Alfabeta - anno VII - n. 74/75 - lug./ago. 1985

Mensile di informazione culturale Luglio/Agosto 1985 Numero 74n5 I Anno 7 Lire 5.000 74175 Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo 111/70• Printed in ltaly Papi/Porta/Santosuosso Santi/BerteHo/Boarini Schmitt: Ex Capti,,itate Salus PoerecensiscMeanzoni da Tira• (Maria Com1 • lndex: Bruxelles 29 Maggio 1985 • • en O e era ·r1~_0., -<·--> . ~ • • _•,• ·- '· -f.~, Saggei testidiricerca . ·.• ·" · •• '- 2 _•:.•, :-~-' .. J.-J.-Leb.Gel.,Dorfles, F. Leonetti, N. BalestrinGi,.CelliG, .Comolli, . - _-• A. Gargani, A. Porta

1985 ·N·uove trame dell'arte (21 giugno - 31 ottobre) Dopo un anno di ricerca, fatto di viaggi, visite in studi, gallerie e musei, e mostre di assaggio iniziate nel 1980, si inaugura il 21 giugno 1985 la prima mostra in senso assoluto dell'ultima generazione artistica internazionale, nel Castello Colonna di Genazzano, a trenta chilometri da Roma, « 1985 - Nuove trame dell'arte», curata da Achille Bonito Oliva, organizzata dal BussottiOperaBallet, dal Comune di Genazzano e dalla Provincia di Roma. Catalogo dell'Electa. Questa mostra, che raccoglie tra pittori e scultori un panorama di 63 artisti, fa seguito alla mostra «Le Stanze» tenutasi nel 1979 negli stessi spazi dell'antico castello, in cui abitò, tra l'altro, il Papa Martino V Colonna che riportò la sede della Chiesa da Avignone a Roma. L'esigenza della esposizione nasce dalla possibilità di poter presentare in termini estremamente selettivi la ricerca artistica dopo l'opera di apertura, tuttora viva e in corso, svolta dalla Transavanguardia. La nuova generazione parte infatti dalla ritrovata fiducia dell'arte nei propri strumenti espressivi, pittura e scultura, e nella praticadi un metodocreativoche individua nell'opera il momento di elaborazione di un progetto dolce, nell'idea cioè di costruzione del prodotto della fantasia. Nella convinzione che nella società di massa non esiste una massa di artisti, e che inoltre il valore dell'arte non sta più (come negli anni sessanta) nel suo momento processuale bensì nel suo risultato formale, la mostra è il frutto di una chiara selezione di opere e di artisti, fuori da ogni demagogico criterio di pluralismo e qualunquismo culturale. Il coordinamento della mostra è di Antonio d'Avossa, dell'immagine è di Enzo Pinci, l'allestimento di Cesare Panepuccia. Apertura tutti i giorni dalle ore 1O alle ore 20. Germania Bachhuber,Chevalier, Lange, Marjanov, Mehrkens, Rihs, Schilken, Schliesser, Schlinkert, Schumacher, Schindler, Tannert Austria Brandi, Mosbacher Svizzera Stalder Francia Ballet Spagna Cobo, Sevilla, Sicilia Gran Bretagna Bainbridge, Dennis, Gormley, Wilding Norvegia Per Barclay Australia Dale Frank Iran Bizhan Bassiri Brasile Machado Romania , Codre Usa Bidlo, Bowes, Brown, Chandler, Chevemey, Condo, Connelly, Haring, Mc Dermott & Mc Gough, Pollack, Scharf, Shoen, Schuyff, Yarber, Winters Italia Bianchi, Bonami, Cantalupo, Catania, Ceccobelli, Dessi, Fortuna, Gallo, Giusepponi, Limoni, Luzzi, Mirri, Nelli, Nunzio, Pace, Pizzi Cannella, Ragalzi, Santolini, Tirelli, Scalesse le immagindiiquestonumero Milanopoesia 1985 Le immagini fotografiche di Giovanni Giovannetti che pubblichiamo su questo numero di Alfabeta sono particolarmente significative. Interpretano, infatti, con invenzioni parallele quel festival della complessità del Linguaggio poetico espresso in codici molteplici, che è stato Milanopoesia 1985. Dunque Lefoto di Giovannetti sono parte integrante del festival e non semplice riferimento. Ciò costituisce, a mio avviso, un ulteriore momento di crescita rispetto alle edizioni precedenti, che pure si erano attestate a Livelli ragguardevoli. Ogni anno che passa è come se ci si mettesse a osservare Milanopoesia da un punto di vista diverso. Ogni anno vi sono contributi nuovi nella lettura della manifestazione, che vanno al di Làdella constatazione, pur vera e necessaria, che il pubblico di Milanopoesia mostra di non volere in alcun modo «Lasciarsidivertire passivamente», come LeLeggidel mercato vorrebbero. Ha scritto Giuliano Gramigna (Corriere della Sera, 3 giugno 1985): «La voce è strumento ·di contatto erotico, ma anche manifestazione dell'inquietante (oracolo) e dell'alieno (automa). Con il poeta che Leggeuna sua poesia, il pubblico si sente di colpo immerso in qualcosa di profondamente privato, al Limite imbarazzante, e insieme percepisce un distacco, il lato dell'artificio necessario. Forse si illude di entrare nella poesia per Lastrada più corta, quella di una diretta corrente fisica tra sé e il recitante. Anche una platea può diventare un 'laboratorio di poesia': ecco un'utilità di queste manifestazioni». Che oggi si possa pensare e attuare un «Laboratorio poetico» in pubblico è davvero un risultato che va al di Làdelle aspettative. La poesia è fluidità, mobilità, elemento cangiante oltre che scorrevole come acqua di fiume, e ciò che Larende tale è proprio il rapLuciano Erba Sommario Fulvio Papi Il lutto per Berlinguer pagina 3 Cosa Nostra pagina 3 Giorgio Vercellin Lettere orientali del 700 (Lettere di Mademoiselle Aissé a Madame C. ..; Lettere persiane, di Montesquieu; bettere orientali di una signora inglese, di M. Wortley Montagu) pagina 5 Edgar Allan Poe Poe recensisce Manzoni a cura di Roberto Cagliero pagina 6 Rocco Carbone Il nuovo Leopardi (Linguistica leopardiana, di S. Gensini; Il pensiero poetante. Saggio su Leopardi, di A. Prete) pagina 7 Bruno Pedretti Anceschi, Dorfles: il barocco (Architetture ambigue, di G. Dorjles; L'idea del Barocco - Progetto di una sistematica dell'arte, di L. Anceschi) pagina 9 Da Tirana a cura di Maria Corti e di Maurizio Ferraris pagina 11 Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeta. . Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute; ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli; b). tutti gli articoli devono essere corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: auDa Bucarest a cura di Tatiana Nicolescu e di Maurizio Ferraris pagina 11 crr. pagine 12-15 Testo: Cari Schmitt Ex Captivitate Salus a cura di Angelo Bolaffi pagine 16-17 Antonino Scalone Il pensiero giuridico di Schmitt (Dottrina della Costituzione, di C. Schmitt) pagina 18 Flavio Cuniberto L'occhio morto di Keplero (Arte del descrivere. Scienza e pittura nel Seicento olandese, di S. Alpers; L'occhio e lo spirito, di M. MerleauPonty; L'occhio e l'idea, di R. Pierantoni) pagina 19 Carlo Penco Dummett o Rorty (Filosofia del linguaggio. Saggio su Frege, di M. Dummett; Alle origini della nuova logica, di <.i. Frege) pagina 21 Roberto Guiducci Sociobiologia, un'autocorrezione (Il fuoco di Prometeo, di Ch. J. Lumsden e E. O. Wilson) pagina 22 Piero Santi Giacomo Manzoni, la musica positiva [Parole da Beckett - Ode - Masse, ai G. Manzoni) pagina 23 Enrico Groppali Camus il malinteso (Il malinteso, di A. Camus) pagina 25 Marinella Guatterini L'editoria di danza pagina 27 tore, titolo, editore (con città e data), numero di pagine e prezzo; c) gli articcifidevono essere inviati in triplice copia; il domicilio e il codice fiscale sono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collabo- ,ratori regolari. La maggiore ampiezza degli articoli ·o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi preferenziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma la rivista si compone prevalentemente di porto con il pubblico, che fruisce della sua natura essenzialmente Linguisticaper scorrere insieme a essa immergendola nel Linguaggio della quotidianità. Il rifiuto di «lasciarsi divertire passivamente» ha come prima conseguenza l'abbandono degli «stili» precostituiti per il consumo e che per questa stessa ragione devono essere semplificazioni. Il pubblico del «Laboratorio della poesia» affronta la complessità, non intende Lasciarsi addomesticare dalle possibili riduzioni di essa, che equivalgono a pure e semplici riduzioni di vitalità. I festival di poesia pongono problemi di diversa natura (e su questo numero di Alfabeta pubblichiamo uno scritto di Jean-Jacques Lebel, animatore di Polyphonix a Parigi, come apertura di un dibattito) ma mi par certo che si debba partire di qui, dalla necessità di arricchire le nostre risposte Linguistiche al manifestarsi della complessità. Senza il caos e Lostupore, suggerisce Aldo G. Gargani nel suo ultimo libro, non si costituirebbe la natura umana. La poesia, in tutte Lesue forme, con tutti i suoi possibili codici, incarna lo stupore, e si costituisce come prima e non dogmatica risposta al caos dell'esperienza. È forse la prima «forma» della ragione. Ora, la poesia «dal palco» si distingue nettamente dalla poesia «nel libro»; pure abbiamo ancora una volta constatato quanto la poesia «sulla pagina» dipenda dalla voce che la pronuncia. Il caso più evidente è stato quello di Brodsky: La «voce desiderante» sembra congelarsi nella scrittura per subito scongelarsi nella lettura. Senza queste interazioni il destino della poesia si bloccherebbe nelle infinite ripetizioni. Così non è, e l'avventura del Linguaggio continua. A.P. Nacho Criado Paolo Bertetto Avanguardie giapponesi (Giappone avanguardia del futuro - Genova, 26 aprile - 3/ maggio 1985) pagina 28 Vittorio Boarini Cannes 85 pagina 29 Giornale dei Giornali Bruxelles, 29 maggio 1985 pagina 30 Indice della comunicazione Confronto e ascolto pagina 30 Le immagini Milanopoesia 1985 di Giovanni Giovannetti Supplemento Supplemento letterario. 5 Per la pagina 9 - «Prove d'artistai. Sono giunte nella nostra redazione, accettando un nostro invito, opere grafiche di Roberto Barni, Franco Beltrametti, Bonfà, Tommaso Cascella, Pietro Coletta, Mario Cresci, Beppe De Valle, Marco Del Re, Pablo Echaurren, Marco Gastini, Giampaolo Guerini, Franco Purini, Aldo Spoldi, Marco Tirelli, Grazia Varisco, Silvio Wolf Prevediamo di pubblicare via via questi contributi alla nostra attività di «ricerca» letteraria e artistica, e siamo grati agli artisti. I dodici indovinelli di Eco Non siamo ancora riusciti a punire nessuno con un abbonamento. Lettere, cartoline postali e telegrammi sono affluiti in quantità, ma tutti hanno sbagliato almeno una risposta. Chi vuol soffrire tutta l'estate sarà dunque accontentato; il concorso infatti continua e, contrariamente a quanto annunciato, le soluzioni verranno pubblicate nel numero di settembre. collaborazioni su commissione. Occorre in fine tenere conto che il criterio indispensabile del lavoro intellettuale per Alfabeta è l'esposizione degli argomenti - e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono. Il Comitato direttivo alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Direzione e redazione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Art director: Gianni Sassi Editing: Marisa Bassi (Asterisco-Milano) Grafico: Bruno Trombetti Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico: Giuseppe Terrone Pubbliche relazioni: Monica Palla Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile: Leo Paolazzi Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica, viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 40.000 estero Lire 55.000 (posta ordinaria) Lire 70.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 6.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale 15431208 Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati

li .luttoper,io~,erlinguer L a nostra morte è già attesa co- certa scissione del nostro noi che non si identifica senza residui con zio il geroglifico del nostro allora: ripetesse in tutti gli interstizi del me segno sociale, e l'evento è avverte, con un poco di vergogna, l'istituzione, che cosa accade? senz'altro storici d'occasione che silenzio, una incredula eco, come una esecuzione che rientra lo spreco della commozione, come Il caso di Berlinguer forse era forse solo le immagini possono se fosse l'unica parola, il soffio, nel lungo periodo. Al contrario vi se già da allora noi avessimo dovu- proprio questo: c'era uno scarto aiutare e, al contrario,) documen- che la gente ha continuamente sulsono morti, molto poche nel tem- to sapere che poi le cose si sareb- tra l'immagine e il simbolico: ii ti scritti sviare. le labbra, una specie di paralisi po proprio di una memoria, che bero aggiustate. Molto più sempli- leader politico era certamente il emotiva che non declina in una sono occasioni per il manifestarsi ce la presenza di sé quando muore nucleo centrale, al segretario del l' immagine della morte di qualsiasi disciplina. I discorsi che di fenomeni e sintomi in sovrappiù qualcuno la cui vita per noi si pre- Pci apparteneva la sua simbolicità Berlinguer è compresa tra dal palco scendono alla folla parlarispetto alla aspettativa e alla nor- sentava monumentalizzata in una piena, eppure intorno a essa c'era due estremi che, a distanza no di chi se ne è andato e ne racmalità: l'elaborazione del lutto co- istituzione. Ma quando mai un alone non pienamente ricondu- di pochi giorni, sembrano persino contano la vita e i meriti. Le paromunica anche lo stupore per la muoiono i monumenti, esiste mai cibile a quel centro, fiorivano si- due stagioni. La morte è proietta- le sono commosse e hanno moscoperta dei suoi modi e delle sue menti felici, ma la folla ha come . forme. Vi è in questi casi come l'impressione di leggere queste paun'aura di riconoscimento recipro- role in un libro futuro, sono già co che il passare del tempo <lisso!- parole che vanno oltre e corrono ve. Credo sia stato il caso della troppo veloci sul lento vissuto del morte di Berlinguer e oggi, forse, lutto. I discorsi appartengono già si può tentare una comprensione o al futuro e invece, al momento, la un ascolto di quei segni sociali, un filigrana delle loro parole si strappiccolo tragitto di fenomenologia pa nella scissione tra simbolico e dell'immaginario che non ha nulla immaginario. a che vedere con il giudizio politi- I poteri abbrunati e feriti tendoco che appartiene ad altra forma no, per loro natura, a una compodel discorso. sizione; quale lutto di un gruppo Un anno e più è trascorso da sociale non è, del resto, una granquella grande commozione, e so de cerimonia di riparazione? Epche il rievocare un evento che pure durante la cerimonia pubblicoinvolge il proprio comporta- ca si sente che corre un'aria di retimento affettivo fuori dalla misura, cenza e di scomposizione: il tempo quando il periodo del lutto sia tra- cerimoniale non è il tempo del scorso, è sempre ragione di qual- cuore. Questa scissione di solito si che disagio. Occorre fare emerge- compone con la saggezza meschire la memoria di un io o di un noi na del «non c'è altro da fare». Ma, che non esiste più, e che tuttavia è appunto, il fare è la relazione che stato con una tale intensità che tiene insieme il pubblico e il privanon consente di essere messo in to. Quando questa relazione non linea diretta rispetto a quello che c'è, risuona solo il «non c'è altro». siamo diventati. Il noi di allora, Il vuoto domina la scena di masdeclinato al presente, .assume l'a- sa. Nella folla c'è certamente un spetto dell'iconografia fotografica, Ignazio Buttitta noi, tutti coloro che alle elezioni e, a fronte di questo silenzio, non votano per il Partito comunista, cerchiamo di esplorare il vuoto l'esperienza della loro morte? Un gnificati che andavano un poco al ta in una irreale piazza gelida che, ma non è un noi roccioso e fermo, della perdita per non ritrovare la monumento viene costruito in vita di là della figura simbolica. Oggi, con il suo cielo ostile e la messa in un noi da epopea partitica: è quasi gemma tenera del nostro deside- perché anticipi ogni tempo al pre- dicevo, si prov.a un certo disagio a scena teatrale, segna la linea retta un'espressione ondeggiante, si avrio .. Tutto è molto più semplice sente e ne estenda, fin che può, la ricordare come era in noi quel lut- del dovere quotidiano del leader. verte l'aggregazione di un milione quando possiamo ripetere la stiliz- legislazione. Ma quando chi muo- to, che cosa eravamo noi in quel • L'altro polo è una folla che sostie- di singole persone, ciascuna delle zazione di un rito. Eravamo re appartiene certainente all'istitu- lutto, come se allora si fosse gioca- ne la dimensione del paesaggio in quali, più che riflettere all'altro la astratti allora, lo siamo ancora: zione, ha certamente un valore to l'ultimo giorno d'infanzia. E in- un cielo che ha acquistato tutti gli promessa del futuro, si manifesta siamo fedeli a una idea. simbolico e la sua stessa figura fisi- vece occorre rievocare la confusio- abbagli dell'estate. come specchio del dolore. La morL'esperienza della memoria di ca ha acquistato la forza di una ne emotiva e far parlare il tesoro Berlinguer, a questo punto, non te nel suo assoluto non-senso ha un immaginario conduce .a una icona, e pur tuttavia chi muore della memoria, strappare al silen- è più: ma è come se il suo nome si invaso la soglia del politico, luogo •••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••• I CosaNostra I • • • • • • : r--------------- di Bruxelles che già un orrore di sero più notizia, Senza la violenza, cendo al più insistente: «Stai zitto nascosto dai nonni e per entrare : : La notizia lordata altro tipo, ma non meno sconvol- in pectore o in atto, salvo poi a tu, che fai solo il tuo sporco me- nell'acqua si era tolto canottiera e : • Antonio Porta gente, ci attanaglia». Cito queste deprecarla con immensa faccia di stiere, che è quello di vendere più mutandine, appunto per non farsi • : ..._____________ __. righe perché bastano da sole a bronzo per cavalcare ancora una copie ... ». scoprire ~ causa degli indumenti: • La notizia, poi risultata falsa, è mettere in collegamento violenze volta la tigre della notizia per la La logica della violenza ha qui bagnati. E annegato, ignaro dei • : stata data in questo modo: «Un analoghe (dire di «altro tipo» suo- notizia, la più efferata possibile. le sue radici: ne/l'imperativo cate- pericoli, come tutti i bambini. : • bambino di 4 anni abitante a Ope- na davvero incongruo). Ma non r-'""'77::::---:777777'7'777TIIT7ff.Èt.SGS77Il gorico di vendere di più. L'«indice Ora, che il semplice fatto che un• : ra (Milano) vittima della violenza posso fermarmi qui: ho sentito in t/? :\ ?i di gradimento» è diventato il solo bambino sia nudo scateni l'ipotesi : • di un mostro a Pisa - Alessandro questa falsificazione della vicenda ....,.,.,.~. ,,,,.,.,,,.,,\}/[. ]\ \@ indice della società industriale di mostruose violenze, è la notizia • : rapito, violentato, soffocato e get- di Alessandro troppa voglia di da- ......................... avanzata, o comunque la si voglia più sconvolgente. È la conferma : • tato nell'Arno - il piccolo, in va- re in pasto al pubblico la quotidia- < <? chiamare. Il «mercato» la divinità che il mostro è sempre pronto a • : canza dai nonni, aveva chiesto di na razione di violenza. suprema. I più preparati sanno manifestarsi, dentro la nostra : • p~ter scendere in cortile per recu- Entriamo dunque nel cuore del ~~~~ che la divinità «mercato» si cor- mente. Se la violenza di pochi è • : perare un giocattolo: da quel mo- problema: la strage di Bruxelles ruccia e risponde picche quando i preparata da molti, come si è det-: • mento è scomparso - Le indagini così come lo stupro immaginario prodotti offerti non sono all'altez- to (cfr. «Stupri omologati», in Al-• : ancora a un punto morto- Ferma- di Alessandro sono i prodotti ben za della situazione (è certamente il fabeta n. 73), risulta sempre più: • to e subito rilasciato un uomo di riconoscibili di una cultura della caso del mercato automobilistico). chiaro il significato pqlitico di • : 50 anni». Il tutto in prima pagina, violenza diffusa (ma non ancora Ma prosperano anche i venditori un'espressione come «violenza: ~ • su cinque colonne, con foto-gigan- vincente). di prodotti inesistenti, come quelli diffusa». Nessuno si sogna di ne-• ~ : te del piccolo Alessandro. La cultura della violenza produ- di notizie false. gare la responsabilità personale : -~ • Il giornale, come gli altri giorna- ce in eguale misura morti reali e È troppo ingenuo chiedere e del delitto (di rilevanza penale o• t:)... : li di quel giorno, non faceva che morti immaginate; il passaggio ·•··•••••···.,." ... », perfino pretendere che i giornali civile che sia), ma sarebbe da cie-: ~ • riprendere acriticamente le prime dall'immaginazione alla realtà è ·•···•••·.·······•·• facciano da arbitri in una situazio- chi seguaci della cultura oggi pre- • ......:, ipotesi degli inquirenti. Alla tv, istantaneo e incontrollabile. L'in- ,/?/:'/•/C/ ne sempre più esplosiva? Lo è cer- valente il negare la responsabilità : ~ • Tgl o Tg2, uno degli inquirenti quisitore del caso di Alessandro tamente, visto che i giornali prete- culturale, dunque sociale e politi- • ~ : annunciava che l'autopsia del pie- ha tentato di percentualizzare la riscono lo «sporco mestiere» e mo- ca, della violenza. : :si • colo era in corso ma che valutava probabilità di questo passaggio. Il strano arroganza decisionista nella Nel caso del piccolo Alessandro • j> : «al 70 per cento» la possibilità del- linguaggio delle cronache sportive Joseph Brodsky scelta di «ciò che fa notizia», che è le strutture dell'informazione han- : • la violenza. Mai, prima di allora, di questi ultimi anni è sempre sta- la figlia primogenita di quella vio- no ancora una volta dimostrato • ~ : avevo sentito azzardare percen- to articolato come se la violenza Mi è venuta in mente una battu- lenza che si vorrebbe attenuasse- che la ~tessa violenza è merce pre- : ~ • tuali sull'orrore anticipato. immaginaria fosse la realtà delle ta di un film americano. Qualcuno ro... giata. E questo il segnale più chia- • i:: : Un commentatore solerte intan- competizioni sportive. Come se le si rivolge alla torma dei giornalisti La notizia «pulita» della morte ro del passaggio che si sta tentan- : ~ • to scriveva: «Abbiamo appena sol- competizioni sportive perdessero affamati di nefandezze (a costo di di Alessandro era questa: che il do dalla cultura del consenso a• g : levato lo sguardo dai poveri morti qualsiasi interesse, cioè non faces- percentualizzarne la verità ... ) di- piccolo voleva andare al fiume di quella dell'imposizione. : ~ ....................................................................................................... .

privilegiato per tradizione del suo «dominio» o della sua rimozione. La morte non è ancora metaforizzata nel rito, e nessuno è riuscito a compiere il suo dovere del lutto. Il partito è presente non nella sua forza, ma nella sua fragilità, non nella sua idea, ma nella sua comunità emotiva, riel suo margine di sfaldamento nella vita quotidiana: estrema ricchezza della politica. L'esperienza collettiva della morte di un capo per un gruppo sociale è sempre un rito di rassicurazione per chi sopravviverà e avrà le medesime leggi. Il rito codifica il dolore nel sociale, ma non è sicuro che il rito consegua il suo successo, specie in società dove l'aggregazione è un elemento del lutto. Tuttavia etichetta e cerimoniale cercano, nella ritualizzazione, di ripetere il potere e tutte le forme del sistema rispetto al quale il morto diviene l'occasione per la rappresentazione. A questa fenomenologia del rito appartiene certamente, per stare nell'area del Partito comunista, il funerale di Togliatti: la commozione popolare era enorme, ma all'interno di una disciplina che trasformava le esequie in una esecuzione non priva di tracce quasi militari. Solo all'apparenza il dolore è uguale: la consapevolezza, la responsabilità e l'intelligenza gerarchizzano chi piange, chi è triste, chi riflette, chi sa. Immaginario e simbolico non si paralizzano in un opaco silenzio, sono quasi una divisione territoriale. L'esperienza della morte di Berlinguer non ha avuto queste caratteristiche, il rituale non ha codificato il lutto, le mediazioni non hanno mediato, e qualsiasi apparato aveva l'aspetto di un criterio d'ordine atteso e disatteso. Prevaleva l'addio senza genere, la continua ossessiva ripetizione della mancanza, così che se il futuro si presenta come immagine, esso contiene questa falla, si presenta già sbrecciato, la linearità dell'avvenire è veramente spezzata ed esso scorrerà come un nastro inceppato. ( f è una osservazione molto povera di contenuto analitico e che vale più che altro per la sua forza di approccio supercilioso: siamo forse in un caso di «culto della personalità»? L'espressione può essere usata quando ogni atto pubblico nomina una persona come fondatore garante e mediatore della norma della legittimità e del senso: e questa funzione s'inscrive positivamente nelle forme stesse di distribuzione dei poteri. L'immagine in questo caso personifica .l'organicità dell'insieme come bene, e ha un rilievo simile a quello del corpo del sovrano nella filosofia del diritto di Hegel. Tutto questo non ha nulla a che vedere con una società come la nostra dove esistono persone che hanno poteri molto grandi (i quali vanno anche al di là di ciò che le regole stabiliscono), ma la loro pubblica immagine è proprio il nascondimento del potere e la sottolineatura degli elementi di uguaglianza e di comunanza con tutti gli altri. In questo gioco di spazi Berlinguer probabilmente veniva percepito come diverso sia dai leaders dei paesi comunisti, sia rispetto alla media dei leaders nazionali, in quanto figura priva di un suo potere istituzionale, e tuttavia diverso dall'eguaglianza demagogica con l'uomo comune proprio perché interprete di un senso collettivo che ha il solo potere, non indifferente, di se stesso. In questa idealizzazione si costruiva così un carisma affettivo, un riconoscimento del margine della propria speranza, un al-di-là, spesso poco dicibile, del proprio modo di essere. Era forse il lut!o per la morte di 'ùna figura paterna o per quella di un capo che risarcisce nel gruppo il disastro caratteriale che viene provocato nei singoli da un eccesso di figura paterna? Sono modelli di comprensione psicoanalitica e sociologica degli anni Venti e Trenta, che tuttavia non sfiorano alcuna verità. Da tempo non siamo in una vita sociale che valorizzi il bisogno emotivo di una forte autorità paterna, ed è alle nostre spalle il mondo nel quale l'esperienza frustrante del padre struttura personalità vuote risentite e potenzialmente violente. Viviamo in una dimensione collettiva dove ha larga prevalenza lo scambio narcisistico, fragile ma insuperabile, quel narcisismo che provoca una «cura di sé» puntigliosa ed esecutiva di interminabili frammenti mitici: siamo, come si dice, nel mondo delle occasioni, delle circostanze, della non-cumulatività, del nomadismo dell'io, dell'affettività breve e pervasiva. In queste condizioni il lutto collettivo non può seguire una elaborazione direttiva che ne accentui gli aspetti formali. Esso si compone di una serie di lutti propri poiché non si piange se non qualcosa che riguarda una mancanza che è veramente «dentro di sé». In caso contrario vi è la risposta di un comportamento standardizzato che deriva dall'incredulità, la teatralizzazione e l'abitudine alla proiezione di ogni evento nella dimensione dello spettacolo. Il dolore nella nostra epoca molto difficilmente è collettivo: come collettivi sono invece le autostrade, 1 divertimenti, 1 segni d'appartenenza. Ciò che è pieno, per così dire, può essere scambiato socialmente, il segno della sofferenza appartiene alla sfera del privato, e il pianto è per lo più la ribellione di una infanzia che non è mai stata aiutata a crescere. Così che la collettività del lutto, se non è un decreto o una convenzione istituzionale, deve essere necessariamente una costruzione di casi individuali. U n lutto sociale come quello per la morte di Berlinguer era quasi una costruzione di riflessi individuali, ciascuno rifletteva nell'altro la propria mancanza, e la collettività della mancanza diventava così la collettività del noi, anche se il dolore stentava a comporsi in un rituale. Era il linguaggio del sentimento che esprimeva questo percorso: esso collettivizzava le espressioni del sentimento privato e le modalità affettuose di ognuno, che poi sono eguali per tutti. Berlinguer non era mai oggettivato poiché le parole erano quelle della dialogicità dell'io costruito nella confiden- •zialità dell'affetto: tu ed Enrico. La morte, la cesura irreversibile, portava alla superficie del discorso il modo in cui ognuno nella sfera del desiderio aveva immaginato di potersi rivolgere al proprio leader. Pensare Berlinguer con il tu e con il nome è tutt'altra cosa dal dare del tu facendo precedere il cognome dalla parola storica di «compagno». In questo caso il tu non ha più nulla di personale, esso è istituito dal costume e da una appartenenza. È molto diverso dover essere uguali per una norma e costruire, come conseguenza di un affetto, la scoperta di un tu. Enrico è una collettiva percezione di affetto che cominciava a diventare costume anche in vita. Questa circostanza era resa possibile anche dal «noema», cioè dalla figura di Berlinguer, dalla sua aura:· e credo che in questa soglia si consuNe/o Risi masse storicamente la figura tradizionale del leader. Forse erano soprattutto due i sentimenti che si esprimevano in questa forma collettiva di elaborazione del lutto: la colpa e il riconoscimento. Due sentimenti che avevano le loro radici in quello che chiamerei il processo di affidamento. L'affidamento deve esseGabriele Frasca re, se pure sommariamente, analizzato, poiché vi sono differenti forme di affidamento. Nel caso di Berlinguer l'affidamento nasceva da due elementi che erano in qualche modo concomitanti. Berlinguer riusciva a conservare il partito come cultura collettiva in un momento di mutamenti radicali: la rivoluzione come strategia politica non era più credibile della vita eterna, l'Urss si mostrava un paese dai tratti di politica estera imperialistica, il terrorismo era la atroc~ caricatura della lotta di classe, gli interessi collettivi sfumavano in conflittualità periferiche, il sistema politico perdeva la sua relazione con il sistema della cultura e mostrava la propria efficienza soprattutto come macchina riproduttiva di poteri, il socialismo è facile a dirsi, ma è di una straordinaria difficoltà indicare mezzi e fini. Il mutamento tende al vuoto. Ora tutte queste cose sono «problemi», almeno quando si crede alla dignità dell'intelligenza. Ma queste medesime cose dette nel dialogo che ognuno ha con se stesso, quel dialogo su cui è costruita l'ambiguità della propria identificazione, ineriscono direttamente alla possibilità di «credere» e alla costellazione di sentimenti e di comportamenti che appartengono al «credere». Berlinguer era riuscito, tra gli scogli del mutamento, a evitare perdita e smarrimento, a congiungere tradizione e innovazione: un valore più generale che va al di là del consenso o del dissenso sulla linea politica specifica. Questo mi pare fosse il sentimento di affidamento. Ma esso era ancora più rilevante in una circostanza in cui si ripeteva da ogni parte (come fosse un'emancipazione ed era solo un fatto) che la politica non è il centro dell'esistenza poiché non è la salvezza propria dell'epilogo giusto e glorioso della storia. È, anzi, una pratica accanto ad altre pratiche. Diminuiva così la giustificazione della propria forma di vita, si allargava l'area partecipativa alle gioconde banalità di ciò che è comune, iniziava la dissolvenza della propria specificità e perdeva forza la storia della propria giovinezza. Eppure nel partecipare al mutamento, nel fondo rimaneva forte una volontà di tradizione. Un complicato reticolo di compromessi e di desideri che coinvolgeva un paio di generazioni dal quale, probabilmente, usciva anche un sentimento di colpa, ma come per un peccato tanto diffuso da essere certamente veniale. Questo stato d'animo conduceva all'affidamento, e - se devo ricorrere proprio a una figura parentale - direi affidamento alla figura del «fratello maggiore» il cui lavoro ha consentito la nostra distrazione, la nostra vacanza, e, tuttavia, ha continuato a riflettere la certezza di appartenere a una famiglia. I n un momento, che ovviamente perdura, di diffuso discredito sul valore identificante del lavoro, credo che il modo della morte di Berlinguer abbia portato in primo piano una immagine del tutto diversa del lavoro. È sul difficile lavoro della parola che muore, fragile e ostinato nel mentre cerca di comunicare ciò che gli sembra la sua verità politica. È sulle parole che ormai inciampano che arriva il segno della morte. Era il suo lavoro, ma è un lavoro che chiede quella dimenticanza di sé di cui non siamo più capaci, o alla quale non crediamo come a una virtù. Tutto questo va bene sino a che si tratta di argomenti, ma in questa disputa quale è l'argomento della morte? Emerge il lavoro come dedizione, ma senza alcun elogio del fare e soprattutto senza sentirsi qualcosa - quel sentirsi che è uno dei più vergognosi peccati di orgoglio -: un lavorare senza fatica apparente, come fosse un compito di natura. Nell'immaginario collettivo questa morte evoca fantasmi di valori che giacciono nel silenzio imperfetto della nostra coscienza. La «morte rossa», come si sa, ha una lunga storia: è l'epilogo tragico di coloro che si sono dedicati alla causa politica e sono stati perseguitati, violentati e spesso uccisi. Questa è una antica storia di croci nel movimento operaio, ma rimane pure un alone di destino romantico anche nella «morte rossa». C'è una cura, una esclusività e un coraggio che qualche volta essa condivide con uomini che si trovano dalla parte avversa: poiché anche negli altri c'è onore. Questi sentimenti sono molto difficili e si possono sopportare più facilmente in tempi di sciagure, quando la paura è così intensa da generare aggressività e spirito temerario. Abbiamo passato, e giustamente, decenni per togliere alla politica il prezzo della morte, per stabilire regole del gioco che proteggano noi e i nostri avversari consentendoci le azioni che ci paiono giuste. Al punto che questo lavoro è stato persino dimenticato: la politica, diventava un'abitudine il dirlo, scende ormai su altre scale dell'esistenza: il potere, l'interesse e, persino, il gioco. Il modo in cui è accaduta la morte di Berlinguer ha congiunto in modo inaspettato, e a dispetto di tutte le nostre dimenticanze, la relazione sotterranea che ci può essere tra l'occuparsi della polis, tra la passione razionale per la città, e la morte. Nella miscredenza diffusa, nell'indifferenza quotidiana, spesso strumenti che ci aiutano a vivere come convenzioni della nostra reciproca estraneità, è ritornato improvvisamente, certo per un caso, ma che non è arbitrario assegnare al tracciato di un destino, il modello antico della «morte rossa», senza poesia epica, senza scenari, solo come un lavoro che a qualcuno spetta di eseguire con ordine. Così che sul nostro sereno affidarci era apparso il volto inaspettato della morte: si era aperta una fenditura fatale nella nostra esperienza nella quale sarebbe poi passata la nostra possibilità di elaborazione del lutto. Forse fu eccessivo l'affidamento al «fratello maggiore», e l'affidamento aveva stabilito un rapporto più debole poli- ~ ticamente, ma più profondo affet- <:::i .s tivamente di quanto non accades- ~ se nel caso lineare della rappre- I:). sentanza politica. Per questo il ~ °' movimento dell'affetto impediva ....,. la sutura istituzionale del lutto: «ci ~ c5 mancherai Enrico». ~ .$1 i Con il solo metodo a disposizione in questi casi, il rivivere immaginativo, ho cercato di ripercorrere quel lutto collettivo di un anno ~ ~ fa. Da questo punto di vista non ci K sono morali o giudizi. So solo che si dimentica.

Lettere di Mademoiselle ~ a Madame C... a c. di Benedetta Craveri Milano, Adelphi, 1984 («Piccola Biblioteca» 169) pp. 230, lire 12.000 Montesquieu Lettere persiane introduzione e note di Jean Starobinski traduzione di G. Alfieri Todaro-Faranda Milano, Rizzoli-Bur, 1984 pp. 382, lire 7.500 Mary Wortley Montagu Lettere orientali di una signora inglese introduzione di Anne Marie Moulin e Pierre Chouvin ed. it. a c. di Luciana Stefani Milano, Il Saggiatore, 1984 pp. 274, lire 30.000 P er coincidenza (ma Giorgio Galli ci suggerisce di andarci cauti con le congiunture apparentemente fortuite ... ) nel 1984 sono apparsi in Italia vari volumi accomunati da punti di contatto forse più o meno evidenti ma tali comunque da stimolarne una lettura a luce radente. Con tale ottica (senza dubbio forzata, ma tuttavia stimolante) è possibile mettere in risalto una trama peculiare che non solo percorre questi testi, ma si ritrova in tutta la nostra cultura moderna e che proprio in questi anni - di nuovo certo non per coincidenza - riappare come un intreccio di nodi resi ancor più cruciali dalle contingenze della nostra epoca. Uno dei punti di contatto è di immediata percezione: la loro forma compositiva a epistolario. Non importa - dal punto di vista che qui ci interessa - il dettaglio che alcune siano lettere veraci scritte per essere spedite a destinatari in carne e ossa, mentre in altri casi si tratta di semplici artifici stilistici. Infatti, anche in questo secondo caso ciò che conta è che «fingere che si pubblichino dei documenti comunicati da viaggiatori (... ) significa appellarsi all'autorità della vita reale ( ... ) significa negare ( ... ) un'origine immaginaria» (J. Starobinski, Introduzione a Lettere persiane, pp. 11-12). Altro tratto comune è che queste opere sono state composte pressoché contemporaneamente, intorno agli anni Venti del XVIII secolo, quando cioè iniziano a delinearsi le luci (e le ombre) dell'Illuminismo. Ed è proprio in questo secolo, anzi esattamente in questi anni, che sorge anche quella scienza il cui oggetto di studio è il terzo elemento che collega i testi, vale a dire l'Oriente. Precisiamo subito: Oriente è parola estremamente ambigua che 2 solo di rado, per non dir quasi -~ mai, sta ad indicare, come vorreb- ~ bero i dizionari, «l'insieme dei paesi asiatici» esteso dall'Anatolia all'arcipelago nipponico. Questo 2 Oriente generico e sconfinato ricS ~ mane uno sfondo sfocato da cui si ]i stagliano i molti Orienti particola- ]' rie limitati (nel tempo e nello spazio) che si differenziano l'un l'altro non tanto per i suoni delle lingue o le forme degli occhi dei loro abitanti, quanto soprattutto per le ~ civiltà che vi si sono sviluppate. l Roland Barthes, cogliendo con ~ l'usuale sensibilità l'esistenza e ereorientalidel700 l'importanza di tali differenze, annotava nell'Impero dei segni (Torino, Einaudi, 1984, pp. 230-31): «l'olio [giapponese] (ma è poi proprio olio, si tratta davvero della sostanza madre dell'unto?)... è secco, senza più alcun rapporto con quel lubrificante con cui il Mediterraneo e l'Oriente coprono la loro cucina e la loro pasticceria». Ecco, è questo Oriente, «parte integrante della civiltà e della cultura materiale dell'Europa» (E. Said, Orientalism, London, Routledge and Kegan Paul, 1978, p. 2), il terzo elemento in comune ai nostri libri. L e tre coordinate così evidenziate (quella formale, quella storica e quella geografico-culturale) costituiscono dunque una delle possibili griglie di racGiorgio Vercellin nello stesso grado: il lettore suo contemporaneo, che poteva senza difficoltà trovare riscontri concreti per il primo, assumeva pure la descrizione del secondo come esatta; mentre il lettore di oggi a sua volta, non potendo verificare alcunché di persona, si basa sul giudizio dei suoi predecessori e accetta perciò di buon grado come veritiere tutte le descrizioni di Montesquieu. Tanto più che le osservazioni parigine di Rica e Uzbec sono corroborate da altre fonti, come le Lettere di Mademoiselle Aissé, la principessa circassa acquistata nel 1698 al prezzo di 1500 livres nel bazar di Costantinopoli dal diplomatico francese Charles de Ferriol, quando aveva appena quattro anni. L'unica cosa orientale rimasta in Aissé sembra essere il ricorCarmen Gregotti cordo tra i tre volumi settecenteschi, dove gli estensori - veri o fasulli - delle lettere hanno scelto di riportare un certo numero di osservazioni, di giudizi, di critiche, di paragoni non solo sulle nuove realtà con cui sono venuti a contatto durante i viaggi, ma pure su quelle che si sono lasciati alle .. spalle. Si rileggano, ad esempio, le pagine di Lady Montagu sulla poesia turca, i suoi tentativi di farla apprezzare ai corrispondenti, tra cui il poeta Alexander Pope, anche «dandogli lo stile della poesia inglese», e i suoi commenti sui meriti e demeriti delle due lingue e delle due culture (pp. 157-60). Non diverso è il comportamento di Rica e Uzbek nelle Lettere persiane: le scoperte delle meraviglie della vita in Occidente sono contrappuntate dai ricordi delle esperienze passate e soprattutto dalle notizie su quanto avviene nell'harem in Oriente. In questo modo, Montesquieu pone i due mondi sullo stesso piano, come esistenti do lontano della nascita tra i monti del Caucaso: eppure, malgrado il suo totale inserimento nell'ambiente di corte, ella «sentiva di non godervi di una cittadinanza a pieno diritto: le era stata cortesemente concessa la parte di spettatrice, non di protagonista» (B. Craveri, Introduzione a Lettere di Mademoiselle Aissé, p. 20). Tuttavia proprio questa collocazione ai margini del privilegio permette alla circassa neofita di Parigi un'estrema estraniazione e una totale assenza di pregiudizi nel descrivere l'ambiente che la circonda: non ha tradizioni da difendere, non ha retaggi da trasmettere (addirittura non rivelò mai all'amatissima figlia nata dalla relazione con il Cavalier d' Aydie il legame che le univa). Viaggiatrice di passaggio alla corte di Francia più che cortigiana-,Aissé si accorge senza preconcetti e senza pudori (il che non vuol dire, però, in maniera cinica o freddamente distaccata) che «tutto quello che accade in questa monarchia annuncia la propria distruzione» (p. 52). Tale constatazione è - come già detto - affatto priva di qualsivoglia rimpianto, né lascia trasparire il minimo interesse per un rinnovamento o per un cambiamento. Dalle lettere di Aissé manca quell'urgenza di riforme che invece costituisce il nerbo delle Lettere persiane laddove l'estraniamento è cercato a bella posta da Montesquieu proprio per esplicitare senza timore le critiche più aspre all'ordine costituito e per sollecitarne uno nuovo. L a giovane principessa-schiava si rivela assai più vicina a Lady Montagu: le due donne descrivono i mondi con cui sono a contatto con grande curiosità e con altrettanto sincera partecipazione affettiva, certo; ma sanno di Equilibrio di giudizio, rispetto dei costumi dell'altro, del diverso, curiosità attiva (inviando a una Lady non identificata le informazioni richieste sulle lettere d'amore turche: «Se la mia curiosità non fosse stata più tenace di qualsiasi altro prima di me, mi sarei vista costretta a risponderLe scusandomi, come ho dovuto fare quando desiderava che acquistassi per Lei una schiava greca», p. 202). E vi si accompagna ironia e autoironia, e soprattutto un atteggiamento di ricerca della conoscenza e del contatto con l'altro nel reciproco rispetto («Ho pensato che avrei deluso la sua [della moglie del Visir] curiosità (... ) se fossi andata vestita in un modo che le era familiare, e perciò ho indossato l'abito di corte di Vienna, che è assai più sfarzoso del nostro», p. Biancamaria Frabotta esserne comunque estranee, semplici testimoni. E se non risparmiano le annotazioni di dissenso, non pretendono neppure di possedere loro la verità da proporre o perfino da imporre. Si legano in questa chiave i giustamente celebri passi di Lady Montagu sull'inoculazione del vaiolo, e ancor più quelli in cui la giovane donna racconta alle amiche lontane la sua decisione di adattarsi alle usanze locali per quanto riguarda la sua seconda maternità: «Ero molto contrariata da questa necessità, ma, avendo notato che mi guardavano con una grande aria di disprezzo, ho finito per mettermi al passo e ho partorito un figlio anch'io» (p. 215); «Non considero questo come una delle mie avventure più divertenti, benché debba ammettere che qui è assai meno penoso che in Inghilterra( ... ). Nessuno sta a letto per un mese, e io non sono certo tanto attaccata alle nostre usanze da rispettarle se si dimostrano inutili» (p. 194). 168; «La signora che aveva l'aria di essere la più importante fra di loro mi ha invitata a sedere vicino a lei e mi avrebbe voluto volentieri spogliare per il bagno. Ho avuto qualche difficoltà a tirarmi indietro perché erano tutte molto insistenti nel loro desiderio di persuadermi. Alla fine sono stata costretta a slacciarmi la gonna e a mostrar loro il busto. Questo le ha del tutto soddisfatte perché ho capito che credevano che io fossi imbrigliata in quell'arnese al punto di non potermene assolutamente liberare e che attribuivano quell'espediente a mio marito», p. 139). È eccessivo supporre che la controparte ottomana abbia colto e apprezzato questa disponibilità, e che proprio perciò alla moglie dell'ambasciatore Wortley siano state aperte porte fino ad allora rimaste sprangate, quali quelle dell'harem? Lady Montagu andava a ragione fiera di simili visite («Ho avuto la fortuna di fare amicizia con alcune signore turche e di riuscir loro simpatica: posso addirit-

tura vantarmi di essere la prima straniera cui sia toccato questo onore», p. 205, e vedi anche p. 209): mai infatti, a quanto ci è noto, simili privilegi furono concessi ad esempio a Madame de Bonnac, la moglie dell'ambasciatore di Francia, che girava per Pera solo se munita di «tutte quelle formalità e quelle cerimonie che rendono la vita impersonale e tediosa» (p. 148). E ppure possiamo essere sicuri che, una volta tornata nei salotti di Parigi dove la incontrerà anche Ais.sé (p. 38), Madame de Bonnac si comportò come «quella gente che passa gli anni qui a Pera senza aver mai visto Costantinopoli ma ha la pretesa di parlarne», come deplora Lady Montagu (p. 208). Poco di grave, se queste chiacchiere fossero rimaste nei salotti, e; soprattutto, se le sue descrizioni non avessero trovato conferma in molti volumi di viaggiatori e non avessero avuto proprio in quegli anni un'eco nelle Lettere persiane. Per quanto riguarda i primi Lady Montagu ha idee e esperienze molto precise: «Ho scritto una lettera a Lady ( ... ) che credo non le piacerà ( ... ). La stizzisce il fatto che io mi rifiuti di raccontar storie come gli altri viaggiatori. Sono convinta che si aspetta che io le parli degli antropofagi e degli uomini che hanno la testa sotto le spalle» (pp. 121-22); «Forse La sorprendo con questa mia descrizione così differente da quelle che conosce Lei, opera dei soliti scrittori di viaggi, sempre pronti a parlare di quello che non sanno. Solo per ragioni molto particolari o in occasioni straordinarie un cristiano può entrare nella casa di un personaggio importante e gli harem sono sempre terreno proibito. Così possono parlare solo dell'esterno, che non dice gran che; inoltre gli appartamenti sono tutti sul dietro, quindi invisibili» (pp. 166-67, vedi anche pp. 152, 165, 177, 188 ecc.). Senonché tutto ciò ha un'eco nelle Lettere persiane: Jean Starobinski nella sua Introduzione mette in evidenza che «Montesquieu ha voluto che Uzbec fosse( ... ) un fedele rappresentante dei costumi familiari persiani (secondo le informazioni precise fornite da Chardin, Tavernier, Rycaut ecc.)» (p. 30). Ecco quindi che, se «il lettore francese è invitato a prendere le distanze per esaminare, dal punto di vista dello straniero, gli usi del suo paese ( ... ), in compenso è ammesso nell'intimità delle sue anime e dei suoi corpi, nella Persia lontana (... ). Nell'immaginario erotico la Persia è vicina» (p. 18) e «il campo erotico serve come luogo di esperienza immaginaria per una teoria generale del potere» (p. 40). Ma come la mettiamo con il dettaglio essenziale che il «campo erotico» persiano utilizzato da Montesquieu non solo è immaginario, al pari ad esempio del Paese di Lilliput la cui 'scoperta' risale proprio a quegli stessi anni, ma è mendace, perché altera e deforma un mondo concretamente esistente e in realtà affatto diverso dalla· raffigurazione datane? L'harem, se prestiamo fede a Lady Montagu - che indiscutibilmente ne sapeva di più se non altro perché l'aveva visitato in modo palese e ufficiale senza penetrarvi surrettiziamente come gli altri viaggiatori - non è affatto il tremendo ambiente dove si sviluppano «nella penombra ( ... ) tutte le varianti del desiderio frustrato, tutte le astuzie della compensazione, tutte le conversioni e perversioni del sostituto» (Starobinski, p. 29), e la vita delle donne musulmane non ha nulla in comune con quella parodia dei conventi cristiani offerta da Montesquieu, senza contare che la società persiana era infinitamente più articolata, complessa e contraddittoria di quanto non appaia dalle Lettere persiane Renato \1inore dove i corrispondenti di Rica e Uzbec non parlano che di sesso e di religione. Tenuto conto quindi che la «teoria del potere generale» di Montesquieu, così come ipotizzato da Starobinski, è stata sperimentata in un «luogo erotico» non solo inesistente, ma, meglio, creato ad arte proprio per la dimostrazione delle tesi stesse, queste ultime non dovrebbero forse essere ridiscusse alla luce di quanto oggi acquisito sul problema (si vedano, ad esempio, le osservazioni di Said, Orientalism, pp. 188 sgg.)? Non essendo esperto di simili argomenti, non mi permetto di rispondere a tale domanda. Viceversa, data la mia specializzazione di 'orientalista', sono quotidianamente condotto a verificare altri esiti del discorso culturale sotteso alle Lettere persiane: seppur diverse nelle forme, nei contenuti e negli obbiettivi, ancora adesso le chiacchiere di Madame de Bonnac e le pagine di Montesquieu e dei loro seguaci ed epigoni permeano e contrassegnano la maggior parte delle letture correnti sull'Oriente musulmano, mentre analisi come quelle di Lady Montagu continuano a essere guardate con malcelato sospetto, quasi a dare per l'ennesima volta ragione al suo acume: «Temo che Lei dubiterà della veridicità delle mie parole, che, lo riconosco, non corrispondono affatto a quel che crediamo noi in Inghilterra. Ma le cose stanno proprio così» (p. 188). M anca qui lo spazio per offrire la riprova dell'attualità di questa affermazione o per discutere sulle sue possibili motivazioni storiche, culturali e politiche. Limitiamoci quindi al rapporto già accennato tra discorso erotico e discorso sul potere. L'esame a luce radente fa intravvedere, oltre agli accennati schemi sul sesso e sugli harem più o meno di comodo, anche un altro filo più nascosto, più confuso, più tortuoso, difficilmente identificabile perché inespresso, ma non meno gravido di prospettive: quello sull'omosessualità. Il Grande Eunuco scrive a Uzbec: «Ho trovato Zachi coricata con una delle sue schiave: cosa proibita dalle leggi del serraglio» (p. 274), e i curatori delle Lettere di Lady Montagu sottolineano che costei «passa l'omosessualità sotto silenzio, né del resto aveva modo di osservarla» (p. 94) - proprio c~me Aissé, che accenna solo a «una brutta storia che fa rizzare i capelli, è troppo infame per scriverla» (p. 52). Indizi, venature di complicata ricostruzione e di ancor più ardua interpretazione, ma che pure esistono. Questi indizi dovrebbero indurci ad andare oltre, non accontentandoci neppure di capire se e perché è vero che le donne turche «hanno più libertà di noi», come affermava Lady Montagu (p. 152) contro ogni credenza nostra di ieri e di oggi. Come per altri aspetti degli eventi orientali, proviamo a cogliere l'occasione per confrontarci anche con un'altra faccia del discorso sul sesso quale è appunto l'omose'.isualità - maschile e femminile -, diffusa in tutto l'Oriente (a partire da quella Grecia che in un certo senso non è né Oriente né Occidente) in forme che - è bene sottolinearlo a tutte lettere - nulla hanno a che spartire con il fenomeno gay di moda da noi. Confrontarsi, dunque, non con le nostre immagini di loro, bensì con quello che loro sono, magari partendo da quel famoso e esplicito passo del Libro dei Consigli (Milano, Adelphi, 1982) dove il sovrano Kay Ka'us ibn Eskandar ammoniva il figlio, nel capitolo su «Come indulgere al godimento» (capitolo per altro tenuto ben separato da quello sul «Come s'abbia a prender moglie» e su «L'arte amatoria»): «Quanto al problema della scelta fra donne e fanciulli, è opportuno non limitare la propria preferenza a un sesso piuttosto che a un altro; può trarsi in tal modo piacere da entrambi, senza che nessuno ti prenda in antipatia ( ... ). Nel periodo estivo, comunque, propendi nei tuoi desideri verso i fanciulli, e riserba alle donne l'inverno, cercando sempre di rispettare un'alternanza stagionale» (pp. 97-98). PoerecensiscMeanzoni I promessi sposi, or The Betrothed Lovers; A Milanese Story of the Seventeenth Century: as translated for the Metropolitan, from the ltalian of Alessandro Manzoni, by G.W. Featherstonaugh. Washington: Stereotyped and Published by Duff Green. 1834. 8vo. pp. 249. L a comparsa di quest'opera ci ricorda da vicino le note con cui la Edinburgh Review, trent'anni fa, iniziava la presentazione di Waverley. Potendo, ce ne approprieremmo volentieri, ma «c'è onore anche tra i ladri!» I rece·nsorinon devono rubare ad altri recensori; e non si tratta forse di furto, se chi prende a prestito non ha niente di valido da offrire in cambio? Possiamo tuttavia spingerci a imitare «il grande Napoleone dei regni della critica» e felicitarci, insieme ai nostri lettori, per la pubblicazione di un lavoro che promette di inaugurare un nuovo modo di scrivere romanzi. Dai tempi di Fielding, inimitato e inimitabile - e di Smollett, che produsse opere talmente diverse da non sembrare neppure imparentate - un succedersi di dinastie ha regnato sui territori del romanzo. Abbiamo avuto la dinastia Radcliffe, la dinastia Edgeworth e la dinastia Scott; ogni famiglia, come quella dei Cesari, è passata dal bene al male, e di male in peggio fino ali' estinzione. Rivoltosi di provincia hanno talvolta mostrato di aspirare al ruolo di rivali: ma si sono presto eclissati. Le eroine delle paludi e gli eroi delle Highlands, o della campagna polacca, non sono riusciti a tenere in vita le loro aspirazioni, anche se riunivano in sé aspetti più ammirevoli dei personaggi civili e di quelli selvaggi. Il motivo, forse, era proprio questo: ci piace leggere cose che possano in parte ricordarci fatti osservati nella realtà. Sir Charles Grandison che indossa un kilt scozzese è solo un'apparizione sconcertante. È vero che di tanto in tanto il giovane D'Israeli ha fatto balenare la luce di una genialità capricEdgar Allan Poe ciosa; ma uno dei suoi capricci è stato quello di frustrare le speranze che aveva suscitato. Ci ha fatto vedere cosa sapeva fare, e questo è tutto. Anche Bulwer si è messo in mostra con un raptus di radicalismo letterario. Ha rifiutato di unirsi a quelli che si vestono con Tommaso Ottonieri gli abiti smessi degli scozzesi e che studiano, come di fronte allo specchio, il modo di imitarlo, quasi con l'ambizione di mettere in mostra i loro furti ( ... ). Temiamo che, dopo aver detto tutto ciò, l'autore dell'opera che abbiamo davanti non avrà motivo di ringraziarci per le lodi. Al contrario, c'è il pericolo di coinvolgerlo nell'astio che forse ci riserva quella cabala che ha dei membri su entrambe le sponde dell' Atlantico. «Tu citami, io ti cito» è la parola d'ordine. Se si dovesse sprecare anche soltanto la metà delle lodi che si innalzano per le opere sfornate quotidianamente dai giornali, finiremmo forse per vedere gli scritti con cui ci siamo divertiti e educati in gioventù su uno stesso scaffale insieme a Tommaso d'Aquino e a Duns Scoto. Gli uomini, che non possono mangiare tutto, non possono leggere tutto; e i petits plats serviti caldi non ci lasciano onorare il roastbeef della vecchia Inghilterra o il prosciutto aromatico della Virginia. Ma sono questi i cibi con cui i muscoli e le membra si nutrono meglio. Stimolano e aiutano la digestione. Ai loro tempi la dispepsia non esisteva. Arrivò con la Gastronomia francese. Siamo forse in errore, se crediamo vedere i sintomi di una specie di dispepsia intellettuale, che nasce dall'esposizione continua ai «bon-bons» e ai «cioccolatini» della stampa? Bene! Ecco invece una cosa a cui non manca la spina dorsale; un'opera di cui tenteremo una specie di sin- 'O tesi, anche se non si può riassu- c::1 .:; mere. 11 meccanismo dell'intreccio non è complicato, ma ogni brano è necessario al tutto. Tralasciare qualcosa è come non dire niente. Sarebbe esagerato affermare che questo romanzo è del tutto originale. Lo scrittore cono- ~ Cl. ~ O\ ....... ~ t ~ - ~ sce bene la letteratura inglese e sembra aver colto almeno un sug- K gerimento di sir Walter Scott. Il ~ paragone è suggerito dal modo in ~ -e cui quest'ultimo utilizza documen- ~ - ti e tradizioni del passato. i::s

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