali suoni singoli, dei suoni multipli, ossia due o più suoni contemporanei, nonché una varietà di trascolorazioni timbriche durante un suono tenuto. A lui interessa, anche in questo caso, il tipo di sonorità: non già la gamma e il gioco delle valenze interne, l'eloquio o il colloquio di questo e di quel suono multiplo, di questo e quel colore timbrico, ma la qualità del consistere fonico comune, il carattere generale. Della tecnica in questione egli non riscontra tanto le seduzioni timbriche, né men che meno il potenziale contributo all'arricchimento di una dialettica, ma essenzialmente l'omogeneità dei processi. Insomma, non i momenti distinti e memorabili irpmediatamente disponibili all'articolazione di un discorso che appena si avviasse sarebbe già sospetto, ma lo stadio conchiuso e sufficiente ove quella tecnica si riconosce nell'accumulo di modalità uniformi di comportamento, allorché il suono emerge coi connotati di un campione di materia. La materia si definisce, appunto, dalla massa da cui si preleva, dall'assembramento di atti omologhi che presi a sé, delibati nella loro singolarità, avrebbero vita precaria, invocando la sistemazione in un organismo espressivo tutto da sviluppare secondo un ordine di discorso che ha ormai perso ogni credito. Lo stimolo espressivo o dialettico andrebbe a offrirsi, infatti, soltanto all'ipotesi di codesto e alla sfiducia che l'accompagna; invece la massa realizza subito la concretezza della materia, vale a dire una certezza prima e tangibile, già fin d'ora appagante. Ciò per spiegare che all'adozione della tecnica dei suoni multipli e di quelli timbricamente cangianti, che fornisce cemento all'orchestra di Masse, è insita, ancora una volta, l'idea base della materia sonora, intesa quale percezione autentica della realtà musicale, oltre l'inerzia di una comunicatività che si considera scaduta. Quel che Manzoni immediatamente trova, con molti del nostro tempo, è l'avvenuto rovesciamento, per cui ciò ch'era il soggetto è affondato nell'anonimo e ciò che si dava come generalità si è coagulato in solida sostanza. Il suono multiplo, il trapasso timbrico, che ancora i nostri padri avrebbero denominato un «materiale», al modo stesso come avrebbero detto di un tema, di una serie, di un soggetto, per l'appunto, con tanto di controsoggetto, si smarriscono nella moltitudine, mentre il modo di essere collettivo si condensa acusticamente in materia prima effettiva. Manzoni, mirando a essa, tratta dunque il fenomeno di massa in cui si concreta. Così, per quanto riguarda i suoni in proposito, egli non si affissa a questo o a quello, ma ai tipi di produzione. Conta, a costituire materia, l'attività caratteristica che li rende presenti. Senonché, in Masse, c'è anche il pianoforte solista. Vuoi il rapporto inevitabilmente drammatico che esso instaura con l'orchestra, vuoi la sua natura di strumento temperato per eccellenza, pongono il pianoforte in aperta contraddizione con tutta l'impostazione materica fin qui descritta. L'intervento di esso reca allo scoperto una disponibilità alla significazione che l'esperienza assoluta della massa vorrebbe annullata e che invece ci accorgiamo covare ancora al suo interno. Fatto sta che l'impressione complessiva è quella del trascorrere di una grande materia in cui sia rimasto impigliato il brandello, appena discernibile, di un qualche rado messaggio. E ppure noi non ne si prova un'urgenza, né un'umiliazione. Qui sta l'indole, secondo me, della musica di Manzoni. Perciò ho parlato di eventualità di significazione, o per meglio dire di potenziale atteggiamento significativo, e non di impulso, vocazione o rimpianto. Se di questi si trattasse ci ritroveremmo a sguazzare nella solita pozzanghera espressioGiovanni Raboni e Paola Nobile Di questa non sopita potenzialità lo strumento solista ci avverte come il sintomo più esposto, essa però si estende sull'intera partitura. Solo che ruolo e costituzione rendono il pianoforte più riluttante al livellamento di massa. Perché è vero che esso concorre alla generale composizione di densità e di volumi fonici, e che si adopera a dissolvere il temperamento mediante una scrittura estremamente spessa di blocchi armonici intesa a ingenerare una sensazione di suono bianco (in elettronica si chiama così il suono che contiene, in modo statisticamente uniforme, tutte le frequenze comprese nella gamma udibile da 20 a 20.000 Hz), ma già il virtuosistico tour de f oree da questa richiesto all'esecutore senista, intenti a baloccarci con le barchette di carta (e di salvataggio) che hanno nome aspirazione e nostalgia, stravolgimento e repressione, denuncia e infine, perché no, rivoluzione. Per fortuna Manzoni vede le cose più seriamente. Egli fa a meno del trauma e punta sul sicuro. Per lui quello ch'è stato è stato e non serve piangere sul latte versato. La sua è la musica del fatto compiuto. La cognizione sensibile della materia in tanto è certezza e positività in quanto rimane tutta presso di sé e non sviluppa emotivamente forze centrifughe. Semmai mostrerà tale comprensione da ammettere al suo livello anche il morto automatismo, la carta straccia dell'antico codice. Iolanda Insana gna un'affermazione individualistica in contrasto con la condotta d'insieme. Sovente la materia apportata dal solista conserva, nella sua difficoltà d'esecuzione, la memoria dell'antagonismo tradizionale. Eppoi, di quando in quando, può emergere dal suo informe una ribattuta di nota o di accordo, un andamento polifonico, un ritmo involontario, un tratto concertante caratteristico, la sagoma di un'armonia, di un ritorno, di una parentela, di un suggello. Molto meno, l'orchestra conosce pur essa analoghi pronunciamenti: un pedale acuto, un contrappunto, musica da camera e quant'altro. Già ho parlato di gestualità residua: appunto, nella sua musica si potranno incontrare di simili reperti. Ma non diversi dalla qualità del tutto. Il poco che vi si trattiene non affoga, è unificato. E non esprime disperazione o impotenza, al contrario: nella condizione in cui si sorprende esprime la confortante fiducia in un concreto immediatamente toccato dopo la caduta di ogni falsa finalità. Così coopera anch'esso alla materia. Ed è già una bella consolazione che questa non sia più una finzione mentale, ma si dia lì reale alle orecchie, con l'offerta di fondamento che avanza. Con la realpolitik della sua creazione Manzoni· fa intendere che il terreno sotto i piedi non è tanto una questione di paesaggio, quanto la possibilità di camminare. Che si dimostra col camminare medesimo. La sostanza della materia manzoniana si concreta sensibilmente come atto in cammino, come fare acustico. Un fare ch'è la materia stessa, e che dunque né si applica, giacché è l'identico di questa, né smette finché la musica dura, giacché vi si espone in quanto tale, né può concedersi a tregue o ad automatismi, pena il dissolversi nella disattenzione, passando la mano all'ottusa inerzia del magma fonico. Un fare, un camminare, un procedere che hanno, anzi, •a essere indefessi e rinnovati a ogni istante, affinché la materia che costituiscono, consistente nell'attività, viga nell'evidenza delle loro operazioni. La musica del dato di fatto, come ho chiamato quella di Manzoni, o del fatto compiuto, può perciò meglio esser designata, volgendola all'infinito, la musica del darsi da fare o di un fare da compiersi. Quindi di un ricercare incessante di qualcosa che, essendo da scoprire, sempre più avanti, è il nuovo per sé, l'ideale del nuovo. E eco le ragioni del «nuovo», che Manzoni persegue con insistenza quasi ossessiva. Ed ecco le ragioni della «ricerca», che in Manzoni denota, strutturalmente, la natura della materia ch'egli viene componendo, nel senso che essa si percepisce come un frugare senza posa nelle viscere del sonoro (degli strumenti, delle voci, dell'elettronica) in traccia del nuovo da scovare, che ce n'è sempre. Ciò che suona, di Manzoni, la sua materia, è codesto irrequieto rovistare. Importa, essenzialmente, il moltiplicarsi a tutti i livelli dell'azione ch'è materia di ascolto. A questo proposito segna un ulteriore sviluppo l'Ode, in cui l'azione ch'è materia di ascolto volge ad acquisire una dimensione multipla, strutturandosi in decorsi su più strati. Ciò che si nota nell'Ode è l'ammissione di una figuratività che pareva bandita dal lessico di Manzoni ed esclusa dall'immagine stessa di matericità. In questa partitura si avvertono, infatti, eventi melodici, ritmici, contrappuntistici che non suonano quali sperduti relitti d'un mondo scaduto, al modo di quelli galleggianti in Parole da Beckett e in Masse, bensì si intendono con nettezza quali parti organiche dell'azione. Ma ciò deriva proprio dalla costituzione a più piani del fare acustico, il quale impone più fitte incombenze operative, onde ne sorga allestita l'effettiva materialità. Il fatto è che le cinque fasce di scorrimento parallele e indipendenti su cui si disseminano i comportamenti esecutivi dell'Ode, e i cicli reciprocamente sfasati di ciascun canale fra coordinate verticali e perturbazioni intermittenti, implicano tale frequenza di situazioni da richiedere un ampliamento dell'orizzonte attivo, sino a includere fra le apparizioni in campo anche quelle di scritture formalizzate, al culmine di continui carat- "t- <"'I teriali che da sfondo e da informi ~ possono portarsi in primo piano e diventar figura, o viceversa. .s ~ t::I. Resta, comunque, l'agitazione ~ °' laboriosa di base, che integra pur ....., queste nell'accezione manzoniana -8 di materia. Esse rispondono alla <5 necessità di espandere la sfera del- j l'attivazione sino alle soglie della ]:i perspicuità, all'interno di un pen- ~ siero compositivo che si è reso l(: quanto mai complesso e vuole spa- ~ zio per estrinsecarsi; senza che si i:: allenti la pressione del compiersi ~ (>) sonoro, la quale, anzi, si dà più .e:, che mai intenSa. g ~
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