Gliogg Hubert Damisch Teoria della nuvola Genova, Costa & Nolan, 1984 pp. 332, lire 30.000 Fenetre jaune cadmium Paris, Seuil, 1985 pp. 286, ff 99 E scono quasi contemporaneamente, in Italia e in Francia, due libri di Hubert Damisch, uno dei più noti e originali studiosi contemporanei delle discipline artistiche. Il volume italiano è la traduzione dell'ormai famoso Théorie du nuage, che uscì in Francia per i tipi di Seuil già nel 1972. Il libro francese è invece una raccolta di saggi che copre oltre un trentennio di attività critica a proposito dell'arte moderna e contemporanea. L'occasione mi pare senza . dubbio ghiotta, e non tanto per fare il punto sul lavoro di Damisch, e magari contribuire a renderlo noto anche al vasto pubblico (stranamente, infatti, Damisch è. da noi più noto agli add~tti ai lavori che non a livello diffuso), quanto piuttosto per discutere la situazione degli studi sulla teoria dell'arte, di cui Damisch è un più che valido esponente. Cominciamo subito col raccontare rapidamente le idee fondamentali dei due· libri accennati. In Teoria della nuvola, come si evince dal titolo, Damisch cerca di descrivere il modo con cui gli artisti, dalla fine del Medioevo fino al Settecento,_ hanno rappresentato· le nuvole in pittura. Detta così, la questione sembrerebbe riguardare uno studio di dettaglio, un'iconografia di un «motivo», magari una ricerca sul particolare insolito e curioso come negli studi di Jurgis Baltrusaitis. Ma in verità non si tratta affatto di questo, anche se la materia viene esposta da Damisch con grande erudizione e una dovizia di esempi degni del miglior «conoscitore d'arte». La rappresentazione della nuvola viene piuttosto utilizzata come un pretesto: finisce per diventare il luogo concreto, all'interno di una serie determinata di opere, per osservare il manifestarsi anche in una porzione minuscola dei dipinti di una serie di concezioni o teorie della pittura. Basti un solo esempio per capire come il minuscolo oggetto-nuvola possa rivelare il condensarsi di simili concezioni o teorie. Si pensi al problema di tutta fa pittura religiosa di raffigurare eventi miracolosi come le apparizioni della divinità o dei santi, o come le visioni, o come gli stessi miracoli. Dal punto di vista della coerenza rappresentativa, cosa deve fare il pittore? Disporre le figure visionarie sospese nell'aria, oppure sostenerle con qualche supporto? Dal punto di vista teologico il problema è sostanziale. Piazzare una nuvola sotto un santo, un angelo, il Cristo o la Madonna significa infatti pensare che la loro natura sia in qualche misura materiale e corporea, e che senza sostegno essi cadrebbero a terra. Inversamente, eliminare il supporto materiale, seppure così «aereo» e dunque spirituale come quello della nuvola, significa sottolineare il carattere incorporale di quelle figure. Sempre dal punto di vista teologico, tuttavia, c'è anche un corollario: Dio, il Cristo, la Vergine, i Santi, gli angeli sono tutti della medesima sostanza, oppure occorre compiere delle distinzioni nella stessa loro materia spirituale? Trasferiamo tuttavia adesso la questione dalla filosofia religiosa alla teoria della rappresentazione. E vedremo subito come le diverse posizioni teologiche abbiano per forza un riscontro anche sul piano della coerenza rappresentativa dei quadri. Se si sceglie la via della «materializzazione» dei corpi, e dunque se si adotta la soluzione del supporto nuvoloso ai corpi, come costruire una coerenza fra lo spazio geometrico (rigoroso) della realtà terrena e quello privo di parametri dell'infinità del cielo? Come costruire, ad esempio per i pittori rinascimentali, uno spazio rappresentativo coerente con la macchina della prospettiva? E se invece si sceglie la via della rappresentazione dell'incorporeo, come fare (a maggior ragione) a collocare nello spazio della resa tridimensionale del mondo naturale un insieme di figure prive di spazio, che potrebbero quindi apparire come galleggianti nell'aria, oppure fatalmente schiacciate sulla superficie della tavola o della tela? Damisch dimostra, esempi e testi alla mano, che gli interrogativi suddetti costituiscono uno dei dibattiti più accesi e profondi dell'intero Rinascimento. E di fatto dimostra anche qualcosa di più importante dal punto di vista concettuale. E cioè che talvolta ogni singolo oggetto raffigurato può diventare, sotto la pressione di particolari. circostanze epistemologiche, un condensato di applicazioni· di una teoria. Anzi: ogni oggetto può essere esso stesso un oggetto i teoricidell'arte Omar Calabrese teorico, frutto o origine - intrinsecamente - di una riflessione astratta sull'arte o sulla rappresentazione. 11 libro di Damisch, per la sua magistrale scelta anche di referenti da analizzare e di strumenti di analisi (i metodi della pittura, le teorie filosofiche, le scienze del linguaggio, e così via), costituisce da tempo un riferimento di base per una intera corrente di studi sull'arte che fa capo all'Ecole Pratique des Hautes Etudes e al Circle Histoireffhéorie de l'art di cui lo stesso Damisch è il direttore, ma che vede la presenza di altri studiosi come Louis Mario, Daniel Arasse, Jean-Claude Bonne, e la partecipazione di alcuni compagni di strada come, nell'ambito della semiotica, Paolo Fabbri o Jean Petitot. Anche in altri paesi lo studio dell'arte attraverso i suoi fondamenti teorici ha i suoi rappresentanti: ad esempio negli Stati Uniti un.. riferimento comune, anche se di altra generazione e altre origini culturali, è costituito da Meyer Schapiro; in Canada lavora René Payant; in Israele Claude Gandelman; ancora negli Stati Uniti RosalyQKraus, oppure, compagna di strada a livellodi studi iconologici, Svetlana Alpers, allieva di Gombrich e autrice di un recente splendido volume sui rapporti fra ottica e pittura nel Seicento olandese. Sempre in Francia esiste poi una seconda generazione di giÒvani studiosi che sta lavorando in modo assai promettente sulla strada intrapresa dai due più «anziani» Damisch e Mario (Georges Didi-Huberman, Philippe Morel, e molti altri). In Italia, infine, questa che ormai potrebbe essere definita una vera e propria «scuola» coniuga l'idea generale di una teoria dell'arte con lo studio dei suoi fondamenti semiotici, e si raccoglie in un nutrito gruppo all'Università di Bologna. M a torniamo per un istante all'idea dell'esistenza di «oggetti teorici». Potrebbe essere facilmente osservato che il principio, recitato così, è abbastanza banale. Qualunque opera creativa ha sempre un proprio contenuto teorico, nel senso almeno che «contiene» le istruzioni per il proprio uso, o che contiene ele- /~S:: ,·:;:x •. • n:~"' ::::~> :::~~-~~~ ··-~-~~~ >~,"~~':-- ::~~~~~-~ >:=~<-~~ /ti~./'.\~~ ·.-.•,~~,- ~~ :;:,,$::_:.;,:,,..-.:,. funziona anche come introduzione). Si tratta di un commento al racconto di Balzac Le chef d'oeuvre inconnu. La storia, come è noto, riguarda una triade di pittori, Pourbus il vecchio, Poussin da giovane e un pittore inventato, Frenhofer. A grandi linee, la vicenda racconta del dibattito che si instaura fra i primi due artisti e Frenhofer riguardo alla perfezione dell'opera d'arte. Frenhofer sostiene infatti che sta dipingendo una figura di donna che, una volta terminata, potrà essere tranquillamente scambiata per il reale. Frenhofer acconsentirà a mostrarla solo quando sarà davvero finita, e solo quando troverà una modella degna di fare a gara con la sua finzione figurale. L'opera viene finalmente conclusa, e la modella viene ritrovata nella compagna del giovane Poussin. Quando però i due pittori vanno a trovare Frenhofer, di fronte ai loro occhi compare un quadro illeggibile, «una muraglia di pittura», fatta di macchie di colore e linee aggrovigliate. Solo in basso un magnifico piede sembra fuoriu- •.i\-~~\.y· , scire dall'ammasso generale. I due • •• :;_:_..· .: .:: .,,,. ., ::f . -=.:...-~ -~ ' .... . -. ': < -~;;;:: "'-,:~~1 menti analizzabili mediante teorie. Del resto, da che esiste una storia dell'arte, sempre sono esistite anche teorie dell'arte (dal purovisibilismo all'iconologia, dal formalismo alla sociologia e alla psicologia dell'arte, fino alle teorie del «linguaggio» artistico). Ma nel nostro caso la formulazione del problema è molto più forte e ambiziosa. Il principio, infatti, è che non solo nell'arte esistono oggetti analizzabili mediante teorie, ma che addirittura ~rti oggetti, una volta confrontati col problema della loro rappresentabilità, contengano almeno potenzialmente una o più loro teorie interne. L'esempio della nuvola di Damisch citato poc'anzi mi pare abbastanza chiaro. Ma altrettanto chiari sono gli esempi che potrebbero essere ricavati dal secondo volume appena uscito, Fenetre jaune cadmium, In particolare basterà citare la lunga e approfondita analisi che Damisch compie nell'introduzione (o meglio, nel primo dei saggi che per .esemplarità chiedono ragione a Frenhofer di quell'incomprensibile guazzabuglio, ma Frenhofer non comprende la loro incomprensione, salvo accorgersi nel finale che i due non scherzano, accomiatarli bruscamente, non dare più notizia di sé, e scomparire con la sua opera fra le fiamme del rogo della sua casa. Dal racconto, Damisch evince una profonda riflessione teorica di Balzac sulla natura della rappresentazione medesima: una riflessione che concerne l'imitazione della realtà, l'interpretazione dell'opera, il rapporto fra creatività e invenzione, la scissione psicologica che il «vedere» l'opera o il reale provoca nefl'artista, e così via. Il «soggetto» della creatività, insomma, pone sempre un problema all'interlocutore dell'opera stessa, un problema di comunicazione o di interazione fra l'opera e il suo fruitore. Come si vede, sia pur dai rapidi e non esaustivi esempi forniti, i due recenti libri di Damisch pongono, col loro sottofondo concernente la teoria dell'arte, tutta una serie di problemi più generali riguardo allo statuto delle stesse discipline artistiche. In primo luogo, mettono sia pur parzialmente da parte la questione di una interpretazione dei testi che provenga da elementi esterni ai testi stessi. Prima di spiegare un'opera attraverso la sua storia, o i rapporti sociali che essa instaura col proprio tempo, occorre in prima istanza saperla leggere, e capirne il meccanismo interno capace di produrre interrogativi alla stessa teoria dell'arte. In secondo luogo, complicano però l'orizzonte problematico di quelle stesse discipline che sono proiettate a una ermeneutica del- 00 l'opera d'arte attraverso modelliz- ~ .s zazioni teoriche. Infatti, il primo ~ ~ gesto analitico diventa non quello Cl.. di saper modellizzare l'opera d'ar- ~ °' . te, bensì quello di saperla vedere e ~ guardare. Anche in questo senso g c'è bisogno di una buona teoria ~ dell'arte: perché ogni opera, pri- ·6'o ma ancora di suggerire le chiavi ~ per la propria lettura o interpreta- s:: zione, pone il problema della sua ~ propria visione. .C) ~ ~
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==