Alfabeta - anno VII - n. 73 - giugno 1985

Le immagini dell'ambiente III Lostrumentoirriducibile Ivan Illich La convivialità Milano, Mondadori, 1978 pp. 173, lire 1.800 Il genere e il sesso Milano, Mondadori, 1984 pp. 246, lire 14.000 Mircea Eliade Arti del metallo e alchimia Torino, Boringhieri, 1980 pp. 189, lire 14.000 Storia delle credenze e delle idee religiose Firenze, Sansoni, 1979 3 voli., pp. 504; 534; 387 lire 84.000 Ralph Linton Lo studio dell'uomo Bologna, Il Mulino, 1973, pp. XXIII+542, lire 7.500 S e è vero che ogni bene strumentale, atto a produrre effetti innovatori, candidandosi a divenire instrumentum peculiare, riceve l'approvazione sociale in base alle alternative determinate che riesce o meno a soddisfare; e se è anche vero - come argomenta Ralph Linton - che l'innovazione dallo strumento prodotta deve risultare essere insita in un continuum culturale fatto di acquisizioni e inevitabili dispersioni temporali; non è forse peregrino chiedersi, allora, se e come ciò possa continuare ad accadere nello spazio, davvero dilatato, occupato dalla «comunità degli strumenti» nell'attuale scenografia sociale. Scenografia non certo sospetta di passioni antropomorfiche - e per questo «disincantata» -, né mai paga, per di più, delle trasfigurazioni di un Atlante elettronico e multitentacolare. Tra moderno e post L'interrogarsi, in effetti, piuttosto che peregrino, può essere radicale, addirittura. E tale, certamente, se capace di cogliere come nodali i nessi sussistenti tra forme dei corpi - singolari, collettivi, sociali, politici -, forme degli strumenti - siano essi volgare ferramentum o raffinati instrumenta imperii - e nessi causali che ne determinano gli usi, qualificandoli - secondo una discriminante che fu 'moderna' - come dai corpi esercitati o sui corpi esercitabili. Naturalmente, ammettiamo che da un determinato punto di vista tale discriminante sintetica possa addirittura apparire come simulazione di un simulacro, di per sé irrilevante nella sua arcaica «modernità-critica» (cfr. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 1979). Ovvero, che possa apparire ignorante la tipologia effettuale di una «comunità strumentale» à la Lyotard (cfr. La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1981). Ammettiamo, insomma, l'impo- ~ stazione 'moderna' del quesito. i::s D'altro lato, proprio perché -~ molteplici sono le radici e i conte- ~ sti generanti i saperi postmoderni ~ - così come molteplici sono le in- ~ terpretazioni del presupposto po- ~ stindustriale che sempre li sotten- ~ de-, non è raro assistere a lumi- .b<l nosi cortocircuiti, i cui bagliori, a ~ tratti, risplendono sui frammenti ~ di una 'modernità' non sempre di- ~ gerita, forse. Un autore come Ivan ~ lllich, ad esempio, attraverso la ~ sua nodale riflessione sulla società strumentale, lo testimonia a tal punto che non sembra davvero impossibile paventare un ritorno del 'moderno' come rompicapo irresolubile, da un lato, o, comunque, il persistere di un'illusione vernacolare come luogo, ancora 'moderno', dello «strumento ritrovato» nella sua primigenia - ma indefinita - valenza simbolica. Lo spettro del moderno: un quesito, un'aporia Molte delle problematiche inerenti il rapporto tra corpi sociali e comunità degli strumenti sono relative alla complessità simbolica dell'instrumentum in quanto struttura 'tecnica', oggettivata: arcaico utensile magico, comunale simbolo delle arti, lavoro morto, sapere accumulato; insomma: mezzo dell'agire strumentale. Si tratta, inutile dirlo, di un'assunzione generale, legittimata da un secolo di studi antropologici e di 'tormenti' filosofici, che si ritrova, naturalmente, anche alla base dell'ampia ricerca di Illich sulle strutture della società conviviale. Conviviale, in sostanza, è quell'organizzazione sociale ove la comunità degli strumenti sottostà ai fini della persona integrata nella collettività e nella quale l'agire strumentale - veicolato dalle grandi organizzazioni, dai monopoli, dallo Stato - è bandito in quanto presupposto di sottomissione strumentale alle istituzioni totalizzanti: scuola, medicina, ecc. Diversamente, lo strumento preservato - il cui funzionamento dovrà essere il più possibile conforme al regime energetico del metabolismo umano - sarà perciò quello la cui struttura favorisce la scoperta personale, la sorpresa, piuttosto che lo specialismo, sempre foriero di integrazione strumentale. Insomma, perno della ricerca di lllich è l'analisi dell'opposizione irriducibile tra società strumentale Adelino Zanini e riconversione conviviale, trasparente, postindustriale àello strumento, nella radicale consapevolezza dei sovvertimenti che ciò comporta. Consapevolezza certamente diffusa nei diversi saperi postmoderni, che in questo specifico caso tuttavia - ecco il quesito - è tale non perché assume la «tragicità» inevitabile della societàstrumentale (cfr. C. Formenti, «La macchina, il cyborg, il mana. L'immaginario scientifico di Lyotard», in aut aut, nn. •179-180, 1980), bensì in quanto ne ipotizza una dolce sovversione. L'ipotesi, ovviamente, è legittima nella misura in cui è posta come risultato di una «ricerca radicale», di un mutamento qualitativo del vivere sociale. D'altro lato, la volontà 'critica' che sottende apre verso un'utopia (concreta), che pare alquanto lontana da ogni sapere postmoderno. Non è argomentazione assiologica quest'ultima, si badi, anzi; ma, coerentemente, una domanda radicale sembra davvero ineludibile. Ovvero, nell'ambito proprio alla società postindustriale e all'interno dei modelli di sapere 'differenti' che essa produce e Illich assume, vi è spazio per un'assunzione 'critica' della società strumentale? Oppure, l'unico ambito praticabile è il «tragico» «giocar-vi» con lo strumento? - impersonale e per questo postindustriale. Pare essere questo un primo quesito che Illich indirettamente pone al sapere postmoderno; que- •sitomateriale, politico~anche perché lo stesso autore, nel saggio del 1973, almeno, non disdegna bensì invoca una dichiarata «inversione politica». Tuttavia, è quesito aporetico, perché ciò che in ogni caso quell'inversione politica non riesce a dipanare - proprio perché contraddittoriamente giocata sul filo del 'moderno' e ad esso debitrice di «ideali» e «speranze» - è il persistere della complessità simbolica della comunità degli strumenti, che l'inversione politica non riesce a mordere, non riuscendo, anche per questo, a rendersi credibile - avendo naturalmente rinunciato a quei presupposti 'moderni' che della 'critica' erano veicoli. Insomma, l'interrogazione sulla valenza simbolica irriducibile dell'instrumentum non è affatto radicale e per questo lambisce costantemente il 'moderno'. L'irriducibilità simbolica dello strumento In effetti, lo strumento è un'entità simbolica la cui complessità, il cui spessore magico - irriducibilmente estrinseco all' anthropos - non possono essere semplificati al conseguire di mutazioni sociali. Mircea Eliade, tra gli altri, nel primo volume dell'Histoire des croyances, ricorda come già per i paleantropi lo strumento non sia affatto prolungamento degli organi umani, bensì attrezzo simbolicamente distinto, pensato in quanto «strumento di strumenti», il cui ruolo è quello di forgiare ciò che gli esseri preistorici da soli non possono. Lo strumento, poi, è il solo mezzo che, col fuoco, consentirà al fabbro, divinatore perché detentore dei segreti dei metalli, di mutare i ritmi di maturazione dei frutti-minerali della terra, producendo e riproducendo utensili. In tal modo, l'arte del fabbro è di natura divina, demoniaca, proprio perché degli strumenti si serve per produrre strumenti capaci di sondare il ventre arcano della comune Madre; e lo strumento, irriducibile all'armonia del corpoumano-tribale, è d'esso padrone nella misura in cui trasforma i ritmi naturali, esponendo I'anthropos medesimo all'ira degli dei. In epoca storica, è ben noto, la progressiva trasformazione del sapere alchemico in sapere tecnico ha via via eliminato il carattere magico dello strumento. Non di meno, la filosofia occidentale ha continuato a cogliere in esso l' Altro, l'estrinseco: entità simbolicamente irriducibile all'anthropos e perciò minacciosa. È pur vero che il sapere 'moderno' avrebbe preteso sottometterlo attraverso la «critica-dialettica»; d'altro lato - e torniamo a Illich -, questa filosofia dello sviluppo non è più sapere adeguato alla società postindustriale; di più: solo al suo abbandono potrà conseguire l'affermarsi della società conviviale. Verrebbe perciò da pensare che anche per Illich risulti in fondo inevitabile assumere l'irriducibilità simbolica dello strumento. In realtà, invece, ciò non traspare nemmeno nel più recente Il genere e il sesso. Piuttosto, per quanto venga a cadere il messaggio 'critico', la stigmatizzazione della società «emancipata» sessualmente, economicamente neutra e in verità sessista, si limita ad assumere, «tragicamente», solo il Genere come luogo del differire-complementare tra sessi, all'interno del quale, tuttavia, lo strumento potenzialmente conviviale dovrebbe poter ri-conquistare una simbologia primigenia, vernacolare, ne- - gata. Ora, in ciò traspare certamente la consapevolezza dell'irriducibilità simbolica dello strumento unisex, impersonale, veicolo del neutrum oeconomicum e del dispotismo maschile; d'altro lato, l'auspicata liberazione dalla società sessista, apparentemente emancipata, possibile nel genere vernacolare - ove il differire sessuale, cioè, è principio di complementarità tra sessi, corpi e strumenti conviviali -, è pur sempre pensata come «ritorno», che ammette il mutamento nella struttura simbolica dello strumento. Nuovamente, cioè, è tentata la soglia 'critica', la riformulazione, la speranza di poter tenere determinati strumenti modificandone collocazione sociale e perciò complessità simbolica - come, e forse ancor più paradossalmente, nell'opera del 1973. Ebbene, se la nostra lettura è corretta, viene spontaneo ribadire che questo sapere lambisce il 'moderno' in modo sostanziale: nella sua tensione 'critica', prima, nella sua tensione 'catartica', vernacolare, poi. Lambisce il moderno, perché non si rassegna alla tragicità heideggeriana della 'tecnica'. Eppure, è sapere giocato su di uno scenario postindustriale: sintomo, forse, della debolezza dei «linguaggi». O - perché no? - della complessità materiale delle «cose». Sono già intervenuti nella discussione avviata da Alfabeta sui temi del- /' ambiente e dell'evoluzione in varie discipline: Eleonora Fiorani, Carlo Formenti, Umberto Curi (in Alfabeta n. 71, aprile 1985), Franco Berardi, Ernesto Mascitelli (in Alfabeta n. 72, maggio 1985). Abbiamo inoltrepubblicato alcunepagine di Gregory Bateson e di un glossario di Danilo Zolo su Luhmann, nell'ambito di una antologia curata da vari redattori e collaboratoriallo scopo di mettere a fuoco le nozioni fondamentali e recenti nei settori coinvolti dalla discussione. Sono previsti altri interventi di scienziati e teorici.

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