I n uno dei saggi più belli raccolti in Il significato delle arti visive Erwin Panofsky si sofferma ad analizzare il rapporto che esiste fra opere d'arte e documenti scritti, attraverso il quale si costituisce la «situazione organica» della storia de~'arte: singoli 'monumenti' e testimonianze possono essere messi in rapporto reciproco solamente alla luce di un contesto generale che, a sua volta, può essere costruito soltanto tramite singole opere e documenti. Ogni nuova scoperta quadrerà con l'interpretazione prevalente convalidandola, oppure introdurrà un mutamento, sottile o radicale secondo la sua portata. Le pagine di Panofsky, col loro carattere limpido e neo-kantiano, sembrano le più adatte per avvicinare con spirito critico la recente vicenda accesasi attorno al Guidoriccio di Simone Martini. Davvero una nuova lettura di fonti e documenti, un esame disincantato della situazione storica, sconvolgono l'attribuzione tradizionale? Quali sono la data e il significato da attribuire al dipinto, e con quali ripercussioni sulla «situazione organica»? L'introduzione di notevoli elementi di disturbo nello studio della pittura del Trecento non sarebbe una novità: le ricerche di Luciano Bellosi e altri studiosi, ad esempio, hanno spostato il Trionfo della Morte del Camposanto di Pisa dal 1360-70 al 1330-40 e, di conseguenza, molta pittura toscana ed emiliana di quel secolo si data venti o trent'anni prima di quanto avevano suggerito gli studiosi che ci hanno preceduto. La portata degli elementi di disturbo suggeriti contro l'attribuzione a Simone Martini del famoso affresco mostra invece i suoi limiti restando assolutamente legata a una sola opera, emblematica e connessa all'immagine anche più stereotipata di Siena (di cui qui l'interesse del gran pubblico), senza che una nuova interpretazione possa trovare un respiro sufficiente per ripercuotersi di opera in opera come è avvenuto per il Camposanto di Pisa. Purtroppo proprio Mallory e Moran, i due studiosi che si sono presi tanto a cuore la missione di negare il dipinto a Simone Martini, hanno dato saggi di ben scarsa familiarità con la «situazione organica» della pittura italiana in alcuni degli studi che periodicamenSimoneononSimone te fanno comparire sul notiziario dei produttori del Chianti classico, Il Gallo nero. Il lapsus che scambia i nomi del- /' autore e del collaudatore di un quadro in cui cade un ricordo monastico fa scoprire come opera di Giovanni di Lorenzo la Natività di Domenico Becca/umi in San Martino a Siena, quando stile, tecnica, descrizione del Vasari non lasciano adito a dubbi. Oppure essi recuperano dagli eruditi settecenteschi l'attribuzione della Maestà di Simone Martini a Mino da Torrita e una datazione al 1284 (quando non esistevano ancora le opere che danno il volto a Duccio o a Giotto) per una pittura del 1315-21. Qui anche la spesso sfuggente storia dello stile parla a tutti in maniera inequivocabile, prima ancora di trovare una lapalissiana convalida nel dato 'di fatto' che la Sala del Mappamondo in cui si trova l'affresco fu iniziata a costruire nel 1304. È appunto la Sala del Mappamondo l'ambiente in cui è dipinto il Guidoriccio, una delle opere meglio documentate del Trecento italiano. L'affresco è datato con l'anno della presa di Montemassi a cui si riferisce (le lacune non compromettono l'interpretazione «1328»), esiste una nota di pagamento a Simone Martini del 1330, mentre le fonti hanno la loro voce autorevole in Sigismondo Tizio, umanista che scrive nei primi anni del XVI secolo e che si mostra sempre osservatore molto attento delle opere d'arte. Ulteriori verifiche mostrano poi che la topografia del castello corrisponde a quella reale di Montemassi e che la tecnica impiegata dal pittore, con ampie applicazioni di foglia di stagno nella stampigliatura del metallo, ha alcune peculiarità, che sono precipue di Simone Martini: non si trovano in altri pittori del Trecento, e anche il suo socio Lippo Memmi le imita con risultati molto modesti. Se adesso dati vecchi e nuovi costituiscono un quadro che convalida in maniera indiscutibile l'attribuzione a Simone Martini, si deve certamente riconoscere che nel 1977, quando apparve il primo degli articoli che Gordon Moran periodicamente dedica ali'argomento, esisteva un giustificato margine per interrogativi. Nessuno da chissà quanti anni aveva osservato · 1' affresco da Alessandro Conti un'impalcatura, e tanti caratteri di un'opera assolutamente atipica non quadravano con l'immagine precostituita che abbiamo del/'affresco di un 'primitivo'. La stesura con ampie pennellate, quasi trascurata, non corrispondeva agli accurati tratteggi delle tavole martiniane, mentre gli schemi di composizione e narrazione ai quali siamo abituati per un maestro del Trecento sono quelli della storia sacra e della pala da· altare. Il ca~ valiere così centralefa poi pensare a una celebrazione personale che male si accorda con un libero comune; è stato osservato da alcuni storici che sembra rimandare al periodo delle signorie. Qualunque considerazione in questo senso deve però tener presente che, qui come ne~'affresco più antico venuto in luce sotto il Guidoriccio o nel Buongoverno di Ambrogio Lorenzetti, siamo davanti ai superstiti quasi unici di una pittura civile che decorava tutti i palazzi pubblici d'Italia. Dire che Guidoriccio sembra nato in un clima signorile rispecchia solamente la nostra impressione davanti alla centralità della figura; mentre tutta la cornice è ornata dallo stemma del comune, quello del condottiero appare solamente per caratterizzarne la tenda e quale elemento dal quale sono tratte le decorazioni araldiche della gualdrappa. Chi poi, in pittura e miniatura, conosce le rappresentazioni del potere del XIV secolo sa che questo richiede una figura in trono, circondata da virtù caratterizzanti e vizi abbattuti, il tutto corredato di scritte esplicative. Nei casi più solenni non mancherebbe la legittimazione da parte dei santi protettori, della Vergine o di una figura del Redentore stesso: sostituendo al Comune di Siena la figura del signore, sarebbe una composizione analoga al Buongoverno. Le analisi di fonti, di testimonianze e documenti sono state le più varie e ne dà adesso un'ampia rassegna Giovanna Ragionieri nel suo Simone o non Simone, appena uscito presso la Casa Usher di Firenze. Brevemente, si può osservare che siamo spesso davanti a interpretazioni che nascono da decontestualizzazioni strumentali alla tesi da dimostrare, e che lo standard di verifica non di rado è lo stesso che fa attribuire al 1284 l'affresco del 1315. Gli studiosi di varia estrazione che sono tornati su~'argomento dopo il 1977 (Luciano Bel/osi, Max Seidel, Joseph Polzer) hanno dato una risposta univoca sulla data e l'autore del Guidoriccio: Simone Martini, 1328-30. I loro studi non possono essere dimenticati (come è accaduto a Giuliano Briganti su La Repubblica, 25 gennaio 1985), se si vuole realmente sapere quale è lo stato della questione e capire quando fu dipinto l'altro bellissimo affresco con la raffigurazione di un castello che è stato scoperto sotto il Guidoriccio. Eseguito prima del dipinto già noto, questo castello non è davvero Arcidosso (dipinto nel 1331), come chiunque conosca il centro amiatino è in grado di capire immediatamente. È fondata l'identificazione con Giuncarico (1314) e, sicuramente, la pittura fu eseguita molto presto, tanto è arcaico il carattere delle figure. Personalmente, credo che il confronto con alcune delle storie provenienti dalla predella della Maestà di Duccio elimini ogni dubbio su chi ne sia l'autore. Il modo di costruire la prospettiva fortemente scandito ma un po' ribaltato esclude poi con sicurezza che il bellissimo affresco appartenga a Simone Martini. Attualmente la voce autorevole contraria a un Guidoriccio martiniano è quella di Federico Zeti. Ma è un peccato che il grande conoscitore non affidi a un articolo le considerazioni che lo portano a questa conclusione; si ha il sospetto che nasca da un voluto spirito di provocazione verso colleghi che sa bene essere spesso meno 'scafati' di lui, un po' come quando alcuni anni fa propose che i due frammenti lorenzettiani con paesaggi della pinacoteca di Siena fossero del Sassetta: ipotesi che si può accettare o meno, ma che dette occasione a un bellissimo articolo sul maestro quattrocentesco. Dati di fatto contrari ali'attribuzione a Simone Martini, attualmente, non esistono; esiste però, nella posizione degli intonaci, un indizio contrario ali'anteriorità del Guidoriccio rispetto ali'affresco datato 1373 di Lippo Vanni sulla parete contigua. L'intonaco del dipinto datato 1328 non si soprammette, tuttavia (come è stato dichiarato con disinvoltura), a quello del '73: lungo lo spigolo della parete . dove si congiungono i due dipinti, infatti, esiste una stuccatura posteriore a entrambi. È stata rimossa per una verifica per una lunghezza molto limitata rivelando che, in un punto, se l'intonaco fosse proseguito diritto, il Guidoriccio si sarebbe leggermente soprammessa al dipinto del 1373. Fra i due affreschi esiste però una fenditura di vari centimetri, e che cosa sia accaduto in quei centimetri non possiamo davvero saperlo (come avrà congiunto gli intonaci Lippo Vanni, se le pareti abbiano subìto movimenti di assestamento, ecc.). La sicurezza che sarebbe matematica con i due intonaci a contatto cade perciò del tutto. Ripercorrere con Giovanna Ragionieri tutti i pro e i contro offrirebbe certamente una rassegna suggestiva del modo in· cui si costruisce un rapporto fra notizie e documenti e fatti figurativi: purtroppo, troppo spesso ci troviamo (col Moran) davanti al partito preso di voler negare l'attribuzione a Simone Martini, anche a scapito del principio di non contraddizione quando, di articolo in articolo, appaiono argomenti non coerenti fra loro. Incontriamo quella tenacia che di solito si trova in proprietari di dipinti seicenteschi attribuiti a Giorgione o di copie della Gioconda che devono soppiantare il dipinto del Louvre come autografo di Leonardo. Se si vota la propria esistenza a raccogliereprove in questo senso, elementi di disturbo non mancheranno mai'. Pensate a chi, chiedendovi i documenti, negasse la loro validità e cominciasse a volervi dimostrare che sono falsi e che voi siete solamente il sosia fraudolento di voi stessi. Vi riescirebbefermarlo? FormaurbisRb9fographica Venezia forma urbis fotopiano a col. del centro storico in scala 1:500 186 tavole formato cm. 53x65 testi di E. Salzano, E. Feletti, R. Bonetta, M. Fondelli, C. Mazzon, I. Novelli Comune di Venezia Marsilio editori, 1985 lire 1.200.000 25 maggio 1982. Cielo terso. Tra le 11,20 e le 14,15 un aereo bimotore solca ripetutamente il cielo di Venezia. A bordo apparecchiature tecniche, approntate dalla Compagnia Generale Riprese aeree di Parma, eseguono secondo rigorosi piani di volo la copertura aerofotogrammetrica del centro storico e, successivamente (26, 27 e 31 maggio 1982), del contorno lagunare e della terraferma. Complessivamente, 1129 scatti fotografici, poi elaborati secondo le più sofisticate possibilità dell'informatica, per produrre una «reale e precisa cognizione» dell'immagine della città, come volevano i tre capi del Consiglio dei Dieci quando (27 febbraio 1460) deliberavano di formare la prima cartografia della Repubblica Serenissima di Venezia esplicitamente finalizzata al governo del territorio: «Si provveda perciò perché nella nostra Cancelleria e nella sede del nostro Consiglio dei Dieci vi sia, veridicamente disegnata, l'immagine di tutte le nostre città, terre, castelli, provincie e luoghi, talché chiunque voglia decidere e provvedere in merito ad essi ne abbia davanti agli occhi reale e precisa cognizione, e non debba affidarsi ali' opinione di chicchessia». Uno strumento di conoscenza volta al governo, all'azione politica e amministrativa: una cartografia «veridicamente disegnata», che «sappia dare informazioni precise sui siti», da tenere «davanti agli occhi» nel corso degli atti di governo, volevano i capi del potente Consiglio veneziano. L'intenzione progettuale implicita nella rappresentazione territoriale della Serenissima, sintetizzata da quella prima enunciazione della «committenza», viene significativamente richiamata ora da Edoardo Salzano, assessore all'urbanistica del Comune di Venezia e coordinatore generale dell'intera operazione, presentando il materiale di maggiore fascino simbolico, oltre che di contenuto tecnico, del sistema informativo urbano territorializzato (Siute) progettato dalla amministrazione comunale veneziana. Il fotopiano a colori del centro storico di Venezia (186 dei 344 elementi in scala 1:500 nel formato 50 x 50 cm che formano l'intero fotopiano relativo al territorio comunale, ora restituiti con altissima qualità e resi disponibili grazie alla applicazione della tecnologia digitale alla produzione editoriale) costituisce, per esten- ..,,._ ~ sione e definizione, l'immagine 1::1 più articolata e approfondita della -~ città che la straordinaria tradizio- c::i... ne cartografica veneziana abbia ~ mai prodotto. Innovazione «sul ~ piano delle tecniche adoperate e ~ dei metodi di pianificazione cui è -~ finalizzato», e, soprattutto, passi- Cl-O bile «sollecitazione a una innova- ~ zione sul piano della cultura politi- ~ ca e amministrativa». Sintesi tee- ~ nologicamente e progettualmente l più ardita delle complesse e diver- ~
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