Alfabeta - anno VII - n. 73 - giugno 1985

F accio un esperimento mentale. Sto davanti a un quadro di Magritte. La casa riposa in un buio ovattato, sforato dalla calda luce che si riversa dalle finestre. Anche il grande albero davanti alla casa emana oscurità. Ma il cielo di sfondo è assolutamente diurno, azzurro. C'è però un'altra versione del quadro. Dal cielo stellato si stacca la stessa casa illuminata dal sole e anche l'albero nel giardino vibra di luce. In entrambi i casi mi sento spaesato e provo tuttavia un senso di benessere. L'un-heimlich passa nei contorni della casa: sto a casa e insieme me ne sento estraniato. Nella stessa casa a illuminazione rovesciata (versione 2) esperisco di nuovo la simultaneità di stare a mio agio e a disagio, dello stare presso di me e altrove. L'un-heimlich non è dissociato da un qual certo piacere. La ripetizione (dalla versione 1 alla 2) accresce l'effetto, lo dilata come un'immagine in un gioco di specchi. C'è, nel trascorrere dall'una ali'altra versione, un elemento di novità in questa felice unità del già-visto e de~'ancora-una-volta? La contraddizione atmosferica, che è la fonte delle contrastanti sensazioni, è incorniciata ed esaltata dalla simmetria delle due versioni speculari. La contraddizione che mi turba è dunque relativa ali'ordine del tempo: nell'avere (in due versioni simmetriche) una compresenza di tempi differenti nello stesso giorno. La simultaneità di notte e giorno sospende il corso del tempo; la ripetizione accresce il senso di meraviglia che accompagna il disagio e rafforza quindi l'altro, inspiegabile sentimento di benessere. Finisco per riconoscere la casa come mia propria. L'un-heimlich si rovescia in heimlich. La possibilità di una combinazione contraddittoria di rappresentazioni è fornita in un sorprendente esempio verbale, stavolta, da Wittgenstein, nell'aforisma 515 be, non di meno, di rimanere all'interno dell'arbitrarietà ideologica di ogni filosofia della storia. Oppure, se non sbaglio, il valore d'uso è anche genericamente analogizzato ai valori ultimi; infatti, Vattimo collega la «riappropriazione» non solo al valore d'uso, ma anche ai valori ultimi: «La prospettiva della riappropriazione ha perso il suo significato di norma ideale; come il Dio di Nietzsche, tale prospettiva si è rivelata, alla fine, superflua ( ... ). È qui, in questa accentuazione della superfluità dei valori ultimi, la radice del nichilismo compiuto» (p. 32). Ma allora è difficile dimostrare che la fenomenologia, ad esempio, nel suo processo di riduzione dell'essere a fenomeno, abbia a che fare con valori supremi, bassi o intermedi che siano. A rriviamo al terzo punto della riflessione di Vattimo: nel mondo del valore di scambio generalizzato, egli dice, tutto è r--... dato come racconto esibito dai <'-l <:! .s ~ I:)., ~ °' ...... ~ media; la stessa dimensione estetica è identificata con la sfera dei media (pp.-35, 63, 64). Accogliere l'appello del Ge-Stell, «come sistema dell'imposizione tecnologica», significa rendere il pensiero disponibile ad accogliere «il senso non puramente negativo e deiettivo che l'esperienza dell'esteticità i:! ha assunto nell'epoca della cultura ij massificata» (p. 72). -e ~ La tesi della morte dell'arte può ~ voler dire, secondo Vattimo, esdella prima parte delle Ricerche filosofiche: «Due immagini della rosa ne~'oscurità. Una di esse è completamente nera, e quindi la rosa è invisibile. Nell'altra la rosa è rappresentata in tutti i particolari ed è circondata dall'oscurità. Una di queste immagini è vera, e l'altra falsa? Non parliamo forse di una rosa bianca nell'oscurità e di una rosa rossa ne~'oscurità? E non diciamo tuttavia che al buio le due rose non si possono distinguere?» La quotidianità (della scena magrittiana, dell'uso del linguaggio) esalta il meraviglioso. Questa sospensione del tempo è raggiunta mediante un metodo surrealista, guadagnando in sottigliezza di spaesamento quello che forse si perde dal punto di vista della perentorietà del gesto. Intendendo per quest'ultimo la grande maniera astrale di altri maestri: i grandi fondali azzurri di Bocklin, le intense zone di colore del Vermeer sul quale si chiude la vita di Swann ... In questa sensazione di benessere, filtrata attraverso la quotidianità del banale e il suo improvviso smagliarsi, si affaccia una promessa di redenzione - redenzione dallo scorrimento del tempo, dalla chiusura implacabile della logica, redenzione illusoria, ovviamente, a meno che ogni promessa sia debito, ma di chi e con chi? Quella che ho descritto non è però un'esperienza privata: in qualche modo è una tentazione che vale la pena di tematizzare, di leggere contro lo sfondo di una tradizione egualmente tentata ma avversa alle tentazioni. L'ingenua istanza di redenzione individuale del tempo puo acquistare un carattere più inquietante se la si mette alla prova delle grandi categorie istituzionali della nostra cultura. Che tale messa alla prova sia stata immaginata è anzi, a rigore, una delle più precoci testimonianze della crisi di quelle categorie. Come sempre, ribadire ciò che prima era considerato ovvio preannunsenzialmente due cose. In senso «forte», l'arte non è più un fenomeno specifico perché è hegelianamente superata in una generale estetizzazione dell'esistenza; a questa interpretazione apparterrebbero le teorie utopistiche, quelle che vedono nell'arte il luogo privilegiato per la scoperta dell'autentico, del disalienato, della riappropriazione. In senso «debole», morte dell'arte è «l'estetizzazione come estensione del dominio dei mass-media» (p. 64). Molto opportunamente, mi sembra, Vattimo ha sottolineato la possibilità di abbandonare le categorie di progresso, superameneia un declino. Penso adesso alla ben singolare polemica che Weininger conduce contro l'eterno ritorno nietzscheano in nome dei valori della morale e della dltura kantiana, valori espressi in termini di virilità e repressione. Nel suo saggio sull'Irreversibilità del tempo si sviluppa una dimostrazione tutta etica dell'unidirezionalità del tempo, che procede parallelamente alla tematizzazione che la termodinamica aveva offerto della «freccia del .. tempo». Il movimento ciclico è considerato «amorale» perché si contenta di sé, esclude lo sforzo per la ripetizione, è inferiore, nel suo avvolgersi, ali'arretramento del gambero (che almeno ha una direzione lineare). L'andamento ciclico, nella sua spazialità labirintica, è proprio della danza, della manifestazione più tipica della seduzione femminile, anzi della prostituzione. La figura della giostra attribuisce poi la circolarità anche agli uomini, ma solo nella fase infantile, quando sono ancora sottomessi alla guida femminile (è inutile ricordare che il femminile e l'ebraico sono, nell'opera maggiore di Weininger, Sesso e carattere, immagini del mondo non-morale). Il pensiero dell'eterno ritorno dell'eguale è assunto da Weininger secondo la prima versione nietzscheana, come pensiero abissale e pauroso: è immagine temporale del Sosia, del rigetto del nuovo che si collega alla paura della morte (mentre l'immortalità è vittoria sulla paura, libertà dalla ripetizione). La memoria serve a individuare il nuovo nell'apparenza della ripetizione periodica: dunque la memoria è morale, l'oblio immorale. Persino il corso dei pianeti, nella sua circolarità, è l'antitesi del progresso morale e civile kantiano: Saturno è il simbolo astrale del male, così come zoologicamente lo è il serpente, che si attorce e si morde la coda (il simbolo dell'eterno ritorno, l'animale di Zarathustra). non c'è alcun Grund, alcuna verità ultima; ci sono solo delle aperture storiche, destinate, ossia inviate, da un Selbst, un Medesimo che si dà solo in esse» (p. 184). Ma, mi sembra lecito chiedersi, è possibile che l'An-denken heideggeriano (uno dei temi centrali della filosofia di Vattimo) abbia come esito questo relativismo? È possibile, più in generale, che nell'esperienza estetica, il modello dell'esperienza della verità riporti a questo relativismo storicistico? to, sviluppo attraverso l'idea di post-histoire di Gehlen, e altrettanto importante è l'affermazione secondo cui ci si apre a una concezione non-metafisica della verità - non muovendo dai modelli positivistici del sapere scientifico ma dall'esperienza dell'arte e dal modello della retorica, che mettono in luce la «verità» mai come struttura stabile e assolutamente definita. Se queste sono le premesse, :il nichilismo compiuto di Vattimo mi sembra tuttavia che le abbandoni, e la chance che gli rimane è quella di affidarsi a un relativismo storicistico: «Vedere le tesi della metafisica come Ge-schick, invio, trans-missione storico-destinale, toglie alle pretese di cogenza della metafisica tutta la loro forza. L'atteggiamento che ne risulta è una specie di relativismo storicistico: Eppure Vattimo ha sottolineato che la verità riconoscibile nell'esperienza estetica ha a che fare con dei «'grumi' di senso (... ) dai quali soltanto può partire un discorso che non si limiti a duplicare l'esistente ma ritenga anche di poterlo criticare» (p. 21). In queste stesse parole è quasi In fondo, l'irreversibilità del tempo è postulato della morale, perché solo in uno scorrimento lineare del tempo si può dare pentimento e correzione, memoria e responsabilità. Voler cambiare il passato è eminentemente immorale, anzi l'inversione del tempo è la malvagità radicale, il movimento inverso alla decisione anticipatrice che produce, verso il futuro, il senso della vita: «La volontà dell'uomo fa il futuro: l'uomo anticipa il tempo, in quanto decide; e revoca il tempo in quanto si pente. Nella volontà dell'uomo, che è sempre volontà dell'eternità, il tempo è insieme posto e negato. L'irreversibilità del tempo è identica con il fatto che l'uomo è nel più profondo un essere che vuole; l'Io come volontà è il tempo». L'irreversibilità del tempo è dunque identica all'irreversibilità della vita (dimostrazione etica però, non termodinamica!). Il fatto che la vita non si possa invertire, non possa procedere dalla morte verso la nascita, non pone perciò il problema dell'entropia ma del «senso della vita», del legame fra desiderio di immortalità e futuro (non si vuole infatti «essere sempre stati», ma «essere ancora sempre»). La volontà è l'Io nel tempo, il ponte fra il non-essere della condizione non-morale e l'Essere dei valori, che è fuori dal tempo. Wittgenstein, nel Tractatus 6.41, 6.431, 6.521 e 5.632 trascina citazioni quasi letterali da Ueber die letzten Dingen. Per chi dunque il tempo non ha direzione? Per i delinquenti, le donne, gli ebrei. E s'intende per tutta quella cultura contemporanea che Weininger, con l'illusione di esorcizzarla, produce per opposizione. La forma esistenziale di quella produzione paradossale fu, come è noto, il precoce suicidio. Era l'unico ebreo ammirato da Hitler (e oggi citato da Freda), ma questo è il lato comico del paradosso. Forse, nella disperata ricerca weiningeriana del solido terreno etico_-repressivokantiano e individuabile un principio fenomenologico di riconoscimento del senso: ad esempio, l'analisi di Merleau-Ponty su Cézanne, che non contiene alcun relativismo storicistico; e ancora, in una prospettiva diversa ma assimilabile, proprio dal concetto di utopia, che è forma metaforica del de-centramento (io penso che così si debba leggere la filosofia di Ernst Bloch), si può individuare il nucleo residuale di senso come traccia, che è punto di incontro di passato e futuro: è il residuale e insieme ciò che indica la possibilità del compimento. Invece mi par di capire che Vattimo, per aprirsi all'appello del Ge-Stell, e ai mass-media che sono la forma di diffusione e penetrazione della tecnologia nel suo porsi come sapere universale, intenda il processo generale di estetizzazione come estensione del dominio dei media nella forma del •consumo e «morte». Infatti egli interpreta in questa prospettiva il celebre enunciato di Heidegger: l'opera d'arte è messa in opera della verità. L'opera, dice Heidegger, è «esposizione di un mondo» e «produzione della terra». Il «mondo» è il sistema dei significati, delle interpretazioni dell'opera; la «terra» è un nocciolo mai consumabile dalle interpretazioni, mai esauribile nei significati. Proprio perché, sostiene Vattimo, la verità dell'opera d'arte è evento, negazione di stabilità e durata, l'arte ha un carattere «denel simultaneo interesse della cultura cristiano-borghese per l'arresto del tempo, la cancellazione dei confini terrestri per l'elemento labirintico, marino, si può già rintracciare quello scambio delle parti di cui parla M. Cacciari nel suo recente Icone della legge (Milano, Adelphi, 1985), a proposito della Stella della redenzione di F. Rosenzweig: nostalgia cristiana per l'esilio, nostalgia ebraica per il Nomos. Che il perturbante, l'unheimlich, sia legato a un'esperienza di rottura del tempo lineare e di coazione a ripetere, è • noto dopo Freud1,·che però vi si aggiunga un senso di piacere, che lo choc si as-• soci a un'idea di redenzione dal tempo (non solo negli episodi proustiani di memoria involontaria, ma anche nella morte di Swann!) sta già in una dimensione in cui le categorie di tempo e soggetto sono alterate rispetto a quelle classiche. Non solo nella consapevolezza teorica, ma anche nel senso comune della quotidianità. Magritte voleva certo produrre un effetto di spaesamento, ma oggi suscita tenera familiarità. Nota (1) Come è ampiamente spiegato nella Parte seconda di F. Rella, Il silenzio e le parole (Milano, Feltrinelli, 1981), la cui Parte prima offre invece il più completo panorama dell'influenza di Weininger sulla cultura viennese. Stranamente, tuttavia, Rella si limita a Sesso e carattere, non valorizzando l'originalità delle formulazioni sull'irreversibilità del tempo, solo parzialmente ànticipate nell'opera maggiore. La stessa bizzarria dei temi trattati negli altri saggi e aforismi sintetizza ancor più chiaramente la contraddizione implosiva dell'autore alla vigilia del suicidio. Ben più attento, su questo punto specifico, il Lowith, nel Capitolo 7 di Nietzsche e l'eterno ritorno (trad. it., Bari, 1982). Otto Weininger Ueber die letzten Dingen Wien-Leipzig, 1907 (trad. it., Torino, 19232) corativo», «periferico», «marginale». E così anche la «terra», il nocciolo non esauribile nei significati, è per Vattimo la morte, quella morte che vede essenzialmente espressa nel carattere monumentale-funereo della poesia, dell'arte in generale: «Il monumento non è una funzione dell'autoriferimento del soggetto: esso è anzitutto( ... ) un monumento funebre», «Il monumento ( ... ) non è il calco di una vita piena, bensì la formula, che si costituisce già per trasmettersi, dunque già segnata dal suo destino di alienazione radicale; segnata, in definitiva, dalla mortalità» (pp. 81, 82). Se giustamente, credo, Vattimo muove dall'esigenza di sottrarre all'accadere della verità dell'arte, nel conflitto di «mondo» e «terra», la presenza di verità profonde e essenziali (pp. 95-96), tuttavia la chance del suo nichilismo, la verità come evento, evento testimoniato da terra-morte e arte-monumento, è dissoluzione, è potenza di un volere che porta la tensione viva e metamorfica della formazione nella fissazione morta della formula. E allora, forse,. muovendo dalle stesse premesse di Vattimo, la chance è invece sentire che la terra è morte per poter essere anche rinascita, è riconoscere che l'ultimo aforisma del . Wille zur Macht nietzscheano sembra sorgere dalla stessa intuizione anti-storica («post-moderna») del frammento di Goethe sulla natura, e desiderare la sua verità.

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