li librodi LivioGarzanti Livio Garzanti Una città come Bisanzio Milano, Longanesi, 1985 pp. 171, lire 16.500 LI Alfabeto è giornale di ricerca a più strade, con aggiornati argomenti di critica della cultura~ piuttosto che un giornale di recensioni, ritenendo non esaustiva oggi la sistematica delle discipline e tantomeno quella delle uscite. Ma tratta dei libri e dei giornali. E anche il modo della recensione libera diretta fra scriventi è oggi buonissimo, io penso, per contrasto, nel cattivo periodo culturale a causa dell'elemento «mass-medianico» in crescita, e del mito, e dei luoghi comuni della sinistra. Ora il libro nuovo di Livio Garzanti ha sorpreso tutti; e il libro secondo è più difficile per l'autore, non si scherza né si congratula più; inoltre si tratta di un editore importante, sia a dirne bene che a dirnè male (con successo presso i timorati) si rischia la riputazione residua; infine per chi arriva vec- . chio in rimonta o sparato sul filo del traguardo - me ne accorgo anch'io - ci sono riserve e titubanze, meglio amministrarsi bene in gioventù ... né la letteratura purtroppo ha l'evidenza che ha la pista ... lo leggo con stupore una prosa «sperimentale» di una qualità letteraria e autoriflessiva, e anche di «essai», che pochi di noi, scrittori della generazione nata nel Venti e oltre, usiamo esercitare; mentre i più vecchi usavano, e si può meglio parlare della «filosofia di Gadda» che di quella dei successivi novecenteschi maggiori. Mentre filosofia e letteratura, s'intende, hannò pari dignità. Superando le impacciate presentazioni che qui più volte ritornano (ma non ci conosciamo da L'amore freddo, che è già riconosciuto?) vi è dunque qui un respiro d'impianto delle sensazioni e delle meditazioni, in un puntiglio inatteso di laico del movimento moderno e in un atto talora ostile verso l'esistente, che è l'attuale epoca bizantina o alessandrina, con l'eclettismo in auge. Forse è questo un lodatore dell'antico? Ma non pare semplicemente così. Insieme alla riflessione dominante, ci sono due timbri: la finzione biografica, con racconti collocati come in un arco della vita; la scrittura accuratissima ampia, la prima a giungerci dalla pagina, certo, e dove, pur con ogni voluta pulizia aggiunta, si respinge nettamente il filone diverso della prosa, quello già dell'ordine rondiano, e poi neorealista, o magari moraviano oggi. Il suono è tutt'altro. Ricorrendo al primo libro, ci si avvede che in esso aveva spicco una definizione personalissima, forse malcompresa, nel titolo stesso L'amore freddo. Non si trattava certo di riservatezza assunta a livello caratteriale o comporta- ~ mentale. Ma si trattava di una sin- -~ golare presa di distanza dall'emo- ~ zione diretta, proprio esercitando- ):G si su casi di esperienza, con un °' ....., suono appunto freddo. C'era un ~ manierismo delicato, proposto co- -~ me elementare (nel quadro del 0o giorno di lavoro come nel raccon- ~ to di amore con un cestino di ciliegie). E si dava allora, come fosse il ~ solo verosimile, un autoritratto di Ì onesto conservatore e reazionario ~ giovane, irritato dalle assemblee e dalle tensioni. C'era già lo scrittore alla data '79, con sorpresa, però molto meno complicata che alla crescita di ora. Poteva trattarsi di un unico libro per non stare sempre nella parte inferiore della copertina né cambiare posto solo con la peste delle «grandi opere» ... Una tradizione di scrittori-editori di tutto rispetto, come Bompiani, e di editori-scrittori capaci di rischiare, come Alberto Mondadori, esiste in Italia. Ma, per il motivo che voglio poi tentare di definire, c'è un altro stile o un altro problema. Ora serve indicare alcuni luoghi dove l'attenzione dei sensi s'incroeia appunto col movimento mentale, nella chiave classica di Condillac che è pur quella da dove, fra Condillac e Kant, comincia l'estetica moderna. È la crudeltà del pescatore e del macellaio, attività perfette di un uomo banale, da tradizione espressionista tedesca, sul quale l'autore dice però che è lui stesso, il narrante, a mettere forse il male: col «mio pensiero negativo e perverso». Particolarmente limpida riesce questa scoperta in Garzanti della perversione, del decentramento del soggetto.-C'è la porta sbattuta dello spogliatoio del tennis: che dà sull'inferno e sul dubbio rapporto fra le generazioni. C'è il trattato delle sensazioni di amore coniugale, con un atto rivelativo. E il piano allegorico di Bisanzio: nel quale «è lenta, ma imperativa, la figura di Teodora» col suo clitoride «fiacco e stanco». E il colloquio con la macchina da scrivere, come corsivo,.in cui parla solo lui. Ma ci si deve chiedere: che cosa sono effettivamente questi pezzi abbastanza magistrali di ricerca? Francesco Leonetti S erve ora, occorre, oppure s'impone o s'intromette qui, una parentesi o una digressione. Forse perché si finge di dare un arco vitale di un soggetto o narrante che, però, è un altro da quello del libro primo pur ugualmente costruito, l'uomo editore torna in mente, così diverso dalla dose del testo. Ritengo sempre che non sia giusto tacere dell'attività teorica sull'arte propria, o professionale (per esempio la radiologia di Ruttato o la fotografia della Niccolai), o di tipo allargato e bipolare (scrittoreartista, scienziato-scrittore) di un autore letterario. Non importa più, dopo Engels-Lenin su Balzac e su Tolstoj, la sua scelta politica, sappiamo (e c'è tutto lo sviluppo della distinzione semiologica fra l'autore e l'identità biografica, fra i riferimenti esistenziali o ispirativi e l'autogenerazione testuale). Ma mi pare che oggi, in tempi in cui si è sempre posti su qualche confine, le altre attività di uno scrittore sia- .. no connessioni, vadano esplorate per questo. Certo chi batte i corridoi degli editori ha un'idea sbagliata del Garzanti; e lui stesso l'ha corretta in una vecchia intervista per La Repubblica dove la sua fama mirabile di buona amministrazione pagante è detto che gli è costata una continua tensione, in quanto erede non di una famiglia alto-industriale, ma1 egli dice, «medio-borghese»... L'ho imparato anch'io dall'intervista. Mi ricordo che fra '62 e '65 si tentò, Pasolini e Bertolucci e Citati da Roma, e Romanò e io a Milano a fianco dei redattori anziani bravissimi, di costruire una casa editric~ che il giovane allora editore dichiarava di non volere condurre, per altri interessi. Sentendo come ci dava sulla voce e sulle iniziative o proposte, con vari licenziamenti poi, fra i quali il mio, dicemmo, per dire il meno, che ci aveva mentito ... Certo avremmo sperperato noi, che credevamo che i buoni libri rendessero ... Ma non mentiva più del comune. Aveva nel suo filo due propositi: la costruzione di casa editrice, anzitutto, con qualche ingombrante eticità, forse, contrappuntata da un esibito cinismo; e la ricerca letteraria. Veniva forse da questa duplicità la sua propria insicurezza, variabilità, rimangiamento, corroPerché ci sarebbe allora il limite della «rappresentazione» verso il corso di eventi, verso la supposta realtà. E allora non si spiegherebbe lo stacco stesso dell'autore freddo, e i suoi molti autoritratti (che continueranno, auguriamo, in un libro terzo) ... Ogni volta infatti Garzanti parte dall'altra persona o dal suo confronto con essa; o parte dall'osservazione diretta, grande via; ma non c'è un meno della fantasia, come ci sarebbe in un quaderno di memoria, o in nuovi Caratteri. Non ne verrebbe questo gusto che, dal manierismo intenso, si muove verso qualche esito espressionistico assai controllato, come acceso e smorzato, ma grumoso, con tubetto intero spiaccicato e poi raggiustato da una spatola buona. Un suggerimento interpretativo, per capire il caso, mi viene da un saggio di Barthes-Marty; che ho, fortuitamente, sul tavolo. Dice di taluni nuclei definiti «mimemi», in senso aristotelico. Qui non ci sono, dunque, a mio parere, rappresentazioni ma mimemi: atteggiamenti e modelli, decisionalmente assunti, di rapporto con la vita. Non con la biografia propria. Né con la vita propria in termini di confessione (assai mentitrice, come si sa, anche presso Rousseau). Ma di rapporto con la vita come pulsione (vivacissima in questo Garzanti secondo). Né l'unità del libro potrebbe stare nello stile o linguaggio o serie di timbri. Ci deve essere una unità strutturale; forse questa. E però l'autore perfezionista avrebbe dovuto collocare il suo pezzo finale, la chiacchiera per la macchinetta, non già alla fine, nell'oggi maturo, ma nel mezzo del libro. Per dimostrare così che la • struttura ad arco di vita non è desunta dal vecchio Tempo (cronologico, non ritrovato) ma è consapevolmente artificiosa. Deve dunque tornare sul libro, dico io censore e ipercritico teorico. Non metto in discussione le di lui scelte editoriali talora bastarde; io ho discusso su quelle di Einaudi (che è pur editore attuale dei miei libri) in quanto connesse alla «cultura di sinistra», che è stata tendenza collettiva già importantissima, forse la sola riuscita della Resistenza. sione, precarizzazione, per dar dolori ai lavoratori troppo coerenti. L'ipercriticismo anch'io l'ho imparato da lui. E invece la pagina è ferma. E in un tempo come l'oggi, in cui vero personaggio è l'editore come tale; né dei libri propri in corso avviene di dover parlare nelle case editrici ma di loro case editrici; è bello oggi che la vecchia voglia di scrittura la vinca, imponga altra fatica al nuovo divo, l'Editore (a fianco del Giornalista e a quello che è il più nuovo, il Presentatore). E merge dal Bisanzio, a me pare, una singolarissima torsione della casistica di assilli e ansie e illuminazioni. Il riferimento a un vivo soggetto conosciuto, o a un momento della vita, c'è sempre. Ma si può dire, mi domando, che qui c'è solo o piuttosto l'amore per la madre, il coniugale, la prova del rischio e del non coraggio, il chiacchiericcio odiato e infine amato delle vie di antiquari e caffè? c'è qui la vita dell'autore? Non solo, o non proprio, direi. Ritengo dunque che Garzanti dovrebbe ritornare sul suo libro. Il pezzo finale non va in fine. Così come è collocato mi imbarazza, mi intriga, depone tutt'al contrario ... È autore che non ascolta i consigli. Che dire altro? Ancora leggo Barthes (in Enciclopedia Einaudi, tomo 10): fin dall'origine della scrittura «rapporti sottili e oscuri esistono fra scrittura e potere» ... Non lo dico io, già rivoluzionario e non solo culturalista, ma Barthes appunto, riferendosi ai segni su varie materie per contare la scorta nel magazzino, al primo stanziamento agricolo e proprietario dopo il comunismo primitivo delle orde tribali ... Ancora Barthes dice esattamente: «Fohi, dio cinese della scrittura, sovrintende anche al commercio». È con questa protezione che Livio Garzanti, per merito pur suo, ha duplice virtù. Fa tornare i conti di editore (invidiato da tutti quelli che hanno tentato pur ciò). E entra fra gli scrittori che sono giocatori di serie A, nonostante un portiere avversario, Cases, che fa lo spiritoso intervenendo più su lui che sulla palla.
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