Alfabeta - anno VII - n. 74/75 - lug./ago. 1985

1. La nostra vita riceve solchi e tratti dalla nostra opera, da quel che produciamo nel lavoro e nella professione. A me quale docente e studioso sono familiari due ambiti della scienza giuridica, il diritto internazionale e il diritto costituzionale. L'una e l'altra disciplina fanno parte del diritto pubblico. Il lavoro in questi ambiti è di caratterepubblicistico nel senso più pieno del termine. Concerne questioni di portata politica interna ed internazionale. Di conseguenza, è esposto direttamente al rischio del politico. A questo pericolo il giurista di tali discipline non può sfuggire, neppure scomparendo nel nirvana del puro positivismo. Egli può, al massimo, attenuare tale rischio collocandosi in remoti ambiti mimetizzati storicamente o filosoficamente invece portando a perfezione estrema l'arte della riserva e del camuffamento. In tempi tranquilli si formano zone neutre e ameni parchi a tutela della natura, dello spirito e dei monumenti. In tempi inquieti tutto questo ha fine. Allora diviene acuto il pericolo che è immanente a ogni libero pensare. Lo studioso e il docente di diritto pubblico si vede·allora, d'improvviso, inchiodato a qualche libera parola e rubricato sotto qualche libero pensiero, e questo ad opera di uomini che mai in vita loro hanno avuto. un libero pensiero e ai quali ogni libertà dello spirito è per natura estranea. Ma non solo questo. Il lavoro scientifico di uno studioso di diritto pubblico, la sua opera stessa, lo situano in un paese determinato, presso determinati gruppi e forze e in una specifica situazione temporale. La materia dalla quale trae i suoi concetti e dalla quale dipende per il suo lavoro scientifico lo vincola a situazioni politiche, il cui favore o sfavore, fortuna o sfortuna, vittoria o sconfitta, finiscono con il coinvolgere anche lo studioso e il docente, e col decidere del suo destino personale. In tempi di aperta o latente guerra civile, questa realtà diviene percepibile nel modo più intenso. La guerra civile ha qualcosa di particolarmente crudele. Essa è guerra civile perché è condotta all'interno di una comune unità politica che comprende anche l'avversario e nell'ambito dello stesso ordinamento giuridico, e perché le due parti in lotta al tempo stesso affermano assolutamente e negano assolutamente questa comune unità. Entrambe, assolutamente e incondizionatamente, mettono l'avversario al di fuori del diritto. Negano il diritto dell'avversario in nome però del diritto. All'essenza della guerra civile è proprio l'assoggettamento alla giurisdizione del nemico. Ne viene che la guerra civile ha con il diritto un rapporto stretto, specificamente dialettico. Essa non può esser altro che giusta (gerecht) nel senso di convinta delle proprie ragioni (selbstgerecht), e diviene, in tal modo, l'archetipodellaguerragiusta, o che tale si ritiene, in generale. Più pericolosamente che in ogni altra specie di guerra, ogni partito è costretto a dar spietatamente per presupposto il proprio diritto e, altrettanto spietatamente, il torto dell'avversario. L'una parte fa valere un diritto legale, l'altra un diritto naturale. Il primo conferisce un diritto ali'obbedienza, il secondo un diritto alla resistenza. L'interferenza di argomentazioni e istituzioni di natura giuridica avvelena la lotta. La intensifica fino a crudeltà estrema, facendo degli strumenti e dei metodi della giustizia strumenti e metodi dell'annientamento. Si amministra la giustizia senza cessare di essere nemici. L'istituzione di tribunali rivoluzionari e di corti di giustizia popolari non vuole attenuare l'orrore ma solo acuirlo. Le pubbliche e legali diffamazioni e discriminazioni, le liste di proscrizione pubbliche o segrete, il dichiarare qualcuno nemico dello Stato, del popolo o dell'umanità non ha il senso di conferire ali'avversario lo status giuridico di nemico nell'accezione di parte belligerante. Intende, al contrario, togliergli anche quest'ultimo diritto. Ha il senso di una totale privazione di diritti in nome del diritto. L'ostilità diviene talmente assoluta, che persino l'antichissima, sacrale distinzione di nemico e criminale si dissolve nel parossismo del convincimento del proprio diritto. Il dubbio nel proprio diritto è considerato tradimento; l'interesse per l'argomentazione dell'avversarioperfulia; il tentativo di una discussione diviene intesa con il nemico. Tutte queste sono espressioni e forme fenomeniche della relazione dialettica tra guerra civile e diritto. Ci sono varie specie di guerre. Ci sono guerre sante, guerre giuste e guerre-duello. La guerra santa e la guerra-duello conservano entrambe alcunché del/'originario carattere di un giudizio di Dio. La guerra giusta, invece, rimette il giudizio nelle mani degli uomini. Nell'epoca del moderno positivismo tutto questo costituisce un caso particolare. Il moderno positivismo trasforma il diritto di una leggefatta da uomini per uomini. Fa del diritto una posizione di posizioni. Nella stessa misura toglie alla guerra giusta gli ultimi residui di una idea sacrale. La dea della giustizia apre il vaso di Pandora e appaiono non solo le trappole di processi ingarbugliati ma anche gli orrori in forma di giustizia, di sanguinose guerre civili. 2. Che ne è della scienza giuridica in questa davvero tragica dialettica del diritto? Che ne è dello studioso del diritto (Rechtsgehlezter), quando ogni detentore del potere (Machthaber) si trasforma in un prepotente (Rechthaber) spietato? Sotto il profilo della grande, eroica storia del mondo, è agevole rispondere a questa ardua domanda. Nei secoli XII e XIII, dalle spaventose lotte di fazioni nelle città del- /' Italia centrale e settentrionale rinacque lo spirito del diritto romano. Nelle guerre civili di religione del secolo XVI rifulsero tra i perseguitati e gli esiliati nomi come quello di fohn Story fra le file cattoliche e quello di Ugo Donello fra le file protestanti. La chiesa ci ha ora (1935, N.d.T.] dato con Tommaso Moro un santo protettore. Dei fondatori del diritto pubblico, dello jus publicum europaeum, dirò in seguito. Dopo la loro età eroica e dopo il secolo XVIII, certo i giuristi si sono decisamente trasformati in funzionari e imborghesiti. Nel secolo XIX il loro rischio professionale parve farsi persino più limitato di quello -di ogni altra attività. Da questo punto di vista la risposta della grande storia del mondo è abbastanza semplice. Detta in breve essa suona: i tempi mutano; in tempi cattivi, molti vanno ~~~~t?t· ::;::.·:·;;:·:~·· 1 ll~!l.ili~ llll[;1;1 1 ~::11:::11111 1 00lilJ::J::~t Franco Scataglini in rovina; alcuni diventano martiri e perfino santi e nuove generazioni traggono da pene e necessità l'impulso a nuova opera. Questa risposta è brutale e consolante a un tempo. Essa ha il volto anfibologico consueto a tutte le risposte e a tutti gli oracoli dell'hegeliano spirito del mondo. Lo sappiamo. La storia del mondo non è il terreno della felicità. Non vogliamo disdegnarne la consolazione, ma è sommaria e grossolana. Le sofferenze che a vicenda s'infliggono gli uomini sono terribili. Non possiamo semplicemente distoglierne lo sguardo. Ma come sopportarne la vista? Come può in particolare un uomo, per il quale il sapere giuridico è divenuto parte della sua esistenza, sopportare il mero John e Astrid Furnival fatto, anzi, la mera possibilità di una totale privazione dei diritti, indifferentem~nteda chi essa colpisca nel singolo caso? E se colpisce lui stesso, allora la situazione del giurista privato dei suoi diritti, dell'uomo di legge (lawyers) dichiarato fuorilegge (outlaw), del legista posto hors-la-loi acquista certamente anche un'aggiunta particolarmente amara, che si somma a tutte le altre sofferenze fisiche e psichiche: l'aculeo del suo stesso sapere, che di continuo rinfocola il bruciore della ferita. 3. • «Grandi, o dèi, sono i vostri doni, ma il dolore che li accompagna troppo intollerabile grava su di me». L'ultimo rifugio per un uomo tormentato da uomini è sempre una preghiera, una giaculatoriaal Dio crocefisso. Nella piena del dolore, noi lo riconosciamo, ed egli ci riconosce. Il nostro 'Dio non fu lapidato come ebreo da ebrei, né decapitato come romano da romani. Egli non poteva essere decapitato. Un capo nel senso giuridico egli non l'aveva più, perché non avevapiù diritti.Morì la morte deglischiavi, la crocefissione, che un conquistatorestranierogli aveva irrogato. Talvolta si aprono d'improvviso le porte della nostra prigione, e si offre una via segreta. È una via che conduce verso l'interno, a molte forme di silenzio e di quiete, ma anche a nuovi incontri e a un nuovo presente. Finché la nostra coscienza rimane legata al lavoro della nostra esistenza terrena, ne sorge .un vincolo nuovo con il passato, una personale coesistenza con i pensatori, la cui situazione corrisponde alla nostra. Si stabiliscono contatti e colloqui, la forza dei quali sposta le montagne d'intere biblioteche, e il cui fuoco brucia la falsa autenticità di accumuli giganteschi di materiale. Anime e spiriti ci parlano direttamente, di noi e di se stessi. Non mi riferisco qui ai geni e agli spiriti del Rinascimento e dell'Umanesimo, nessun Olimpo o Parnaso. E neppure lo spumeggiante calice del regno dello spirito, dal quale la filosofia dell'idealismo tedesco pensò di bere l'infinità. Tutto ciò non è quello di cui parlo. Sto pensando a poveri uomini sofferenti, uomini in una solitaria condizione di pericolo che è simile alla mia, e il cui pensiero si trova in questa situazione, così che ben li comprendo e posso esser sicuro che essi mi comprendono. Il mio lavoro è dedicato alla delucidazione scientifica del diritto pubblico. È questo un campo che va ben oltre i confini di una nazione e, a maggior ragione, ben oltre la legalità positiva propria di una generazione. Eppure non si tratta di una generalità che prescinda da una situazione determinata, né di un'indifferenziata questione che riguardi il mondo intero e ogni tempo. È una creazione dello spirito europeo, uno jus publicum europeaum, e resta legato a un'epoca determinata. È nato nei secoli XVI e XVII dalle orribili guerre civili d'Europa. Questo è il suo avvio e il suo principium. In questa fase inziale sta la sua affinità con la situazù'me del nostro odierno presente, una spirituale affinità, che è più di un parallelo storico, più anche di un'analogia e qualcosa di diverso da quel che Oswald Spengler chiamava un'omologia. Si danno identità dell'esistenza spirituale che si spingono sino ai destini personali, anzi sin dentro l'anima di tutti quegli uomini che con il loro pensiero e i loro concetti cercano di dominare spiritualmente una tale situazione e debbono sopporta.retutto il peso di questo tentativo. (... ) 6. Ho parlato in queste pagine di me stesso, invero per la prima volta nella mia vita. Un uomo che pensi scientificamente preferisce parlare di problemi oggettivi. Uno studioso che osservi storicamente vede se stesso nel quadro e nelle onde di forze e potenze storiche, Chiesa, Stato, partito, classe, professione e generazione. Un giurista che ha educato se stesso, e molti altri, ali'oggettività evita gli autorispecchiamenti di specie psicologica. La propensione alle confessioni letterarie me l'hanno rovinata odiosi esempi quali Jean-Jacques Rousseau e il povero August Strindberg. Come esperto di diritto costituzionale, ho tuttavia in costitutionalibus un assai interessante compagno di destino, che in tema di confessioni personali e di diretteprofessioni di fede ha compiuto qualcosa di sorprendente, parlo del protagonista della dottrina del costituzionalismo liberale, Benjamin Constant. Egli non fu solo un eccellente costruttore di costituzioni ma anche l'autore del primo romanzo psicologico, Adolphe, oltre che di uno straordinario Journal intime, e di innumerevoli lettere di eguale stile. Lo trovo più simpatico dei due testè citati autotorturatori. Eppure, nemmeno il suo esempio potrebbe indurmi a confessioni letterarie. Chi vuol confessarsi, vada e si presenti al parroco. Oggi, del resto, abbiamo da rispondere a un numero sufficiente di domande concernenti noi stessi che ci vengon poste dalle più svariate parti. Il motivo per il quale siffatte domande vengono poste è per lo più quello di metterci in questione nella nostra esistenza. E non parlo neppure di funzionari e di autorità, che ci interrogano su questo e su quello, tutte cose che non toccano la nostra essenza, ma solo concernono capi d'imputazione per responsabilità e arresti. E nemmeno parlo delle domande che ci vengono poste al modo come si dispongono trappole e lacciuoli. Cose simili rientrano ancora, in parte, nell'ambito del vecchio Leviatano, ch'io ben conosco, in parte sono già la riserva di caccia del capo guardaboschi che conosciamo grazie a Ernst funger. Come abbia a comportarsi un uomo nella situazione della selvaggina braccata, è un triste problema di per sé. Non ne voglio parlare oltre. Quel che qui dico non è inteso né in senso pubblicistico, né in senso apologetico. Non appartiene alla strada e neppure alla tribuna, e neppure al foro o alla cattedra. Parlo perché voglio dire una parola ad alcuni amici defunti, fintanto che io stesso mi trovo ancora negli artigli di questa vita terrena;perché vorrei dare un segno ad alcuni amici in vita dai quali sono diviso, e ai fedeli discepoli, in tutti i paesi; e perché penso, infine, a mia figlia Anima e al mio figlioccio Cari Alexander. Parlare con loro non è svelare alcun arcano. Noi tutti ci lega la quiete del taceree il segreto che non si può perdere dell'origine divina dell'uomo. (Estate 1946) (Traduzione a cura di Angelo Bolaffi)

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