Alfabeta - anno VII - n. 74/75 - lug./ago. 1985

'·' Il pensierogi,ori~icdoiSchmiH Cari Schmitt Dottrina della Costituzione trad. it. Milano, Giuffrè, 1984 pp. XXXI + 537, lire 35.000 D al 1972, anno di pubblicazione della silloge Le categorie· del politico (-Bologna, • Il Mulino, 1972), fino a oggi, il pensiero di Cari Schmitt ha conosciuto in Italia una fortuna crescente, non limitata .soltanto allo stretto ambito degli specialisti. Ma questa attenzione è stata per lo più orieqtata all'aspetto politologico della produzione schmittiana, trascurando il fatto che lo studioso tedesco spesso, puntigliosamente, . tenda a presentare se stesso in pri- •mo luogo come giurista. Del resto, la silloge Le categorie del politico . presenta .testi in cui prevale l'elemento politologico, si pensi alla traduzione ivi con.tenuta del celebre Il concetto di politico. Così, gli interventi che in questi anni si sono susseguiti intorno al pensiero di Cari Schmitt ne hanno spesso sottolineato soprattutto l'elemento decisionistico, l'iperpoli- • ticismo, per usare un'espressione di F. Valentini (cfr. F. Valentini, «Carl Schmitt o dell'iperpoliticismo», prefazione a C. Schmitt, La dittatura, trad. it. Bari, Laterza, 1975), quasi che in Schmitt vi fosse • una tendenza a ridurre il giuridico .. al politico, ad appiattire il primo .sul secondo. La recente traduzione della Dottrina della Costituzione può . forse contribuire a una conoscenza più estesa e quindi a un giudizio più equilibrato del pensiero di Schmitt. Essa ne costituisce l'opera di maggior impegno, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, a cui può essere avvicinato solo Der Nomos der Erde, che però vede la luce più di vent'anni dopo, e in uno scenario internazionale completamente mutato. La Dottrina della Costituzione (d'ora in poi DdC), invece, è un'opera sistematica impegnata prevalentemente sul terreno giuridico, che appare al termine di queldecennio cruciale in cui erano già comparse sia la Teologia politica che Il concetto di politico. e he cosa intende Schmitt con 'costituzione'? Egli fornisce una ricca fenomenologia e una serie di accezioni del termine, ma quella per la quale propende è la seguente: costituzione «significa la condizione generale dell'unità e del!' ordinamento politico» (DdC, p. 15). Essa, cioè, è l'espressione di un'unità politica, essa vige «perché emana da un potere costituente (cioè potestà e autorità) ed è po- ~ta dalla sua volontà» (DdC, p. 23). Questa accezione del termine è contrapposta a quella puramente normativa e positiva: la costituzione «non ha vigenza in forza della sua giustezza normativa o in forza della sua compiutezza sistematica ( ... ). La costituzione vige in forza della volontà politica esistente di chi la pone. Ogni specie di norma: zione giuridica, anche la normazione legislativo-costituzionale, presuppone come esistente una simile volontà» (DdC, p. 40). La costituzione esprime dunque una volontà fondamentale capace, in quanto tale, di fondare un'unità politica. Senza questa volontà non si dà unità politica e quindi nem- . meno costituzione. Con questo discorso, si badi, Schmitt non punta a liquidare il diritto in nome della decisione ma, al contrario, a riconoscere alla volontà politica un preciso significato giuridico. Non ogni decisione è giuridicamente rilevante, ma solo quella che riesce a esprimere un'unità politica. Solo un'unità politica può creare una situazione normale e, con essa, le condizioni per la vigenza della norma. Schmitt ritiene che il popolo tedesco costituisca questa unità politica e che essa si sia pronunciata a • favore di una democrazia costituzionale, cioè per «uno stato borghese di diritto nella forma politica di una repubblica democratica, con struttura federale» (DdC, p. 42). Questo fondamento della costituzione è ciò che dà senso a tutto l'insieme delle leggi costituzionali. Ne.consegue che, mentre singole leggi costituzionali possono essere modificate tramite urf apposita procedura, la decisione_politica fondamentale a favore _d~lla repubblica, espressa dall'art. 1 della Costituzione di Weimar, può essere modificata solo attraverso un pronunciamento diretto del popolo che l'ha espressa. Insomma, «il Reich tedesco non può essere trasformato con una risoluzione di maggioranza dei due terzi del Reichstag in una monarchia assoluta o in una repubblica dei Soviet» (DdC, p. 45). Queste affermazioni schmittiane acquistano un valore premonitorio se si pensa che l'avvento al potere di Hitler si realizzò, dal punto di vista meramente formale, in modo del tutto legale. È lo stesso Schmitt a ricordarlo ne Il problema della legalità: «La cosiddetta legge per i pieni poteri del 24 marzo 1933 tolse di mezzo tutte le esitazioni ed agì come una grande legalizzazione generale e globale ( ... ). L'efficacia di legalizzazione, fattuale e globale, di questa legge per i pieni poteri fu così ampia perché Hitler e il suo seguito erano stati collocati nell'effettivo possesso del potere del parlamento mediante una apposita legge che modificava la costituzione» (C. Schmitt, Il problema della legalità, trad. it. in Le categorie del politico, pp. 281-82). Secondo Schmitt questo è l'esito estremo della concezione propria del positivismo giuridico, per la quale una legge è tale solo in relazione alla correttezza formale della procedura con cui è stata posta. Da questo punto di vista, il già ricordato art. 1 della Costituzione di Weimar e, ad esempio, l'art. 129che stabilisce che l'impiegato statale ha diritto a prendere visione del suo fascicolo personale - hanno la medesima importanza in quanto sono ambedue leggi costituzionali. Dice ancora Schmitt ne Il problema della legalità: «Se il concetto di legge viene spogliato di ogni riferimento contenutistico alla ragione e alla giustizia e contemporaneamente viene mantenuto lo stato legislativo con il suo concetto specifico di legalità che concentra nella legge tutta l'altezza e la dignità dello Stato, ogni disposizione di qualsiasi tipo, ogni comando e ogni provvedimento possono diventare legali» (Le categorie, p. 292). Così la dignità del diritto sembra essere messa in forse non dal decisionismo schmittiano, ma da quel positivismo giuridico formalistico che separa la legge da quei concetti _diragione e giustizia che ne costituiscono la sostanza. . ·u n secondo elemento che ci sembra utile mettere in luce all'interno del complesso itinerario della. ~dC, è costituito dalla critica formulata da Schmitt al carattere «compromissorio» della Costituzione di Weimar. Come si è visto, essa contiene una decisione politica fondamentale, quella a favore della repubblica. Ma, accanto .a essa, troviamo «un insieme di programmi e disposizioni positive, alla cui base si trovano i più disparati contenuti e convincimenti politici, sociali e religiosi. Garanzie ·individualisti- . che borghesi della libertà personale e della proprietà privata, principi del programma socialista e del diritto naturale cattolico sono me- . sc<?latiinsieme in una. sintesi spesso ,assai confusa» (DdC, p. 50). Ciò deriva dal fatto che i partiti che avevano dato origine alla repubblica erano portatori di concele sugli articoli compromissori, deve essere tenuta ben ferma l'inviolabilità e la superiorità gerarchica di quelli che fondano la repubblica, di quelli cioè che ne determinano la costituzione in senso proprio. Ma il fatto che Schmitt mostri la natura compromissoria di molti articoli rende evidente anche quanto egli fosse cosciente della natura compromissoria della repubblica stessa, quanto egli fosse cosciente, cioè, del suo essere, secondo una fortunata espressione, : una «democrazia contrattata». Se in Der Huter der Verfassung, pubblicato l'anno successivo nella rivista Archiv des. offentlichen µechts (a. XVI, n. 2, pp. 161-237), egli sottolinea il ruolo del presidente del Reich quale garante della costituzione ex art. 48, ciò non signi- . fica tanto la giustificazione giuridica di una possibile svolta autoritaria, quanto l'estremo richiamo. a un'autorità super partes contro le spaccature che dilaniavano il paese rendendone problematica la stabilità politica. In alto: Valeria Magli. In basso: Patrizia Vicinelli zioni del mondo diverse e fra loro opposte. Se, riguardo alla forma politica, è stata presa una decisione non equivoca, né sarebbe stato possibile altrimenti senza mettere in discussione fin dall'inizio l'esistenza della neonata repubblica, su tutto il resto, o quasi, si è adottata la soluzione del compromesso. Essa consiste «nel trovare una formula che soddisfi a tutte le richieste contraddittorie e lasci indecisi in una locuzione ambigua i veri punti della disputa» (DdC, p. 52). Ovviamente, si tratta di mine vaganti che, esplodendo, avrebbero potuto mettere in crisi l'equilibrio precario di Weimar. È contro questi pericoli che Schmitt enfatizza l'importanza degli articoli che esprimono direttamente la volontà del popolo tedesco e la sua decisione fondamentale. Al di là e attraverso ogni disputa costituzionaP rocedendo nell'esposizione della sua dottrina costituzionale, Schmitt, nel capitolo intitolato «L'elemento dello Stato borghese di diritto nella costituzione moderna», pone in evidenza le condizioni, per così dire, minime dell'unità politica. La prima è data dall'identità dei componenti. Essa può derivare dal fatto che questi occupino stabilmente un determinato territorio, che parlino la stessa lingua, che abbiano caratteristiche somatiche simili, una religione in comune e altro. Senza un popolo, non può esistere Stato, perché esista uno Stato «un popolo, in quanto entità esistente deve essere sempre effettivamente presente» (DdC, p. 271). Ma il principio dell'identità non è sufficiente: essa, per dirsi tale, rimanda necessariamente a un soggetto che la rappresenti. Perché il popolo, nella sua unità esistenziale, possa esprimere la propria volontà, occorre un soggetto che la «metta in forma». In Volkentscheid und Volksbegehren (Berlin-Leipzig 1927) Schmitt aveva già espresso questo punto di vista a proposito dell'istituto del referendum. Questo, se da un lato costituisce il livello massimo di espressione della volontà popolare, il luogo in cui essa si manifesta immediatamente, ne rappresenta anche il limite insupe- .rabile: il popolo può rispondere solo.sì o no. Ma occorre una realtà rappresentativa superiore che ponga la domanda: «il popolo - dice Schmitt - può solo rispondere, ma non domandare» (C. Schmitt, Volkentscheid, p. 37). La rappresentanza rende visibile l'unità sottostante, l'una e l'altra sono le due facce della medesima. medaglia: «nella realtà della vita politica esiste tanto poco uno Stato che possa.rinunciare agli elementi strutturali del principio di identità, quanto poco uno Stato che possa rinunciare agli elementi strutturali della rappresentanza» (DdC, p. 272). Dunque, se manca uno di questi elementi, l'unità politica tende a dissolversi. È quanto succede nella repubblica di Weimar: il parlamento non rappresenta più l'unità della nazione e in esso non si verifica più quanto prescritto dall'art. 21 della Costituzione: «i deputati sono i rappresentanti di tutto il popolo». I deputati, al contrario, sono ormai solo rappresentanti di gruppi politici e il parlamento è il luogo dello scontro fra interessi politici contrapposti, mentre le decisioni vengono prese altrove (cfr. C. Schmitt, Die geistgeschichte Lage der heutigen Parlamentarismus, Miinchen-Leipzig, Duncker & Humblot, 19262, pp. 10-11). «L'unità politica - dice Schmitt - non può essere divisa. È rappresentata sempre e soltanto la nazione, cioè il popolo come tutto» (DdC, p. 281). Se non si tien fermo questo principio, si affossa l'unità politica e si va alla crisi istituzionale. Ma questo sviluppo, o meglio questa decadenza, non riguarda solo la repubblica di Weimar; esso è un processo che appartiene allo Stato in generale, inteso quale massima espressione razionale dello Jus Publicum Europaeum. Se lo Stato smarrisce i modi e le forme della rappresentanza, con ciò stesso perde il monopolio della decisione politica. In questo modo scompare l'eguaglianza Stato=politico e ogni aspetto della vita associata può divenire luogo di scontro fra opposte fazioni portatrici di interessi contrapposti. Di tutto ciò Schmitt è cosciente, e alla luce di questa consapevolezza si spiega la frase con cui si apre Il concetto di politico: «Il concet- ~ to di Stato presuppone quello di ~ .s politico» (C. Schmitt, Il concetto ~ di politico, in Le categorie, p. ~ 101). Il criterio dell'amico-nemico ~ O\ non è un tentativo di politicizzare -. ogni cosa ma, al contrario, il ten- -8 ci tativo di elaborare uno strumenta- O() ] 1 .... rio atto a comprendere la nuova realtà iperpoliticizzata. E la DdC segna lo sforzo estremo di fornire una dottrina dello Stato e del dirit- lQ ~ to in un mondo che va perdendo via via coscienza di questi concet- ~ ti, condotto da chi ritiene se stesso ~ l'ultimo rappresentante dello Jus l Publicum Europaeum. ~

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