Alfabeta - anno VII - n. 73 - giugno 1985

N ell'articolo «Il mutamento culturale» (Alfabeta n. 53, ottobre '83), Eleonora Fiorani sottolinea l'attualità di percorsi materialistici pluridisciplinari, capaci di progettualità conoscitiva e operativa globale, «emersi» inaspettatamente dal tentativo novecentesco di dematerializzare la cultura. Evidenziando come uno dei nuclei principali di tali ricerche sia costituito dall'ambiente, la Fiorani pone l'attenzione sulla corrente antropologica americana nota come ecologia culturale, il cui iniziatore è Julian Steward. Essa vede nello scambio tra cultura e ambiente il movente evolutivo principale, insistendo sulla necessità di interpretare le culture dall'esterno (contesti ambientali) e dall'interno (valori). La cultura, in quanto modo di vita e adattamento umano, stabilisce il suo ambiente, ma è a sua volta modellata da queste operazioni. Esiste uno scambio tra cultura e ambiente: nell'adattarsi la cultura trasforma il suo paesaggio e quindi deve di nuovo rispondere ai mutamenti che essa stessa ha messo in moto. Le società sono quindi collocate in campi di a) influenza culturale, b) influenza naturale. Da ciò lo studio accurato dell'ambiente ecologico, delle condizioni concrete della produzione, dei regimi alimentari, soprattutto dei popoli cacciatori-raccoglitori, analisi che costituisce il grande contributo di questa corrente allo studio delle culture. Fra i continuatori delle teorie di Steward, la Fiorani cita Marvin Harris che in un'opera relativamente recente riprende le teorie di Karl Wittfogel sulle «società idrauliche» che si sono sviluppate tutte in vallate e pianure aride e semiaride irrigate da grandi fiumi in cui l'acqua costituiva il maggior fattore di produzione. Wittfogel ha studiato i rapporti fra i sistemi di produzione idraulica e l'emergere di dispotismi agromanageriali, per cui: irrigazione su larga scala (causa)- stati centralizzati (effetto). Le ricerche archeologiche hanno generato sia supporti che critiche negative a questa ipotesi; spesso le conclusioni sono state diverse anche esaminando gli stessi dati. Si confronti in particolare R.C. Adam (Early Civilizations. Subsistence and Environment, in C.H. Kraeling e R.C. Adam, a cura di, City Invincible: a Symposium on Urbanization and Cultura/ Development in the Ancient Near East, Chicago, 1966). Per lui: stati organizzati dinasticamente (causa) - grandi lavori di irrigazione (effetto). Il problema è stato però giudicato mal posto ed è stato ripreso riformulando l'ipotesi nel modo seguente: «non è l'irrigazione in sé, ma la coordinazione centralizzata delle attività di irrigazione che ha importanti conseguenze sociali» (W.P. Mitchell, «The Hydraulic Hypothesis: A Reappraisal», in Current Anthropology, voi. 14, n. 5, dicembre 1973, pp. 523-34). La formula ci porta molto vicino al concetto di ecologia culturale come processo adattivo che vede nelle società idrauliche di Wittfogel la cultura-tipo derivante da risposte sociopolitiche nelle società Le immagini dell'ambiente III Dellearieantiche agricole alle condizioni ambientali che stimolano lo stabilirsi di sistemi di controllo delle acque. Se, come sottolinea Steward, i processi di adattamento attraverso cui una cultura storicamente determinata si modifica in un ambiente particolare, sono tra i processi più creativi del mutamento culturale, il concetto di ecologia in rapporto agli esseri umani viene a essere uno strumento euristico per conoscere gli effetti dell'ambiente sulla cultura. L'ecologia culturale ritiene che gli adattamenti delle società umane ai loro ambienti permettano una certa libertà per una gamma di possibili modelli comportamentali. Essa analizza quindi i tratti più intimamente connessi con la utilizzazione dell'ambiente in maniera culturale prescritta. Dal punto di vista metodologico si possono elencare tre tipi di operazioni: 1. analizzare l'interrelazione tra tecnologia e ambiente; 2. analizzare i modelli di comportamento che implica lo sfruttamento di un'area particolare per mezzo di una tecnologia particolare; 3. analizzare in che misura i modelli di comportamento connessi allo sfruttamento dell'ambiente influenzino altri aspetti della cultura. Tutto ciò pur con i limiti sottolineati da Marce) Godelier (Horizon, trajects marxistes en anthropologie, trad. it. in Antropologia e marxismo, Roma, Ed. Riuniti, 1977), che accusa l'ecologia culturale di «materialismo riduttivo»: essa ridurrebbe «l'economia alla tecnologia e agli scambi biologici ed energetici degli uomini con la natura che li circonda» e «il significato dei rapporti di parentela o politico-ideologici a quello di mezzi funzionalmente necessari all'a-. dattamento biologico-ecologico». A proposito della effettiva scarsa circolazione in Italia della suddetta teoria, lamentata dalla Fiorani, è opportuno segnalare alcuni approcci provenienti da un ambito di studi tradizionalmente ritenuto chiuso a questo tipo di stimoli, ma che recentemente ha invece dimostrato ·in più sedi una notevole apertura interdisciplinare. Mi riferisco al campo degli studi classici e in particolare ad alcuni studiosi che hanno applicato tale prospettiva nelle loro ricerche. Già Mario Vegetti, traducendo e commentando nel '65 lo pseudoippocratico trattato Delle arie, delle acque, dei luoghi, il quale raccoglie le osservazioni di un medico-viaggiatore intorno all'influenza della natura circostante sulla costituzione umana, aveva sottolineato il mobile legame di interazione fra ambiente e strutture sociali presente nell'opera. Più esplicitamente Luigi Bottin (Reciprocità e redistribuzione nel- /' antica Grecia) riprende gli stimoli provenienti da altre discipline per una rilettura dei testi classici alla luce delle più recenti impostazioni, con un debito dichiarato verso M. Godeiier e K. Polanyi che gli ha consentito anche il recupero di quei «problemi dell'immaginario» a cui Steward sembra sordo: oltre al trattato pseudo-ippocratico sopra citato, il riferimento più immediato è alle Storie di Erodoto, in cui (n 13: «tutto il paese degli Elleni è bagnato dalla piogMarina Fumagalli gia, ma non irrigato dai fiumi») si trova già la distinzione teorizzata da Wittfogel fra idroagricoltura, come «economia agricola che comporta irrigazione su piccola scala» (Grecia), e agricoltura idraulica, come «economia agricola che comporta lavori su vasta scala e a direzione governativa di irrigazione e controllo delle acque» (Egitto). Bottin evidenzia come il dispotismo orientale venga spesso presentato da Erodoto come dominio sulla natura, con particolare riferimento a colossali opere idrauliche (n 108-109 passim: Sesostri costringe i prigionieri a «scavare tutti i canali che ora esistono in Egitto ... che sono molti e in ogni direzione ... » «Il re tagliò il paese perché altrimenti tutti gli Egiziani che non avevano le loro città sul fiume, ma nell'interno, quando il fiume si ritirava mancavano d'acqua ... »). Pochi altri passi erodotei si occupano di opere idrauliche come installazioni puramente produttive. 1 193: Sulla terra degli Assiri alle piogge scarse supplisce l'irrigazione a mano e con bracci di leva. «Poiché tutto il territorio di Babilonia, come quello d'Egitto, è diviso in canali». 1 184: Semiramide «eresse·nella pianura, che prima il fiume soleva sommergere tutta, dighe degne di essere vedute». In m 9 è sempre un re, quello ,d'Arabia in questo caso, che cuce con pelli di buoi e altri animali un condotto che giunge fino a una regione arida dove l'acqua viene conservata in cisterne per poi essere distribuita, attraverso tre condotti, a tre località. Ma il beneficio operato dal «signore delle acque» si rivela un'arma a doppio taglio, come è ben evidenziato da m 117: qui assistiamo a una situazione originaria in cui da una pianura asiatica circondata da montagne, ai confini di cinque popolazioni, provengono cinque fiumi che attraverso cinque fenditure forniscono acqua alle popolazioni suddette; tale situazione viene mutata dal dominio del Gran Re persiano. Egli applica delle chiuse alle fenditure trasformando la pianura in un mare e obbligando le popolazioni «che seminano miglio e sesamo» a pagare grandi somme, oltre il tributo, per poter usufruire dell'acqua. Il passo evidenziato da L. Bottin (pp. 141-43) ricorda per molti particolari i capitoli 129-130 del Libro settimo di Erodoto e i richiami non sembrano fortuiti, bensì paiono rientrare nella prospettiva contrastiva che Erodoto applica in molti frangenti per far emergere il diverso atteggiamento greco/persiano nei confronti della natura. In questo caso la situazione originaria è opposta: la Tessaglia era un lago circondato da monti altissimi e formato da fiumi, in particolare cinque. Ora il bacino è abitabile perché, pare in seguito a un terremoto, si è formata un'unica e stretta gola che permette il defluire dell'acqua. Serse, vista la situazione, giudica il territorio «di facile conquista» tramite la costruzione di una diga che, impedendo il deflusso, provochi l'allagamento di tutta la Tessaglia. 11 comportamento del despota nei confronti della natura si configura come un atteggiamento di dominio, in particolar modo verso ciò che ha a che fare con l'acqua. Ciò può essere collegato alla particolare «visione del .mondo» persiana, vale a dire ciò che questa società percepisce come universo, i significati e i valori che trova in esso e come definisce le sue relazioni con lo stesso. «La giustificazione fondamentale dell'intero sistema stava nel controllo delle acque e lo Stato finì coll'identificarsi con esso» (W.M. Russe!, Uomo, natura e storia, in Tutto su... La conquista del/'ambiente, Milano, 1965, pp. 97-100). Si veda Erodoto 1 138: «In un fiume non urinano né sputano né si lavano le mani né lo permettono ad altri. I fiumi sono per loro oggetto della massima venerazione». Erodoto non a caso insiste spesso sulle «operazioni preparatorie e protettive diverse dalla coltivazione vera e propria» (Wittfogel), come la costruzione di canali e dighe (cfr. I 178, 184-186, 191; II 17, 99, 101, 138, 158-159).Significativo in questo senso è 1 189: Ciro si vendica dell'oltraggio che gli viene fatto dal fiume Ginde, in cui è perito un suo cavallo sacro, dividendolo in 360 canali per indebolirlo (cfr. 1 76: Creso fa costruire un canale per deviare il corso dell'Halys in modo che entrambi i rami divengano guadabili per l'esercito). Il legame particolare fra il Gran Re e l'acqua sembra sottolineato dal particolare (1188) che il Gran Re in guerra beve solo acqua bollita del Coaspe, che scorre presso Susa, facendola trasportare su muli. In IV 91 Dario in un'iscrizione posta presso le tre sorgenti del Teatro precisa che egli, l'uomo più valoroso e più bello di tutto il mondo, è giunto alle sorgenti che forniscono l'acqua più bella e migliore di tutti i fiumi. In particolare, il despota è spesso visto nell'atto di aggiogare la corrente di un fiume o del mare: in VII 8 Serse propone di aggiogare l'Ellesponto e realizza l'impresa, ma una tempesta rompe i cordami. Allora Serse si adira e ordina che si diano 300 colpi di frusta all'Ellesponto e fa gettare al largo un paio di ceppi. Oltre al fatto, riferito come notizia indiretta, che Serse avrebbe fatto bollare a fuoco l'Ellesponto, vengono pronunciate per suo ordine le frasi seguenti: «Acqua amara, il tuo padrone t'impone questo castigo perché, senza aver da lui ricevuto alcun male, gli hai fatto torto»: lo stretto viene punito per aver infranto il rapporto di reciprocità natura-sovrano. Situazione analoga ritroviamo in 11 111: il faraone Fero, durante un burrascoso straripamento del Nilo, avrebbe afferrato una lancia e l'avrebbe scagliata tra i vortici del fiume. Dal punto di vista orientale l'atteggiamento rientrerebbe nella logica del dominio del despota sulla natura; invece dal punto di vista greco esso non può essere qualificato che come hybris: e infatti per Erodoto le parole di Serse sono «barbare e forsennate» e Fero agisce «preso da folle orgoglio». Compaiono anche accenni a una punizione per cui il faraone diviene cieco per dieci anni e riacquista la vista solo in seguito a sacrifici espiatori. Il «punto di vista greco» è ben evidenziato dalle parole di Temistocle (vm 109), secondo il quale «gli dei e gli eroi ebbero gelosia che sull'Asia e l'Europa regnasse un uomo empio e scellerato (... ) che fece frustare perfino il mare e vi gettò dentro catene». È la natura stessa che, sul suolo greco, si ribella: in VII 42 tuoni e fuhnini distruggono gran parte dell'esercito di Serse. Emblematica è l'affermazione seguente (VII 10): «il dio fulmina gli animali di eccessive dimensioni e non permette loro di andarne orgogliosi, mentre le piccole creature non lo irritano affatto. E vedi come sempre scaglia i fulmini contro gli edifici e gli ·alberi più alti? Perché al dio piace ogni eccessiva grandezza mutilarla». Da ciò a considerare il dispotismo in generale come un sovvertimento dell'ordine naturale il passo è breve (v 92): se alla uguaglianza (isocratìa) verrà sostituita la tirannide, «il cielo starà sopra la terra e la terra sospesa sopra il cielo, gli uomini abiteranno il mare e i pesci dove prima gli uomini». Cfr. Luigi Bottin Reciprocità e redistribuzione nell'antica Grecia Padova, Clesp, 1979 pp. 160, lire 7 .000 Mario Vegetti Introduzione e commento a Pseudoippocrate Delle arie, delle acque, dei luoghi in M. Vegetti (a cura di) Opere di Ippocrate Torino, Utet, 1965 Marshall D. Sahlins Cultura e ambiente: lo studio dell'ecologia culturale trad. it. di A. Sorsaja in Orizzonti di antropologia Brescia, La Morcelliana, 1974 pp. 280, lire 5.500 Julian H. Steward Theory of Culture Change. The Methodology of Multilinear Evolution trad. it. di D. Panciola in Teoria del mutamento culturale Torino, Boringhieri, 1977 pp. 318, lire 15.000 Karl A. Wittfogel Orientai Dispotism. A comparative Study of Total Power trad. it. di R. Pavetto in Il dispotismo orientale Milano, Surgarco, 1980 pp. 830.,lire 17.000

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