Alfabeta - anno VII - n. 73 - giugno 1985

G ià il personaggio è singolare: un autodidatta rumeno che inizia a scrivere a quarant'anni, in un francese esaltato e immaginoso lentamente assimilato in capo a un ventennio di esistenza errabonda, nonché spesso anche cenciosa e affainata - la pubblicazione del suo primo romanzo lo sorprende a Nizza, con il suo apparecchiuccio di fotografo ambulante (senza licenza... ) a tracolla. Romain Rolland aveva dovuto penare più di un anno per convincere /strati a mettersi all'opera (/strati stesso ha raccontato con un certo amaro buonumore l'ebbrezza-tormento di scrivere in una lingua idolatrata e non sua, quando ogni minuto doveva arrestare la «materia incandescente» sul punto di erompere, non sapendo senza. dizionario se questa o quella parola si scrivesse con due l o una e grave). Come in una fiaba, l'invito di Rolland era arrivato proprio nel punto di massimo buio: miseria sordida, aspro scontento di sé, aspra volontà di vendetta contro il mondo, silenzio e solitudine per un momento assoluti - /strati tenta di uccidersi, ma intanto (siamo all'inizio del '21) due sue chilometriche lettere-testamento hanno raggiunto l'autore di Au-dessus de la melée, e con straordinaria emozione in quei fogli Rolland sente già nascere un futuro «Gor'kij dei paesi balcanici». In effetti, il successo dei Récits d'Adrien Zograffi, di cui /strati va pubblicando dal '24 le diverse parti, sarà subito vivissimo, • eccezionale: forse anche perché (Jutrin-Klener) dopo il trauma della grande guerra Francia ed Europa hanno una fame mai vista di evasione esotica. In ogni caso, l'opera è singolare come l'uomo: si direbbe una sorta di epopea picaresca allignata nei bassi/ondi del suo Oriente balcano-mediterraneo; e veramente Romania Egitto Siria Grecia Libano Napoli Istanbul e via dicendo il giovane imbianchino, garzone pasticcere, portiere di notte, giornalista, lavapiatti, uomo sandwich (e interrompiamo l'elenco) li aveva dovuti conoscereproprio dal basso, vagabondando anni e anni per banchine di porti, caffeucci, ponti di navi d'emigranti, quartieri loschi e vii/aggetti miserabili, territorio manifestazioni di attivistica cautela come quando il re di Wu, per non avere testimoni scomodi, sgozza di sua mano sette fedeli seguaci. Ma mancano grottesche efferatezze di tipo bizantino e merovingio. Un signore cinese non si sarebbe mai comportato come il cristiano Clotario II, che per sbarazzarsi della nonna ottantenne Brunilde la fece torturare tre giorni in pubblico, poi esibire per tutto il campo dell'esercito e infine legare alla coda di un cavallo furioso che la sbranò a zoccolate. Il marchese pazzo di Wei non avrebbe mai acciecato quindicimila soldati prigioV) c::s nieri come Basilio il Bulgarocto- .::; no, la mano d'opera è essenziale ~ c:i., alla prosperità degli Stati. ~ La civiltà cinese è sempre stata ~ utilitaria, tendendo a rifuggire da- ~ gli sprechi - spesso i sovrani erano ~ prodighi ma per questo venivano 'òò eliminati. Anche oggi continuano ~ nel mondo i massacri e gli stermini I:! di milioni, è solo molto più dittici- ~ le che vengano chiamati a render- l ne conto i responsabili a livello di ~ governo. Panaitlstrati di una moltitudine umana assente dalla storia, eppure sorprendentemente disseminata di destini fuori serie. Per parte sua, /strati ha ragione di non sentirsi uno «scrittore», e davvero la sua è piuttosto l'opera di un uomo che racconta: tutte le sue storie le ha dette in dieci, venti, trenta forme leggermente diverse ai suoi amici, prima di stenderle finalmente sulla carta. Romain Rolland paragona il loro svolgersi ai meandri familiari del Danubio: «una volta iniziata, nessuno, nemmeno lui, sa se la storia durerà un'ora, oppure mille e una notte»; e il lettore è a poco a poco preso dal libero e gratuito scivolare della narrazione. Aedo, rapsodo, erede di un'arte «più antica dell'alfabeto» (J. Kessel), spontaneamente /strati innesta nella prosa francese modi e motivi di un secolare, umile epos della sua terra: così eroi di tutto un suo ciclo sono gli haiduc, i generosi fuorilegge dal Seicento in rivolta contro l'oppressione di pascià turchi e boiari rumeni; eroi giganti di un'altra età, spesso barbaricamente scatenati, ma perché per natura si muovono dentro la vita con tutto il loro esserepossente dispiegato· (quando Cosma il brigante si stira, tutta la terra sembra farsi «più piccola», e al culmine della sua gioia il corpo stesso pare ormai diventato troppo «stretto»). Certo, la scrittura di questo·naif letterario è nel complesso abbastanza diseguale, prendendo a volte anche apparenze incontrollate, convulse, declamatorie, proprio per lo stesso carattere trepidante e appassionato dell'uomo: che non per nulla - nota un suo biografo, Raydon - in ogni tappa della sua vita sembra aver cercato (e regolarmente attirato) un «fratello maggiore», cioè la compagnia e l'appoggio di uomini più adulti e meglio inseriti nella normalità. La seconda grave crisi lo colpirà, con crudele giustizia, esattamente nel più intimo: cioè non in punti' di lui più o meno protetti, ma nel cuore profondo delle sue stesse difese: per il decimo anniversario della rivoluzione d'Ottobre, il nostro nomade percorre in lungo e in largo, durante sedici mesi, la terra sovietica: dapprima felice come un bambino, con H o indicato episodi quasi a caso nel grandioso affresco a spirali concentriche - scene tratteggiate in bianco e nero con segni rabbiosi come nelle antiche grafie degli ideogrammi cinesi. Peccato che il curatore del volume non abbia aiutato con confuciana «benevolenza» i lettori indicando con un asterisco gli episodi di maggiore incisività, come hanno fatto i curatori dell'antologia su Bisanzio, ché tanto è sempre possibile cambiare asterischi. Lo Tso rispecchia un mondo in sfacelo, in realtà sopravvissuto ad altri sfaceli e vitale su solide basi di una cultura che da secoli, forse decine, indagava se stessa e pulsava di fermenti, idee nuove. Qualche personaggio si permette la riflessione malinconica. Come un vecchio statista che usando prudenza estrema ha raggiunto età veneranda per vedere la sua discendenza sterminata. Un sovrano al quale comunicano l'uccisione del figlio e erede risponde: «Tanti figli di altri ho già ucciso». Tra la pratica di superstizioni ancestrali, apparizioni di spettri Serg o Sacchi scoppi e trasporti di entusiasmo davanti a questo nuovo mondo che pare aprirsi, poi via via sempre più sgomento per le realtà che col tempo è portato a scoprire. Natura estrema, per così dire ineducata, /strati vive le cose a pelle nuda: invano il suo compagno di viaggio Kazantzaki lo richiama al savoir vivre: «In te il cuore sopravanza l'intelligenza. Non perderti nei particolari!»; invano Victor Serge, benché lui stesso perseguitato dal regime, lo ammonisce con prudenza: «Bisogna guardare in alto, verso l'avvenire e la storia»; dopo quei sedici mesi nella terra pietra di paragone del tempo, /strati è diventato un «vinto», cioè, come dice lui stesso, un uomo «in disaccordo con i migliori tra i suoi simili»: atroce solitudine. Gli stessi amici e modelli lo abbandonano: Rolland gli chiede di non pubblicare le sue impressioni sul/' Urss: tutto vero, ma colpendo il regime si fa il gioco della reazione europea (sillogismo infallibile nella storia della logica novecentesca); lo stalinista Barbusse gli consiglia con sprezzante condiscendenza di non mettere il naso fuori dalle sue storie di briganti; la trockista Magdeleine Marx rimpiange il puro «narratore»: «Allora sì che il suo messaggio era prezioso!»; reazione che però /strati non ha poi tutti i torti di decifrare più crudamente, una volta per tutte, in questi termini: « Tu non sei una 'guida'. Le guide siamo noi». È proprio vero: il «selvaggio» (così a Mos_calo vedeva il suo poi caro amico Pierre Pascal) ha di fatto finito per disturbare seriamente l'intelligenci ja nel/'esercizio delle sue funzioni. Eppure anche nel suo tempo di bravo e puro «narratore», /strati si era sempre rifiutato di servire solo alla «distrazione» del s110 p11bblico. Il conflitto nasce dunq11eda 1111 motivo ben più radicale: di fauo la stessa figura del «narratore» non è più essenzialmente compatibile con l'insieme dell'età contemporanea; lo dice acutamente proprio in quegli anni un saggio ,di Benjamin sul maestro de~'Ottocento russo Leskov: una nuda «informazione» oggettiva ha ormai sostituito nel profondo l'antico «racconto» dispensatore di «saggezza». lnf ormazione, non più iniziasanguinari e il vegetare di costumanze talmente arcaiche da risultare incomprensibili ai contemporanei (autore compreso), si fa luce un severo razionalismo. A chi lamenta che esiste la morte, Yu Tzu dice: «Se dai tempi antichi non vi fosse stata la morte, come avresti tu avuto le gioie che sono state degli antichi?». Durante una grande inondazione, causata nella creden~ za popolare da lotte di draghi sul zione: ma proprio al centro di tutta l'opera, come della vita, d' /strati è una drammatica fame di iniziazione, la seconda nascita finalmente umana, l'altra essendo ancora solo puramente materiale. Per lui l'uomo, soprattutto moderno, tende per sua natura ali'«aborto», pura presenza di «superficie» compiuta nei primi impulsi, desideri «facili» e aspirazioni fantastiche (altra faccia, questa, semplicemente dell'istinto di conservazione): avidità, speranze, godimenti, per lui tutto il rigoglio della vita altro non è in molti casi che paura e paralisi, revulsione organica di fronte al fantasma di una rigenerazione profonda come la morte; un breve abbandono e, al contrario, sarà subito la bestia, la grezza e poverissima pulsione a «divorare». Già tutta la storia passata della sua stessa terra gli offre uno sterminato campionario di abiezioni e di bestialità; ma, guardando bene, anche il progresso contemporaneo non è da meno e, semmai, per sua natura incrementa (non diminuisce) questa passiva pesantezza della materia umana: alla fine del secolo le lotte haiduc sono riuscite sì a detronizzare i tiranni, ma per portare al loro posto un ancor più avido e brutale «regno dei servi» (i domestici arricchiti degli antichi boiari, i ciocoi), proprio come l'Ottobre lasciato a sé deve sfociare - logicamente, secondo /strati - nella vittoria tutta moderna degli «automi dell'americanizzazione»; lo schiavo di per sé non è più «umano» del padrone: unica ragione di speranza, soffre di più. Così nel '26 il ciclo haiduc è bruscamente interrotto, prima della fine già programmata: impossibile continuare a occuparsi degli orrori e vergogne di un secolo prima proprio quando, in questi stessi anni Vemi. si andava ufficialmente massacrando (e con una ferocia «ben altrimenti medievale») la Bessarabia appena inglobata nello Staro rumena vincitore della guerra; fauo ugualmente significativo, poco dopo Les chardons du Baragan sarà da /strati espressamente offerto «agli undicimila assassinati», sempre a cura delle truppe governative, in un feoce repulisti di vent'anni prima. A questo punto, tutto il suo pasfondo dei fiumi, Tzu-ch'an proibisce di sacrificare ai draghi: «Quando noi ci azzuffiamo, i draghi non ci guardano. Perché dovremmo occuparci dei draghi quando si azzuffano?» A Chin, una pietra si mette a parlare. Interpellato, il grande musicista (era una carica ufficiale) K'uan così sentenzia: «Le pietre non possono parlare ... Ma se nel popolo insorgono scontenti e lamenti, allora le cose mute parlai!! no ... Sempre più alti sono i palazzi dei signori e lussuosi gli arredi, le forze del popolo sfruttate all'esaurimento. Nessuno può preservare la vita. Non è giusto che le pietre parlino?» Eppure Maestro Tso scrive dal punto di vista esclusivo di un intellettuale aristocratico e conservatore - ben più sensibili e compresi dei problemi sociali saranno, dopo lo stesso Confucio, Mo Tzu, Mencio, Hsun Tzu, i legalisti. Tso - nota Burton Watson - sembra non avere neppure saputo che cosa accadeva ai soldati semplici sui campi di battaglia. O al popolo non combattente che subiva migliaia di salo refrattario prende un pieno senso: scegliendo la «strada» (tra l'altro alla ricerca di compagni non secondo il sangue), strappandosi dalla vita comune e dalla comunità protettiva, l'«autodidatta errante» (l'espressione è del suo amico Souvarine) ha nei fatti intrapreso una sorta di moderna morte iniziatica; ma è proprio questa a salvarlo per quanto è possibile dall'impregnamento capillare delle mentalità di massa, rompendo, si direbbe, quella specie di «macadam» che per un altro maestro di non conformismo (Thoreau) tendeva ormai a rivestire, come il suolo delle città moderne, così anche lo stesso individuo: quasi un secolo dopo, la «disobbedienza civile» non ha perso il suo significato. E dunque in /strati proprio la sua fondamentale condizione di autodidatta, suo limite, è al tempo stesso la sua forza: impòtente perché uomo del disordine, però proprio non barattando, in nessun campo, la certezza delle sue emozioni contro i pur meglio ordinati sillogismi de~'epoca, non aderendo mai «a niente» (formula sua, in un momento di estrema autocoscienza), questo radicale déraciné ha di fatto tenuto aperta una via solida verso tutte le virtualità del- ['avvenire; di più non poteva, ma oggi, a cent'anni dalla nascita e a cinquanta dalla scomparsa, la ragione da lui seguita nel profondo non ci appare certo meno efficace e autentica di quella, che i vari maestri e «guide» di professione hanno servito durante tutto il nostro secolo. I Récits d'Adrien Zograffi (Kyra Kyralina, Oncle Anghel, Présentation des hai'doucs, Domnitza de Snagov), la Jeunesse d'Adrien Zograffi (Codine, Mikhai'l, Mes départs, Le pecheur d'éponges) e la Vie d'Adrien Zograffi (La mai.son Thuringer, Le bureau de placement, Médite"anée) oltre a un vo-. lume miscellaneo (Nerrantsoula, Tsatsa-Minnka, La famille Perlmutter, Pour avoir aimé la terre), sono stati recentemente ripubblicati, in occasione del centenario istratiano (1984), nella collana tascabile «Folio»di Gallimard; Vers l'autre fiamme nella collezione 10/18; Les chardons du Baragan nella collana ~Les cahiers rouges» di Grasset; Gallimard ha inoltre pubblicato una raccolta di testi autobiografici finora in gran parte inediti, sotto il titolo Le pélerin du coeur. In Francia esiste infine un'attiva «Fondation Panalt !strati» (18, rue Colbert - 26000 Valence). incursioni, razzie, assedi che spingevano al cannibalismo, registrati quasi a ogni pagina. Il popolo non è considerato soggetto degno di illustrazione, ma la sua presenza attraversa le pagine. Dai primordi la storia cinese è una storia di ribellioni popolari e feroci repressioni. Anche nel periodo di cui si occupa Tso, che non le racconta. Ma la voce del popolo risuona negli antichi canti (le ·«odi») che citano sovrani e ministri, nelle canzoni di protesta contemporanee spesso menzionate nel testo, due riprodotte integralmente. Maestro Tso non può fare a meno di riferire che, dopo ogni colpo di Stato o un pesante mutamento di governo, era necessario ottenere l'approvazione del popolo, senza la quale unica salvezza era la fuga. V erso la metà del libro, appare una corrusca sprezzante figura di formidabile guastafeste: è Chung Ni, o Kung Ch'iu, ovvero Kung Fu Tzu (ahimè, i cinesi usavano molti nomi), in Occidente Confucio. Sono le testimo-

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