lr) ...... <::S .s ~ ~ ~ °' ...... .9 c5 f - i ~ ~ ~ .l:! 'Il .Q g Una nuova rivista di estetica Niva Lorenzini La formula pare azzeccata: se di polisemia ci si intende occupare, è opportuno che essa percorra tutti i livelli del prodotto, dall'involucro contenitore (la copertina) al differenziato articolarsi del contenuto. Paro/, il quaderno d'arte progettato da un gruppo di lavoro attivo nell'ambito dell'insegnamento di estetica di Luciano Nanni, si presenta significativamente senzà editoriale, ma corredato da segnali precisi. Il titolo, innanzi tutto, che trascrive la parole saussuriana nella simbologia dell'alfabeto fonetico, a suggerire pronuncia, oralità. E poi il marchio, intenzionalmente criptico: il cerchio inscritto nell'ellisse, Tolomeo e Keplero quindi, il dialogo delle teorie scientifiche, ma insieme l'occhio che osserva e indaga. E ancora, in ex-ergon, il Platone del TeetetO', con la disponibilità a un ·logos né predeterminato né, in alcun modo, prevedibile: «Tu hai detto benissimo, che noi che facciamo parte di questo coro non siamo servi dei discorsi, bensì i discorsi sono servi • nostri, e ognuno d'essi aspetta d'essere finito quando a noi piaccia... ». Si è ·così avvertiti a sufficienza circa· la scelta metodologica: nessuna dichiarazione d'intenti, ma la volontà precisa di •affidare alla struttura il compito di significare le intenzioni. Nel primo numero della rivista esse emergono intantodal confronto tra una densa, puntigliosa indagine dèllo,'stesso Nanni sulla teoria della scuola di Praga, condotta attraverso un'ottica polisemica, e un vivace dibattito sulla· poesia ripreso, è il caso di dire, dal vivo, durante alcuni incontri bolognesi (presenti i poeti Porta, Viviani, Scalise, Cucchi). Il montaggio risulta interessante: se, muovendo da Jakobson, la voce solista del 'nuovo semiologo' discute, con modulazioni sicure, i termini della funzione poetica del linguaggio, rilevando i limiti di gerarchizzazioni immobilizzanti, la successiva cronaca delle 'giornate' bolognesi diviene immediata verifica polifonicadella mobilità e complessità dell'arte. Quando Porta afferma, ad esempio, che «il poeta si confronta sempre con la propria morte» e Viviani parla della poesia come stimolo «verso la propria esperienza dell'irriducibile», essi conducono davvero, nel particolare contesto della rivista, un dialogo simultaneo con quelle teorie e con il pubblico, presente e vitalissimo, degli studenti (e li si interroga, magari, sull'autoanalisi e il silenzio, la parzialità dell'esistere e la follia... ). Completano il numero alcune poesie giocosamente «paradisiache» di Nanni Menetti e una serie di interventi critici (di nuovo polisemia in atto) su una mostra del pittore Giorgio Zucchini (Celati, Faeti, La Polla, Nanni le voci a confronto). La frequenza dei nuovi quaderni d'arte, redatti da Mario Baldi e Luciano Lelli, si preannuncia annuale. parol 1 quaderni d'arte marzo 1985 Università di Bologna L'intrinseca necessità di sperimentare Antonio Porta Si può cominciare sondando il titolo di questa nuova raccolta di Giancarlo Majorino, che comprende poesie scritte tra il 1970e il 1981. Perché Provvisorio? Provvisorio è sempre il lavoro del poeta col linguaggio? Provvisorio il senso che può attribuire a questo suo particolarissimo lavoro? Se la risposta è sì, è così, allora significa prendere subito le distanze dalle rinnovate tentazioni metafisiche, assolutizzanti, che investono il fare poetico di responsabilità profetiche e religiose che probabilmente gli sono estranee. Dico «probabilmente» perché non si sa mai; il poeta non può sapere fino in fondo di che cosa si sta occupando, e non deve essere una sua preoccupazione quella di delimitare il campo del sapere o della conoscenza. «Provvisorio» significa anche collocare il linguaggio della poesia all'interno di tutti gli altri linguaggi che una data società produce in un dato momento della propria storia, sia essa pubblica o più sotterraneamente privata. Poiché un poeta parla soprattutto con le sue scelte di stile, di forma, di ritmo, «provvisorio» vuol dire «forma instabile», mobile, non definibile una volta per tutte. Significa anco- • ra: sperimentalismo. Paolo del Colle Giuseppe Pontiggia, che ha firmato la bandina del libro, sottolinea giustamente la «radicalità» della scelta stilistica di Majorino, una «radicalità» che ha come conseguenza la «ricchezza espressiva del suo linguaggio». Di fatto, quando lo sperimentare nasce da intrinseca necessità deve essere ricco, di ritmi, di metri e perfino di rime. L'intrinseca necessità di sperimentare è la conseguenza dell'esp_lorazione costante delle forme dei linguaggi: se non si parte da questa esplorazione si arriva solo a una letteratura statica, dunque insignificante. Majorino ritaglia, dunque, il proprio linguaggio poetico nel bel mezzo della lingua parlata, e lingua parlata significa storia recente, politica e personale. A guardare le date che incorniciano la raccolta si osserva che si tratta di storia e di storie degli anni Settanta, periodo tra i più tormentati e ancora molto discussi. Anni di morte, o anni di vitalità? La poesia ha già dato e continua a dare la sua risposta forte: anni di vitalità. Forse per questa ragione il linguaggio della poesia li interpreta più nel profondo di qualsiasi altro linguaggio. In altri termini, la vitalità della poesia degli anni Settanta, la sua disordinata proliferazione, dimostra la vitalità della storia. Va bene discutere e interpretare; ma la poesia non si esaurisce in queste pur necessarie funzioni. Una domanda legittima, allora, è questa: leggendo le poesie di Majorino c'è solo descrizione, mimesi, interpretazione, o qualcosa in più che ci commuove, che ci sommuova e risvegli? La risposta, positiva, sta in due punti: nella riuscita di un poemetto molto coinvoJgente, «Denti da latte», e poi nel senso di levità, di leggerezza, che tutto il linguaggio del libro induce nel lettore. Il lettore, cioè anch'io, sente questo bisogno di essere risollevato dalla grevità del tempo, dalle volgarità della Storia, dalle sue violenze, e di recuperare nella leggerezza, musicata, dei passaggi linguistici un'aria del tempo che non sia condanna e morte. Anche la morte è polvere, dice Majorino in una delle prime poesie della raccolta, e vola via col soffio dello stile. Giancarlo Majorino Provvisorio Milano, Mondadori, 1985 pp. 112, lire 18.000 Viaggio sapienziale Antonio Attisani Dopo il Dante, che rimane il risultato teatrale più alto finora della stagione '84-85, Leo de Berardinis ripropone con questo King Lear la· scena ·come luogo e mezzo del viaggio. Il testo shakespeariano è presentato in due tempi, il primo di sette e il secondo di undici scene. La dicitura «studi e variazioni» che integra il titolo non indica manipolazioni testuali né innesti •di altro materiale letterario, ma solo la continuazione di un programma di lavoro inaugurato da una versione integrale dell'Amleto e che ha trovato una migliore definizione, appunto, negli studi e variazioni su Dante. Le zone del Lear messe in scena in questa edizione salvano l'essenziale della trama, mentre la durata dello spettacolo è contenuta entro i limiti delle consuetudini correnti. • L'interpretazione che de Berardinis dà del testo non ha riscontri nella letteratura critica shakespea- • riana e l'originalità non è fine a se • stessa, come dimostra l'altissima e limpida resa di tutti gli elementi (e dunque degli autori) dello spettacolo. Vale anche la controprova: tutti gli esegeti del Lear hanno denunciato l'incongruenza di alcune scene (per esempio l'assurda spartizione del regno all'inizio), giustificandole semmai con moventi di pura convenzione narrativa; mentre la chiave scelta da de Berardinis illumina un disegno coerente di Shakespeare: il Lear come viaggio sapienziale, come sprofondamento nel nero, verso la morte e, forse, la rinascita (ma solo la morte è certa). In questo disegno l'autore principale dello spettacolo è ben assecondato dai suoi collaboratori. La traduzione di Dallagiacoma è un piccolo capolavoro a sé, forse la migliore della sua carriera. Dallagiacoma ha saputo fornire alla compagnia una lingua teatrale (che è cosa diversa da pur ottime traduzioni «da leggere») che conserva la plasticità dell'inglese di Shakespeare, ovvero il suo andamento multiforme nella costante chiarezza comunicativa: così che sentiamo le asperità dei momenti di concitazione e la distensione dei momenti lirici, la resa immediata delle metafore e il tono basso, profondo, degli stupori mortali di Lear. Un risultato non estemporaneo, nato da una collaborazione ormai pluriennale. De Berardinis firma anche scene e costumi, accentramento richiesto da un teatro d'autore che non sopporta esecutori o decoratori di idee altrui ma semmai corresponsabilità. Perciò questa mossa trova un valore nel contrario di ciò che suggerisce la prima apparenza: il responsabile delle luci Viani, il realizzatore delle scene Amadori e il tecnico del suono Manna hanno il merito di soluzioni raffinatissime e inedite, creativamente aderenti al progetto. E gli attori: mentre nell'Amleto sembrava esserci un abisso incolmabiCfr. Schede le tra il protagonista e gli altri interpreti, qui vediamo un nucleo d'attori che sta saldamente nella temperie dello spettacolo, attori ancora monocordi ma che hanno trovato un «centro», e in alcuni momenti accennano a rispondere autonomamente all'intensità di de Berardinis. Si diceva dell'interpretazione del Lear. Questa messa in scena ha il pregio di mettere lo spettatore a contatto con il testo, e non per fredda filologia ma proprio per la particolarità e la contemporaneità • dell'interpretazione. Lear è re in· quanto colmo di potere materiale, e proprio in quanto tale sente il bisogno di andare oltre, sa di avere un'anima - come tutti- ma non sa in cosa consista e come rispon- • dere al suo malessere. Eceo l'as-· surdo inizio: lo smembramento del regno, a cui corrisponde la di- • spersione dell'uomo in varie parti·, e l'inizio del viaggio. L'approdo: non è garantito, solo alla fine di inenarrabili orrori i .personaggi che rappresentano i vari aspetti dell'esperienza umana muoiono o scompaiono, e anche Lear può morire perché forse alla fine del viaggio la sua anima si è ricomposta; il regno resta al duca di Scozia, mentre il giovane Edgar, designato dallo stesso Lear e testimone delle sue peripezie, mostra d'essere Colui-che-ha-capito. Non si deve pensare, però, a uno spettacolo infarcito di simboli, a una mera traduzione di idee. L'interpretazione si concreta in un metodo di lavoro e in un'ambientazione, in un disegno che poi ogni attore completa da sé. In questo senso de Berardinis è grande protagonista per tutti i colori che sa conferire al suo personaggio, ma soprattutto per quel virtuosismo semplice che s'incontra al culmine di una maturità. Non si dimenticherà tanto presto la sua figura avvolta di bianco nel finale, la sua morte in una veste che sembra sudario e camicia da neonato; né il suo viso a occhi chiusi, immobile per un lungo tempo eppur(; specchio e risposta a quello che succede. Lo spazio scenico si estende dal palco a tutta la platea, confinando il pubblico su una scalinata di fondo. Le presenze che lo riempiono sono di duplice segno: concrete e calde da una parte (un tronco d'albero, copertoni; luci cinematografiche, d'inquadratura), geometriche e fredde dall'altra (forme di luce-colore, movimenti a percorso senza connotazioni realistiche). Ma la duplicità è destinata a sciogliersi. Utilizzando una metafora dantesca, de Berardinis ha pensato inizialmente il palcoscenico come luogo della «bella menzogna» e il viaggio ambientato invece nella ex platea, luogo dell' «ascosa verità», ma poi i momenti culminanti dello spettacolo sintetizzano entrambe le cose, la «verità della poesia» potremmo dire. C'è poi musica prodotta dagli attori con appositi strumenti e musica registrata (Purcell, Coltrane), ma di nuovo la scelta intellettuale e la tecnica sofisticata si autocancellano nella narrazione poetica. Cooperativa Nuova Scena King Leardi W. Shakespeare. Studi e variazioni Regia, scene e costumi di Leo de Berardinis Libri che restano. ITALO' SVEVO Romanzi I Meridiani A cura di Pietro Sarzana Introduzione di Franco Gavazzeni HENRI JAMES Romanzi brevi (voi. I) I Meridiani A cura di Sergio Perosa GIOVANNI MACCHIA Le rovine di .Parigi Passaggi GIOVANNI GIUDICI La dama non cercata Saggi e testi . GIOVANNI PASCOLI Poesie famigliari Biblioteca A cura di Cesare Garbali MARCEL PROUST L'età dei nomi . Biblioteca A cura di Daniela De Agostini e Maurizio Ferraris Con la collaborazione di Bernard Brun Introduzione di Maurizio Ferraris EURIPIDE Medea - Ippolito Biblioteca Traduzione di Raffaele Cantarella Introduzione, note e commento di Marina Cavalli A cura di Dario Del Corno SALVATORE QUASIMODO Lirici greci Biblioteca A cura di Niva Lorenzini Introduzioni di Luciano Anceschi (in vendita dal 9 luglio) ALBERTO BEVILACQUA Vita mia Lo Specchio SYLVIA PLATH Le muse inquietanti Lo Specchio A cura di Gabriella Morisco Traduzioni di Gabriella Morisco e Amelia Rosselli MILO DE ANGELIS Terra del viso Lo Specchio MAJAKOVSKIJ-BRIK L'amore è il cuore di tutte le cose Lettere 1915-1930 Medusa serie '80 Traduzione di Serena Prina Introduzione di Bengt Jangfeldt AA.W. Vite dei Santi dal Xli al XVI secolo Saggi e testi A cura di Christine Mohrmann PREMI LETTERARI Premio Biella Poesia italiana GIOVANNI GIUDICI Lume dei tuoi misteri Lo Specchio Premio Clemente Rebora GIANCARLO MAJORINO Provvisorio Lo Specchio MONDADORI <::S1--_____________ __JL.._ _____________ __,1 ______________ __.. ______________ ......... __________ _.
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