Alfabeta - anno VII - n. 74/75 - lug./ago. 1985

..... r°'l M. Dummett Filosofia del linguaggio. Saggio su Frege a c. di Carlo Penco Casale M., Marietti, 1983 pp. 346+ XLII, lire 39.000 Gottlob Frege Alle origini della nuova logica a c. di Corrado Mangione, Torino, Boringhieri, 1983 pp. 228+ XVIII, lire 45.000 S arà vero? Dummett dice che «solo con Frege abbiamo stabilito qual è il vero e proprio oggetto della filosofia». Pretese del genere ritornano spesso nella storia della filosofia, ma si sono sempre rivelate illusioni da filosofi. E Dummett ne è consapevole e risponde: «È facile scommettere che io soffra di un'illusione simile nell'avanzare la stessa pretesa per Frege. A questo posso offrire la risposta banale che ogni profeta ha da dare allo scettico: il tempo lo dirà». La tesi di Dummett è molto forte. È vero che Frege è considerato uno dei massimi logici della nostra cultura. Ma non è usualmente considerato un grande filosofo. Eppure, per Dummett, Frege è il fondatore di una nuova era filosofica, un filosofo di importanza pari a Aristotele o Kant. Da un punto di vista storico, in effetti, la sua influenza è più profonda e diffusa di quanto siamo soliti ricordare: Russell e Wittgenstein lo riconobbero come maestro; Husserl lo riconobbe un po' meno, ma cambiò radicalmente la sua filosofia sotto la spinta delle sue critiche; Carnap e Church elaborarono teorie come raffinamento delle idee direttive della sua logica; Austin sviiuppò la teoria degli atti linguistici sullo sfondo delle sue idee. Così l'influenza di Frege si estende per vie diverse su tutte le principali correnti della filosofia contemporanea, dal neoempirismo alla filosofia analitica, alla fenomenologia. L'importanza di Frege deriva dal carattere fondamentale del suo lavoro: concentrandosi a fondo su un'area di ricerca ristretta- la filosofia della matematica e della logica - Frege definì le idee di fondo di una teoria che riguardasse la struttura del pensiero in generale. E un lavoro del genere è la base di ogni lavoro filosofico, se è vero che la filosofia si propone prima di tutto di farci orientare tra i nostri pensieri. Ma non è così semplice. Per chiarire il punto Dummett ricorre a una vecchia analogia: orientarci tra i nostri pensieri è analogo a orientarci in una città; e ci si può orientare in una città senza avere una chiara idea della sua topografia, con la conseguenza di essere incapaci, ad esempio, di trovare una scorciatoia. Così il compito ~ della filosofia non è tanto quello di .s ~ farci orientare nei pensieri - quet:::l.. sto avviene spontaneamente quasi ~ per tutti a livello intuitivo e imme- °' ...., diato - ma aiutarci a avere una .9 chiara visione di come facciamo a c5 ~ orientarci tra i nostri pensieri: forò nirci cioè una visione chiara del } nostro mondo concettuale e delle procedure che usiamo per formare i pensieri che abbiamo. E dato che - se vogliamo parlare di ciò che pensiamo - non possiamo che riferirci all'espressione linguistica dei nostri pensieri, compito della filosofia è fare un'analisi della struttuDumm oRo ra generale del linguaggio, cioè fare un'analisi del significato delle espressioni linguistiche o, per dirla con Wittgenstein, del loro uso o modo di funzionamento. Questa è dunque la lettura dummettiana della svolta linguistica' in filosofia imposta da Frege: la filosofia ha come compito la chiarificazione dei nostri pensieri, l'analisi dei significati: più va a fondo in tale analisi e più essa dipende da una spiegazione generale del significato, da un modello di ciò in cui consiste la nostra pratica linguistica. Dummett denomina questa spiegazione generale «Teoria del Significato», in contrapposizione con «Teoria della Conoscenza». L'idea è questa: la teoria della conoscenza studia la genesi del pensiero e i modi in cui si possono avere pensieri veri; ma occorre prima chiarire cosa è ciò di cui si studia la genesi: la teoria della conoscenza deve essere preceduta da una ricerca su cosa è il pensiero, cioè su cosa è il significato dei nostri enunciati (quindi sulle caratteristiche generale della nostra pra- . tica linguistica). Per questo la fondazione ·della filosofia è la teoria del significato e non la teoria della conoscenza, come erroneamente Descartes e Kant ci hanno portato a credere. La grandezza di Frege consiste nell'aver percepito questo. Dire che la teoria del significato è a fondamento della filosofia non • vuol dire semplicemente che una ricerca sul significato delle espressioni è un buon prerequisito per discutere; vuol piuttosto dire che la teoria del significato è l'unica parte della filosofia i cui risultati non dipendono da quelli di nessun'altra parte, ma che sta alla base di tutto il resto. È difficile dire quanto vi sia di Frege e quanto di Dummett in questa tesi. È comunque certo che Dummett, con la sua interpretazione di Frege, rappresenta oggi uno dei poli di discussione della filosofia contemporanea: filosofo «sistematico» e non «dissolutore», è un ottimo bersaglio per le polemiche. E diviene un bersaglio privilegiato della polemica di Rorty sulla filosofia del linguaggio2 • È da vedere fino a che punto Rorty centra il bersaglio, o invece sbaglia mira. P er Rorty Dummett sbaglia, e sbaglia a più livelli. Vediamo come. Prima di tutto è fuorviante dire che Descartes ci ha portato a credere che l'epistemologia, o teoria della conoscenza, sia la base della filosofia. Descartes non ha «fondato» la filosofia nell'epistemologia, ma ha inventato qualcosa di nuovo - l'epistemologia - che ha preso il nome di «filosofia». Ma Cartesio non se ne è accorto; egli credeva infatti di fare correttamente quello che i ·suoi predecessori facevano male; e allo stesso modo Dummett crede di formulare correttamente - all'interno di una teoria del significato - i problemi che i filosofi moderni formulavano in modo fuorviante come problemi di epistemologia. Il tentativo di Dummett è quello di connettere un nuovo tipo di attività filosofica con una vecchia problematica: «l'idea dummettiana di una filosofia del linguaggio come 'filosofia prima' è sbagliata non perché qualche altra area sia 'prima', ma perché la nozione delCarlo Penco la filosofia come qualcosa che ha una fondazione è sbagliata, come quella di una conoscenza che ha una fondazione. In questa [di Rorty] concezione, 'filosofia' non è il nome di una disciplina che affronti problemi ricorrenti e sfortunatamente continui a formularli male. Piuttosto è un genere culturale, una 'voce nella conversazione dell'umanità' che si incentra su un argomento più che su un altro a un tempo dato, non per necessità dialettica ma come risultato di varie cose che accadono altrove nella conversazione ... ». La critica di Rorty non è né più né meno un'applicazione delle analisi di Kuhn e Feyerabend alla storia della filosofia invece che alla storia della scienza. Detta un po' grossolanamente sarebbe così: il paradigma aristotelico ha domiNico Orengo nato la storia della filosofia fino alle soglie dei tempi moderni; è quindi stato sostituito dal paradigma cartesiano e kantiano: una filosofia intesa come rappresentazione del mondo incentrata sulla teoria della conoscenza, alla ricerca di risposte a problemi di giustificazione (come giustificare la conoscenza scientifica? la nostra rappresentazione scientifica del mondo? Una risposta a queste domande verrà solo dalla filosofia e non dalla scienza stessa). Oggi però siamo in un periodo pre-rivoluzionario contrassegnato dal proliferare di teorie antagoniste che in qualche modo preannuncia la formazione di un nuovo paradigma: una filosofia completamente liberata dall'idea di rispondere a ciò cui la scienza non può rispondere e dalla pretesa di individuare un fondamento universale di ricerca (restano dunque accomunati nel vecchio paradigma fondazionalista sia la teoria del significato di Dummett che la pragmatica universale di Habermas o l'ermeneutica trascendentale di Apel, mentre forse la filosofia di Davidson in qualche modo prefigura il modo nuovo di intendere la filosofia). L'analisi critica di Rorty è accattivante. Ma lascia dei dubbi. I dubbi riguardano prima di tutto l'applicazione alla filosofia delle tesi di Kuhn e Feyerabend sull'incommensurabilità delle teorie scientifiche. La visione della storia della filosofia - che nella descrizione critica è in Rorty densa e ricca di sfumature - si appiattisce nella visione complessiva in un succedersi di paradigmi tra i quali non è possibile trovare connessioni effettive (e chi tenta di farlo, come Dummett, è tacciato di lavorare a un'impresa disperata). Lo scopo della filosofia diviene quello di generare e far proliferare nuove discussioni: «considerare come scopo della filosofia il mantenere viva la conversazione, considerare la saggezza come qualcosa che consiste nell'abilità di sostenere una conversazione, è considerare gli esseri umani come produttori di nuove descrizioni ... ». Tanto Rorty è un abile «dissolutore», altrettanto è un maldestro «costruttore»; le sue critiche colpiscono, le sue proposte deludono: la filosofia tende a venir considerata un discorso letterario tra altri, a perdere la sua specificità, mentre probabilmente parti di essa che si chiamano ancora «filosofia» andranno a costituire parti di progetti tecnici o scientifici. Se può essere giusto criticare le pretese di trovare una sistemazione definitiva della filosofia come programma di ricerca, non è facile accettare che essa perda di specificità rispetto agli altri discorsi della nostra cultura. Dove trovare dunque questa specificità? F orse una risposta è: nella centralità della logica in filosofia. L'analisi di Rorty, infatti, fa perdere di vista un fatto che sembra evidente a chiunque lavori a contatto con i filosofi del linguaggio: la svolta linguistica in filosofia è per certi aspetti un ritorno alle origini della filosofia occidentale. Con Frege, in un certo senso, l'ontologia ritorna centrale in filosofia come lo era stata per Aristotele o gli Scolastici, prima della svolta epistemologica di Cartesio e Kant. Solo che le questioni ontologiche e i tradizionali problemi che gli antichi chiamavano «metafisici» (come il problema del rapporto tra idee universali e oggetti particolari) si presentano ora sotto forma di problemi inerenti alla teoria del significato, come problemi di filosofia del linguaggio. Frege non ha semplicemente spostato il centro dell'attenzione del filosofo su un metodo o su un problema: ha ritrovato il filo conduttore della filosofia occidentale che si era perso nella filosofia moderna; questo filo conduttore, il filo d'Arianna del pensiero di cui parlava Leibniz, è la logica stessa - intesa come studio delle strutture formali del linguaggio e dei modi di argomentazione - che con Frege ritorna a assumere un posto centrale in filosofia. Che questo sia reso possibile dalle innovazioni in logica apportate da Frege non fa che ribaltare il giudizio di Kant sulla logica formale come incapace di ulteriori sviluppi e in pratica definita una volta per tutte con Aristotele. Kant si sbagliava, e Frege lo ha dimostrato; ma l'errore di prospettiva storica fatto da Kant ha mantenuto intere generazioni di filosofi fuori dal contatto con la parte più viva e stimolante della logica contemporanea, lasciata al lavoro dei matematici. Che dire allora di molta filosofia «allusiva», per così dire «alla francese», ma anche alla cultural-mitteleuropea? Credo che il discorso di Dummett abbia il merito di richiamare a un certo tipo di rigore - non a uno schema comune a ogni filosofia, ma a un'esigenza propria •di ogni discorso filosofico. Certo non basta dare rilievo alla logica per fare buona filosofia. E Dummett dà un colpo al cerchio e uno alla botte quando polemizza duramente contro i filosofi della teoria causale del riferimento (in particolare Kripke e Kaplan), accusandoli di usare un insieme di mezzi logici altamente sofisticati per difendere una visione filosofica ingenua (e cioè la visione russelliana dei nomi propri come attaccati direttamente agli oggetti). Ma dopotutto la centralità della logica in filosofia fa da discriminante tra due modelli di filosofia che si contrappongono in vari modi e con varie denominazioni: costruttivi e distruttivi, sistematici e critici ecc. Rorty la mette così: da una parte abbiamo i sistematici, dall'altra gli edificanti. E conclude il suo libro presentando questa contrapposizione: «Forse la filosofia diventerà puramente edificante, cosicché la identificazione di sé di un filosofo sarà puramente in termini di libri che uno legge e discute piuttosto che in termini dei problemi che vuole risolvere. Forse si troverà una nuova forma di filosofia sistematica che non abbia nulla a che fare con l'epistemologia, ma che ciò nonostante renda possibile la ricerca filosofica normale». Se Rorty sembra simpatizzare decisamente per il primo corno della alternativa, Dummett è un candidato a rappresentare la seconda possibilità. Ma rifiuta l'idea che la filosofia non abbia nulla a che fare con l'epistemologia come teoria della conoscenza, e insiste sulla necessità di ridefinire il ruolo dell'epistemologia e di non abbandonare la connessione tra significato e conoscenza. 11 libro di Rorty è un romanzo filosofico eccellente; il libro di Dummett è un testo di filosofia. E la stessa contrapposizione adombrata da Rorty la ritroviamo nei libri di Dummett; e qui i due interlocutori privilegiati sono, dalla parte della filosofia sistematica, la figura di Frege e, dalla parte della filosofia non sistematica, l'opera di Wittgenstein. La contrapposizione è elaborata da Dummett rispetto al progetto di una teoria del significato: la posizione di Wittgenstein minerebbe alle radici tale proposta, o - se considerata più elasticamente - ne proporrebbe una drastica riformulazione. Comunque sia, Wittgenstein si presenta facilmente come candidato privilegiato per rappresentare l'alternativa alla filosofia sistematica, e in questo senso è usato sia da Dummett che da Rorty. Ma occorre ricordare che tutta l'opera di Wittgenstein non avrebbe potuto essere scritta ed è dipendente più di quanto appaia a prima vista dal lavoro e dalle categorie filosofiche del grande maestro della svolta linguistica in filosofia: Frege. Note (I) Cfr., da un altro punto di vista, D. Marconi «La svolta linguistica», in Alfabeta n. 49, p. 16 (2) Cfr. M. Danieli, «Rorty: l'essenza speculare», in Alfabeta n. 45, p. 16. (3) Cfr. A. Bonomi, «Il nome di Kripke», in Alfabeta n. 41, p. 19, e G. Milione e D. Voltolini, «Kripke e Putnam», ivi, n. 43, p. 29.

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