Alfabeta - anno VII - n. 73 - giugno 1985

A. Dya Prigogine IsabelleStengers EdgarMorin SE - Scienza esperienza ha pubblicato sul n. 20 (dicembre 1984) una serie di scritti col titolo La sfida della complessità, fra i quali figurano alcune brevi interviste di Donata Fabbri Montesano a Prigogine, Stengers e Morin. Ripubblichiamo domanda e risposte per una prima definizione del concetto di complessità nelle scienze della natura e del vivente. Il numero citato di SE è ricco di materiali e vale come riferimento di studio. D. Si può parlare di complessità unica, come concetto epistemico e fenomeno diffuso nell'approccio delle scienze attuali, oppure dobbiamo parlare di una complessità applicata a ogni disciplina scientifica quindi con genesi diverse? Si può parlare di una o di diverse complessità? Prigogine. Non cerco di definire il termine «complesso». Vorrei soprattutto che traducesse una sorpresa nella situazione, una situazione che io chiamerei «di fatto». Qui mi separo da quanto dice /sabei/e Stengers che cerca di definire la complessità, di distinguere tra complessità e complicazione. Devo dire che non sono un formalista e che ciò mi lascia alquanto indifferente. Mi interessa la sorpresa del fisico nel vedere che l'immagine di semplicità che egli ha sempre avuto e che proveniva da alcuni modelli di movimenti planetari e di gas perfetti non siano generalizzabili. E questo che definisco la scoperta del mondo complesso. L'immagine classica della vita ci ha detto che le situazioni della fisica sono considerate semplici e il resto complicato o complesso, perché non si conosce-. va bene oppure non si sapeva analizzare bene. Ma adesso, persino in fisica, nelle scienze biologiche o nelle scienze umane, si è scoperta la complessità che si attribuiva precedentementeall'ignoranza. Allora per i fisici questo è fonte di stupore. Ciò può chiamarsi la scoperta del «complesso». Ma io non vi attribuisco l'importanza, direi, di definizione, non voglio fare di questo una battagliadi ideologia. Stengers, Cerco di trattare la complessità non come una teoria, per me non esistono teorie generali della complessità, ma nel senso in cui essa è una situazione specifica che conoscono alcune scienze caratterizzate dalla fiducia che hanno avuto in modelli semplici. È infatti molto probabile che si possa parlare di complessità in scienze sociali, per esempio, ma non sarà allora la stessa complessità di cui ho parlato, nella misura in cui questa o quella scienza sociale non si è affidata a un modello semplice. Se si elimina l'esempio delle scienze sociali, la psicoanalisi freudiana non affidandosi a un modello semplice, non conoscerà questa situazione di messa in questione. Perché, per quanto mi riguarda, il problema della complessità si pone nel momento in cui il modello semplice si trova intrinsecamente insufficiente e pertanto non si può parlare di ciò di cui è modello come della stessa cosa ma più complicata; bensl di qualcosa di ben diverso. Le immagini dell'ambiente/ Antologia La complessità Il Dunque il modello semplice sarà eventualmente la strada che si è seguita per arrivare al problema complesso, ma si dovrà dimenticare questo percorso eliminando questa impalcatura, il complesso sarà ormai autonomo rispetto al modello semplice. Morin. Direi né l'uno né l'altro o nel contempo l'uno e l'altro perchi forse la complessità è proprio questo. Infatti volevo dimostrare che esistono diversi tipi di cose complesse, diversi tipi di complessità empiriche ma che si possono ritrovare in scienze del tutto diverse. Per esempio il caso o il disordine sono un tipo di complessità, cioè non si possono ridurre a una legge semplice tutti i fenomeni che avvengono sia nella società sia nella fisica. Esistono anche complessità logiche, cioè contraddizioni insormontabili. Alcuni tipi di contraddizioni fisiche come per esempio il fatto che si debba ammettere che l'ombra e il corpuscolo siano la stessa realtà pur essendo differenti, sinotano anche in sociologia; infatti, come può qualcuno chef a parte di una società parlarne in modo semplificato? In altre parole, se volete, ci sono diverse complessità che non derivano da alcuna disciplina ma che si possono trovare diversamente un po' dappertutto. E direi che esistono complessità a polarizzazione logica, che pongono problemi dei limiti della logica, delle contraddizioni cui si urtano, delle sue insufficienze; e, in secondo luogo, le complessità empiriche che derivano dal disordine, dal caso o dalla «complicazione» cioè un gran numero di elementi che interagiscono recipro- -camente in modo «incastrato». Non possiamo dunque unificare una complessità; soltanto credo si possa parlare della complessità, nel senso che l'insieme dei problemi della complessità è unito profondamente da questo nucleo logico-empirico, perché essa è una e multipla. Il termine stesso «complexus» significa ciò che è unito insieme per formare un unico"tessuto. Per Morin la complessità non costituisce una teoria ma è un paradigma, una cornice di riferimento, «una sorta di nebulosa a spirale genetica di 'concezione del mondo', nel senso in cui questo termi- .. ne significa contemporaneamente princìpi di organizzazione dell'intelligibilità (paradigma, episteme) e organizzazione stessa della teoria». B. AngeloBaracca RichardB. Lewoòtin LauraConti Ancora con riferimento a un numero di SE (n. 19, novembre 1984) diamo alcuni estratti da risposte di Baracca, Lewontin e Conti sul quesito relativo al rapporto tra complessità e stabilità nell'ambito di fisica, genetica ed ecologia. Baracca. ( ... ) Da un lato si trovano, anche in sistemi perfettamente deterministici e molto semplici, soglie di stocasticità e transizioni a un comportamento caotico: due traiettorie infinitamente vicine possono divergere in modo drammatico. Le traiettorie sono dunque instabili; ma il sistema può essere considerato instabile? Questo caos ( = complessità?) assomiglia molto al comportamento ergodico, che di fatto conduce ali' equilibrio statistico. Ed inoltre, questa condizione può davvero essere considerata più complessa? Vi sono casi in cui non si raggiunge una condizione di equipartizione de~'energia (che dovrebbe valere ali'equilibrio statistico), cosicché il sistema di fatto non può assumere tutti gli stati dinamici in linea di principio possibili (in termini tecnici: non può riempire tutte le regioni accessibili dello spazio delle fasi) e pertanto sembra verificarsi una «riduzione dei gradi di libertà» (minore complessità) per Id 'Statostazionario. D'altra parte, sotto certe condizioni (riguardanti ad esempio il flusso di energia attraverso il sistema) nei sistemi fisici o chimici complessi compaiono strutture «ordinate» che corrispondono a uno stato termodinamico stazioil sistema diviene meno stabile. Non credo che si possa fare una simile generalizzazione. In generale la stabilità (nel senso di non cambiare la composizione delle specie in seguito ad una perturbazione) semplicemente non può essere correlata con il numero delle specie nella comunità. Vi sono molte comunità che sembrano campioni quasi puri, come le foreste boreali del Nord America o vasti campioni di deserto con una o due specie di piante desertiche negli Stati Uniti occidentali. nario: anch'esse possono essere considerate come corrispondenti a una «riduzione dei gradi di libertà», cioè a minore complessità. Sembra dunque che nei sistemi fisici, a seconda delle loro condizioni e della loro struttura, la stabilità possa corrispondere a un aumento o a una diminuzione di complessità: non vi sarebbe cioè una correlazione univoca tra complessità e stabilità. (... ) Lewontin. Concordo pienamente con Baracca sul fatto che le nozioni sia di complessità sia di Comunque, il punto essenziale su cui insisto è che la complessità e la stabilità non sono un reale problema per la biologia e sono state introdottte a causa di pregiudizi ideologici. Conti. In ecologia la complessità è definita come la misura delle interazioni funzionali tra le specie - di una comunità, ma credo utile precisare che questa definizione ~ non è completa se non tiene conto anche delle molte diversità tra i membri della stessa specie: per esempio, bisogna tener presente che non esiste una interazione funzionale tra la specie umana e i batteri patogeni che causano una stabilità sono fortemente influenzate dal punto di vista ideologico. Io penso addirittura che tutto il problema della complessità e stabilità sia stato sollevato per ragioni puramente ideologiche. La teoria della società e dello stato che nacque dopo le rivoluzioni borghesi ha fatto molto per equiparare questi due concetti. Questa teoria intende di solito la complessità come massima entropia, poiché ciò si accorda ideologicamente con la concezione degli individui come atomi che si muovono liberamente in uno spazio sociale, interagendo solo quando collidono tra loro. Un tale spazio sociale è ovviamente stabile per la teoria borghese. E viviamo in un mondo che non è più soggetto a cambiamenti. La divisione del lavoro è un aspetto della complessità in questa teoria sociale e di nuovo conduce a stabilità. Penso che tutte le considerazioni sulla complessità e la stabilità nascano da questo problema essenzialmente politico-filosofico. Ali' altra questione credo che non sia possibile rispondere. Non penso si sappia in alcun modo che se le specie in un sistema ecologico specializzano le loro funzioni o diminuiscono in numero, allora 1 certa malattia, ma esistono diverse interazioni secondo l'età dei soggetti umani e secondo la loro «storia di vita». Inoltre mi sembra che non solo una comunità ma anche una singola specie possa essere considerata più o meno complessa: per esempio, credo si possa dire che un batterio che possiede l'informazione genetica necessaria a utilizzare diverse sostanze è più complesso di un batterio che utilizza una minore varietà di materiali ed è ancora più complesso se possiede i meccanismi di regolqzione che gli assicurano di produrre gli enzimi metabolici nella giusta quantità, e non in eccesso né in difetto. Non mi pare che il concetto di complessità in biologia sia nato dalla divisione del lavoro fra gli uomini e dalle teorie sociali che da essa discendono. Infatti la bio- 'iogia identifica due processi molto diversi, due modalità molto diverse di passaggio da un certo livello di complessità a un livello di complessità maggiore. In una fase molto antica dell'evoluzione si formarono organismi più complessi, cioè organismi unicellulari eucarioti, attraverso l'associazione di organismi più semplici, i procarioti, se sono veridiche le osservazioni sul DNA degli organelli cellulari che non farebbero parte del DNA del nucleo cellulare. In questo caso non ci sarebbe divisione del lavoro, nel senso di una diversificazione di compiti tra associati, bensì un processo di associazione tra diversi, come accade nelle simbiosi. La divisione dei compiti - cioè la diversificazione di funzioni tra cellule che discendono da un'unica cellula e che fanno parte di un unico organismo - compare, nell'evoluzione biologica, molto più tardivamente, e cioè quando compare l'organismo pluricellulare col suo processo di sviluppo che, pur lasciando a ogni cellula un corredo genico uguale a quello delle altre, assegna a ciascuna la capacità di tradurre da potenziale ad attuale soltanto una parte di tale corredo. ( ... ) (Pagine scelte da Francesco Leonetti)

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