Giacomo Manzoni Parole da Beckett ( 1970-1971) per due cori, tre gruppi strumentali e nastro magnetico Coro da camera della Rai Orchestra Sinfonica e Coro di Roma della Rai Maestri dei cori: Mino Bordignon e Gianni Lazzari Direttore: Bruno Maderna Ode (1982) per orchestra Orchestra Sinfonica di Milano della Rai Direttore: Ernest Bour ltalia/Fonit-Cetra ITL 70098 Stereo HiFi, 1983 Masse: Omaggio a Edgar Varèse ( 1977) per pianoforte e orchestra Maurizio Pollini, pianoforte e Berliner Philharmoniker Direttore: Giuseppe Sinopoli Deutsche Grammophon Digitai Stereo 2532 023, 1982 e ome chiunque abbia ormai superato ogni avanguardia, anche Manzoni ha imparato a rifiutare sia l'usuale dialettica, sia l'immagine sonora in sé contemplata, a respingere cioè sia le ragioni di una logica, sia quelle di un gusto che considera ideologicamente compromessi. Egli diffida di una mentalità e di una psicologia che sa essere le forme di una falsa coscienza e cerca oltre di esse un reale fondamento sonoro. GiacomMo anzoni, lamusi~gpno,s;itiva L'idea, in lui assillante, della ricerca e del nuovo è provocata da codesta realtà sonora, che, per essere attinta, deve venire scoperta sgombrando il terreno dalle vecchie abitudini. Né basta desistere da una falsa espressività, più o meno aggiornata: neppure più basta cercare tardivo rifugio presso il cosiddetto «negativo», affidandosi agli effetti di una constatata incapacità di comunicazione. Occorre invece, per Manzoni, mirare in primo luogo a una certezza materiale, e la sua composizione intende esplicarsi in funzione di tale esito, offrendosi come luogo d'esposizione di tale sicurezza. Suo obiettivo essenziale, comune alla post-avanguardia, è la consistenza ultima e rigorosa del sonoro spoglio da qualsiasi pregiudizio linguistico ed espressivo; è quanto resta di concreto, malgrado tutto, allontanato ogni equivoco ideologico. E che cosa resta?, Per quanto concerne lo stile di Manzoni resta ciò che rimane ad esibirsi in Parole da Beckett, quello stesso, cioè, che mostra Beckett di parole che non hanno più senso: il fatto che ciò nonostante siano pronunciate, il gesto che le produce. Del significato di codeste parole dobbiamo dubitare fortemente (dal momento che l'avranno perduto, visto che la loro dissociazione e la loro ambiguità, per ciò stesso che sono, continuano a presupporlo), non possiamo però dubitare della loro corporeità ossia dell'atto tangibile per cui dette son dette. Anche non capite esse si presentano e consistono nel comportamento che le adduce, e se sospendiamo un giudizio circa il senso o non senso di simile dire che si porrebbe nell'ordine dell'oggetto da giudicare e-sarebbe dunque un pregiudizio, la registrazione superstite di quel comportamento non teme revoca o smentita, perché è un dato di fatto. '. .,. /'"~7 Mario Grasso Ora, il gesto, come unico dato di fatto in tanto vacuo parlare, vale per Beckett quale segno di un destino irreversibile di sclerosi esistenziale, e si accompagna all'ossessiva incombenza di un metafisi- .co collocato fuori scena. Proprio perché unico e di fatto, esso è, per Beckett, ciò da cui non v'è scampo. In Manzoni, invece, la medesima situazione dà luogo a un'interpretazione opposta: l'imprescindibile da cui non v'è scampo, il dato di fatto del gesto sonoro, gli si rivela il dato finalmente sicuro su • cui fare affidamento, ovvero proprio quel materiale che avanguardia e neoavanguardia musicali erano andate ipostatizzando da mezzo secolo, e che adesso, sì, si dona storicamente reale. Tale offrendosi, in quanto residuo concreto di un commercio espressivo e speculativo ieri fiorente. Non è più una finzione di comodo, il materiale: è ciò che ci scopriamo addosso appena tentiamo di esprimerci, più o meno riuscendovi. È un fare qualcosa. E se per Beckett questo unico resto è una tragica certezza, per il compositore è la riconquistata certezza, è il certo che ci si ritrova. e, è un fondamentale ottimismo nella musica di Manzoni, giacché egli non guarda alla concentrazione nel gesto come al momento estremo della disintegrazione linguistica, come fa lo scrittore (al riguardo il musicista non ha rimpianti né nostalgie), bensì come all'ingresso in una realtà, in un mondo sonoro nuovi, tutti da scoprire. Ecco, in Parole da Beckett, alcune delle prescrizioni per le voci dei due cori: «esplosive», «sibilanti», «palatali», «mormorio», «brusio», «risata», «senza vibrazioni delle corde vocali», «nota cantata In alto: Jsidore Jsou, Catherine Caron e Roland Sabatier. Nelle altre foto: Momenti della performance di Isou ad libitum», «glissando continuo ad libitum su vocali non timbrate, passando gradatamente al parlato», «note acutissime miste (timbrate [altezze ad libitum] e non); vocali miste»; e analogamente per gli strumenti: «violini: col legno battuto (senza crine!)», «viole: battere polpastrelli sulla tavola», «contrabbassi: arco glissato continuo ad libitum in su e in giù (varie corde)», «corni e trombe: frullato d'aria e battere pistoni (respirare ad libitum ma non simultaneamente)», «chitarra: note ad libitum rapide, in su e in giù, evitare le corde vuote; colpi p sul legno ad libitum», «arpa: colpi f irregolari. Battere su corde gravi», «organo: battere rapidamente sulle tastiere mute» ecc. È un vario affaccendarsi, il cui appello fonico è dato essenzialmente dal richiamo a un'operazione materiale. I risultati sonori non sono lì per un'economia drammatica, né per impressionare naturalisticamente, ma per avvertire che succedono. Tipico di Manzoni è il procedimento consistente nel moltiplicare e nell'accumulare un certo carattere esecutivo fino a generare una fascia sonora brulicante di quel tipo di avvenimento, sì da esibire musicalmente il modo di un'attività in corso. Di tutti i predicati attribuiti al fenomeno sonoro l'unico non fittizio è, per Manzoni, quello dell'accadere, e le sue azioni vocali e strumentali ne sono l'indicazione. In maniera che al nostro ascolto
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