11tempodtollapaura Norbert Elias Ùber die Zeit a cura di M. Schròter Frankfurt a/M, Suhrkamp, 1984 L a vita si colloca in una dimensione spazio-temporale le cui due componenti, però, devono essere padroneggiate separatamente e offrono gradi diversi di resistenza e di accessibilità. Nei confronti del fenomeno spazio l'uomo ha inizialmente un rapporto di grande intimità: può toccare spazialmente la terra, le piante, gli animali, mentre la capacità di tenere a distanza le cose è la tecnica di isolamento per eccellenza, quella che propriamente produce l'uomo in quanto tale. Altrettanto familiare gli è la delimitazione di territori. Solo in fasi di sviluppo relativamente tarde si affacciano problemi che mettono allo scoperto, nella valutazione di grandezze spaziali, squilibri e incongruenze. Assai meno provveduto è invece il corredo naturale dell'uomo rispetto al tempo: mentre con un complesso lavoro concettuale è possibile ricavare l'astrattezza del fenomeno spazio, è cioè possibile passare da esperienze concrete alla nozione di spazio, nel fenomeno tempo l'astratto si mescola costantemente al suo carattere sensibile. Il tempo passa, ma non si sa dove vada né come passi. Il tempo non esiste, eppure è presente. Nel caso dello spazio lo sforzo di concettualizzazione, il begreifen come afferrare, è possibile solo laddove lo spazio si configuri in modo tale che lo si possa raccogliere come in una cassa, o solo laddove esso abbia le piccole dimensioni dell'universo umano. Al confronto, il tempo è assai meno concettualizzabile (begreifiich), cioè assai meno afferrabile (begreifbar). Queste osservazioni di Dieter Claessens (Das Konkrete und das Abstrakte, Suhrkamp, 1980) potrebbero fungere da righe introduttive al saggio di Norbert Elias sul tempo. Secondo volume della serie di scritti dedicati alla sociologia della conoscenza (del primo volume, dal titolo Engagement und Distanzierung, ho dato notizia in Rinascita n. 13, 1984), il lavoro di Elias è un lungo incontro con un mondo di perturbanze, di stupori, di invenzioni organizzative tese a governare la temporalità. La linea di demarcazione tra l'antico e il nuovo è agevole da tracciare: ci sono popoli, comunità etniche, aggregazioni prestatuali la cui lingua non contempla la parola «tempo». Nel materiale etnologico di supporto, risalta un'esperienza tra le altre: le reazioni di un gruppo di americani in visita a una comunità indiana dei monti del Rio Grande in occasione di una preannunciata danza natalizia. A 2300 metri di altezza il frreddo, nelle prime ore del mattino, è difficilmente tollerabile. Le speranze dei visitatori che la danza abbia finalmente inizio vanno molte volte deluse, e si susseguono segnali che si rivelano essere poi fasulli. La •danza comincia solo, senza preavviso, quando la disposizione d'animo degli indiani è pronta a connettere le valenze rituali della danza e l'evento stesso. Si può obiettare che comunque preesiste una determinazione temporale, quella dell'afferenza della danza alla scadenza natalizia: ma la festa in sé, l'evento nella sua puntualità, non si lascia canalizzare da autocoazioni della consapevolezza del tempo. La disciplina del tempo si fa valere nel caso di coazioni esterne irresistibili, come per il procacciamento del cibo e per lo stimolo attuale o anticipato della fame. Ma gli indiani che danzano non sono chiamati al loro dovere «dal tempo inteso come voce della loro coscienza individuale». 11 ritmo senza strappi della previsionalità è il tempo della paura. Studioso tra i più sottili della paura, Elias sceglie spesso la guerra come contraltare esplicativo a quei processi di autodisciplinamento che viene indagando ormai da mezzo secolo. Ma tra la guerra guerreggiata dei primi stadi del processo di civilizzazione, e la guerra coreograficamente minacciata di oggi - tra innocue parate militari e nuovi stanziamenti finanziari -, lo spartiacque non è segnato dal controllo di un istinto presuntamente biologico di aggressività. Se nelle società medioevali il carnevale può essere seguito da pratiche di digiuno, e se in qualche ordine monacale le gioie della vita possono convivere con forme radicali di ascesi, non è la disciplina la grande assente, ma una disciplina fatta di misura e di proporzioni. Il governo del tempo non irrompe all'improvviso. Non c'è mai un punto zero del processo di civilizzazione che annienti la virtualità dell'autocoazione, e non c'è mai estraneità assoluta delle forme di vita al tempo. Tra la coscienza del tempo che si organizza attorno alle fasi della luna e la dittatura odierna del calendario e dell'orologio, molte fasi intermedie possono essere contemplate: ma tutte premono per l'emarginazione di un tempo puntuale, discontinuo, alla lunga socialmente inaffidabile. Uno scenario molto concreto può restituire il senso di questa transizione. Le funzioni di coordinazione e di integrazione inerenti al tempo sono state assolte, originariamente, dai sacerdoti: perché avevano il tempo per decidere quale fosse «il tempo giusto», osservando i movimenti dei punti cardinali. La lotta tra autorità religiose e autorità civili diventa poi anche una vertenza per il monopo- !io della determinazione del tempo: una vertenza che passa, come per la coniazione del denaro, per la capacità dei detentori del potere di avocare a sé questo compito. Allora il «progresso» - che purifica il tempo dalla sua numinosità antropomorfica o dalla rapsodicità dei movimenti celesti - non è altro che la possibilità di stringere organizzativamente nuovi bisogni sociali: come quando la rotazione dei titolari di cariche pubbliche impone, nella Roma repubblicana, di definire senza oscillazioni i limiti di tempo validi per l'assunzione di un ufficio e per l'abbandono dello stesso. Cesare interviene su un calendario gestito da un collegio di sacerdoti diretto dal Pontifex maximus, e in quanto tale inadatto ad «arbitrare» lotte di fazioni: gruppi interessati potevano sempre indurre i sacerdoti ad allungare o ad abbreviare la durata di un anno. La ricerca della rechte Zeit, del tempo esatto, non è mai priva di una domanda di giustizia, e la neutralità sociale del tempo è un dato acquisito più di quanto possa mai essere un dato naturale. Il tempo si naturalizza con il crescete di un sapere impersonale e dis-antropomorfizzato, ma si de-naturalizza quando diventa una rete faticosamente costruita delle comunicazioni umane. G ianni Vattimo si è chiesto (Alfabeta n. 67) se !'«incivilimento» non sia uno di quei dati storici e teorici ai quali deve obbligatoriamente riferirsi una prospettiva di lavoro che non si limiti a registrare con distacco notarile l'attuale dispersione dei saperi. Più radicalmente, la domanda potrebbe essere: la ricostruzione delle tappe dell' «incivilimento» ha la forza per fungere da sapere «comprensivo»? Norbert Elias, si può presumere, ha dovuto incessantemente scrollarsi di dosso l'etichetta di homo unius libri. L'irripetibile capolavoro sulla civilizzazione (edito, come pure La società di corte, dal Mulino) risale alla seconda metà degli anni Trenta: tradotto recentemente in Francia e in Italia e pochissimo intaccato dai quarant'anni intercorsi, esso ha quasi costretto il suo autore a puntare su. una sociologia dell'evoluzione (in Germania questo termine, a differenza che da noi, non ha valenze spregiative) che consolidasse le acquisizioni dell'indagine storica. Una trasparente insofferenza per i modelli filosofici della temporalità si lascia cogliere perciò come tentazione di fare dell'approccio antropologico una chiave d'accesso universale, una fabbrica di Oberbegriffe. Eppure anche la galassia delle soluzioni filosofiche ha fornito risposte specifiche a problemi specifici. Quando Elias suggerisce che due grandi rappresentazioni del tempo, quella oggettivistica e quella kantiana, si sono fronteggiate e reciprocamente elise, sciupa forse un'occasione per articolare meglio le sue ricerche. Uno stadio di civiltà parla anche per bocca dei suoi filosofi, che sono spesso i suoi funzionari più di quanto siano i suoi vanitosi protagonisti. ~ ~!; 1 1 ,.!.-~ ..:.. •ii' t !: ·,1.::1•i.,'1.: I I,,· ,.,,,.' j,: ,, ·. ,.·•. pacità di anti-vedere, e di tener conto di un futuro relativamente lontano, acquistano un'influenza sempre più grande su tutte le attività presenti» ( Uber die Zeit, p. 125). Assottigliamento del presente, dilatazione del passato e del futuro: siamo di fronte ai lineamenti del tempo moderno. E forse anche questo paradigma mostra oggi la corda. L a difficoltà nella quale si imbatte Elias non è inedita: è possibile salvare la logica specifica dell'oggetto specifico mantenendo ferma una prospettiva di indagine sulle trasformazioni di lungo periodo della civiltà? Sia pure: la storia è lenta. Le rivoluzioni di palazzo, i cortocircuiti spettacolari, le cesure abbaglianti lasciano ferite facili dacicatrizzare, e che uno storico avveduto non rubrica più neanche come ferite, ma al massimo come scalfitture. Come molti intellettuali te-· deschi della sua generazione, Elias è uno scrutatore di Fertigkeiten: di datità compiute che vanno smontate perché se ne possa recuperare, come nel caso del tempo regolarizzato delle civiltà avanzate, la stratificazione, il dolore della formazione, la tortuosità dei passagg1. Di adagiarsi in queste datità è incriminata la filosofia. Ma riflettiamo: se si assume come parametro di riferimento la paura, e se la progressiva ritrazione della paura nel rapporto uomo-natura non produce immediatamente solidarietà sociale, ma vede ridefinirsi la paura stessa nella relazione uomouomo, la traiettoria del tempo oscilla tra familiarità (Vertrautheit) e fiducia (Vertrauen). In un mondo familiare - «addomesticato» in senso letterale: ridotto a dimensioni casalinghe-, il passato prepondera sul presente e sul futuro: nel passato non ci sono :....;;;=--i più «altre» possibilità, e l'orizzonte occupato da ciò che è già stato ='---":.......:::e~:....,;.;·•:-:....~...::~·-=·.,.=-;:.;...:·.'---"".;..;-....::: 0 ;.,.· =··:_· _.·· =---' consente di semplificare e di impoTra Seicento e Settecento si è combattuta attorno al tempo, per esempio, una duplice battaglia: contro l'inattaccabilità delle prerogative ereditarie nobiliari e a favore di una ritrascrizione delle funzioni del tempo nella nozione unitaria di progresso. La prima è una battaglia a favore della discontinuità - bisogna spezzare il tempo parassitario del principio di eredità e di discendenza -, la seconda vede affiorare quella nozione di tempo lineare che, com'è stato osservato, è tanto relativamente giovane quanto è stravolta e immiserita (e corrispondentemente vituperata dal fronte avversario) negli abusi storicistici. Ma il risultato, nel secondo caso, è molto simile a quello che Elias registra come parabola del- !'esperienza del tempo nelle comunità prestatuali: «Poiché le catene di interdipendenza sono, nel caso di società pre-statuali, relativamente brevi, anche la percezione di un passato e di un futuro separati dal presente sono, nei membri di queste società, meno sviluppate. Nell'esperienza vissuta di questi uomini il presente immediato, il qui e l'ora, emerge più nettamente del passato da un lato e del futuro dall'altro ( ... ). In società più mature, invece, passato, presente e futuro vengono distinti più rigorosamente. Il bisogno e la caverire il mondo. La fiducia è invece indirizzata al futuro: ha bisogno della storia come di un retroterra che assicuri una familiarità minima, ma non è ricavabile sillogisticamente dal passato. La fiducia arrischia il futuro e introduce, rispetto a un passato che è comune, qualcosa di nuovo. A questo punto anche Elias ammorbidirebbe la sua diffidenza per i saccheggi filosofici della temporalità: perché di fiducia, nella civiltà occidentale, si è parlato ovunque si sia parlato di futuro. Quando un Nietzsche sapientemente riletto da Heidegger identifica nello spirito di vendetta «l'avversione della volontà contro il tempo e il suo 'così fu'», cioè contro il passare (Vergehen) del tempo e la sua caducità (Vergiinglichkeit), e contropropone «l'amore creatore, che si dimentica di se stesso nelle sue opere», ia filosofia ~ si è fatta terribilmente terrestre: ~ raccoglie le esigenze di una società -~ che, per far posto alla speranza e ~ allo spirito di redenzione, deve in- ~ trodurre nel suo arsenale l'oblio. ~ E che continua invece ad alimen- ~ tarsi di spirito di vendetta perché, ~ come direbbe Elias, non è in gra- ·òò do .di attivare - se non in modo ~ volgare e difensivo - processi di s:: apprendimento e di trasformazio- ~ ne della struttura della personalità ~ per un futuro praticabile. ~
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