PAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINE MariaCorti Un posto nella letteratura. 1 Mentre nell'universo del reale, come scrisse Goethe, «solo la costanza dei fenomeni è importante; ciò che noi pensiamo è del tutto indifferente», nell'universo della letteratura la massima goethiana richiederebbe ritocchi o postille, perché siamo proprio noi, pubblico delle varie epoche, a dare o meno continuità e costanza ai fenomeni letterari. Donde anche l'estrema difficoltà di porre i canoni di una teoria dei valori artistici, pur riconoscendo che sono essi, i valori, che in verità noi cerchiamo nelle opere. Come scegliere? Come riconoscere il meglio? Per quale processo avviene che un'opera letteraria affermatissima in un'epoca scompaia dalla memoria collettiva di un'altra e venga magari recuperata secoli dopo? Oppure, fatto più singolare, come può avvenire che un'opera riceva un giudizio assolutamente positivo da lettori qualificati, molti dei quali si rivelano addirittura entusiasti, ma continui a non trovare posto nelle pagine delle storie della letteratura o eventualmente trovi un posticino di ultima fila in una nota a piè di pagina? Non è la questione teorica o sociologica che si vuole affrontare in questa piccola rubrica di Alfabeta; si offrirà invece alla riflessione qualche esemplare di una tipologia della dimenticanza, che è poi uno degli aspetti della tipologia della decodifica da parte del pubblico; come dire che dentro la generale testualità della cultura a ogni opera letteraria che si rispetti, romanzo o poema o prosa poetica, toccherebbe un posto in quanto essa per il fatto di esistere entra in una rete di rapporti con altri testi. Ma tale posto non sempre è raggiunto oppure non è stabile, fisso; muta nel corso del tempo e, al limite, è perdibile. In più, oggi l'opera ha da fare i conti con l'editoria, che attraverso la sµa sconfinata produttività sembra riempire tanti spazi, e invece spesso li svuota perché le poche cose ottime, mescolandosi a tante cose mediocri, perdono la loro forza. Il primo esempio ci è suggerito dalla recente traduzione italiana della biografia di Djuna Barnes, The Formidable Miss Barnes, di Andrew Field (1983): Djuna. Vita e tempi di Djuna Barnes (trad. di Erica Joy Mannucci, Milano, Frassinelli, 1984), cui si può affiancare la nuova traduzione italiana del capolavoro della Bames, Nightwood, uscita da Adelphi (1983) col titolo La foresta della notte, a cura di Giulia Arborio Mella. Nightwood fu stampato per la prima volta nel 1936 con una Introduzione di T.S. Eliot, che ritroviamo tradotta nell'edizione adelphiana. Molto acutamente in essa Eliot affermava che tale romanzo «sarebbe piaciuto innanzi tutto ai lettori di poesia»; valida conferma ne dette Montale, recensendo con ammirazione la prima traduzione italiana dal titolo Bosco di notte (Bompiani, 1968), da lui definita una Bibbia del decadentismo nel Corriere della Sera del 22 marzo 1968 (e sulla Barnes, Trasfigurazioni, Montale ritornò nel Corriere del 17 febbraio 1974). Ed Eliot aggiungeva: «Non ricordo un solo personaggio di questo libro che non abbia continuato a vivere nella mia mente( ... ). Ma quello a cui vorrei preparare l'a.ttenzione del lettore è il grande risultato di uno stile, la bellezza dell'espressione, la vivacità dell'arguzia e della caratterizzazione, e una quantità di orrore e di fato strettamente imparentata con quella della tragedia elisabettiana». Ebbene, perché un libro di questa classe è rimasto preziosa proprietà di alcuni poeti e puri letterati, non ha conquistato il pubblico che si meritava e soprattutto non ha dato alla sua autrice, insieme agli altri scritti di lei, il posto pertinente, la dovuta notorietà in America e negli altri paesi? Viene spontaneo di interrogare in proposito la biografia di Andrew Field, che conobbe la scrittrice di persona, la avvicinò, studiò il suo ambiente di donne forti e strane, le amicizie e inimicizie nel Greenwich Village di Manhattan o nella Parigi degli anni Venti, oltre ad aver consultato le carte che oggi giacciono nella Biblioteca McKeldin dell'Università del Maryland e averci anche illuminato sugli snobismi della Barnes, come quello del vestire in nero che diventò in certo senso la sua divisa, imitata poi da letterate qua e là nel mondo e di recente anche in Italia. Djuna dalla biografia risulta sempre personaggio di primo piano, figura originalissima, ricca di umorismo e di raffinata estrosità, solitaria e difficilmente definibile. Eppure, riflette il biografo Field, «nel contesto più ampio della critica e degli studi contemporanei la Barnes è stata trascurata». Ancora egli scrive: «E qual è il perverso meccanismo della fama per cui un'artista può come lei ricevere l'omaggio dei maggiori scrittori della sua epoca per poi venire esposta in una galleria buia della contemporaneità, come un talismano di famiglia troppo buono per essere messo via, ma non degno di essere contemplato spesso?» In altre parole, la Barnes non ha nella cultura americana il posto che le hanno riconosciuto proprio dei grandi come Eliot, Joyce, Ezra Pound, Montale, o delle personalità famose come Eugene O'Neill, Peggy Guggenheim, Edmund Wilson, o delle attrici quali Mary Pyne. Su questo «perverso meccanismo della fama» si vuole richiamare l'attenzione perché nemmeno da noi la Barnes ha il numero di lettori che meriterebbe; forse la recente biografia di Andrew Field muterà in minima parte tale malinconica realtà e darà a qualcuno la gioia della cosiddetta scoperta. Un vero scrittore, e la Barnes senza dubbio lo è, diventa un capitale segreto a cui si può ricorrere quando se ne ha bisogno e i cui interessi riscuotiamo sempre a nostro vantaggio. Un capitale che non va soggetto alla Borsa dei valori e alle sue oscillazioni, ma va invece stranamente soggetto a processi di dimenticanza da parte del pubblico non sollecitato per vie esterne. In questo meccanismo, dell'ordine esterno e pratico, chi deve più esercitare la pazienza? Il fantasma dello scrittore o il lettore non distratto, che non sa raccapacitarsi? Perché un pericolo c'è, sempre in agguato: che con la sparizione delle letture e dei giudizi sia l'oggetto stesso a sparire. Una postilla finale sulla non fortuna della Barnes: la traduzione della biografia di Field lascia qua e là a desiderare, soprattutto quando si tratta di traduzione di un testo stesso della Barnes, delle sue poesie, per esempio. Si va da errori come «piccole vetture» per i dinky cars, che sono le automobiline giocattolo dei bambini, a una resa faticosamente prosaica del ritmo poetico (per esempio, «In the morning ashen-hued / carne nymphs dancing through the wood» è tradotto: «Nel mattino cinereo / le ninfe attraversavano il bosco danzando», dove si poteva fare meglio anche solo essendo letterali: «venivano ninfe danzando attraverso il bosco»). Chiudiamo augurandoci nei lettori una certa quantità dj talento poetico che salvi la Barnes dall'incontrare prima o dopo le forbici della Parca. PAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINE PierAldoRovatti Modi di pensare. 1 Alcuni sacerdoti. Il titolo di questa rubrica ricorda quello di un breve, importante e dimenticato libro di Alfred North Whitehead, Modes of Thought, scritto nel 1938. Sarà dunque uno spazio dedicato alla filosofia e ai suoi modi: ma non solo, seguendo lo spunto che l'operetta di Whitehead ci può suggerire, ai vari tipi di pensiero intorno a cui oggi si dibatte. Anche e soprattutto alle «maniere» con cui si produce pensiero e si diffondono le idee. Maniere, come quando si dice «maniere di stare a tavola». Il che ci sollecita a scrutare risvolti meno appariscenti e ad andare a cercare un'etica non dichiarata ma messa in pratica. A che pro? Se non altro per mettere in guardia i non addetti ai lavori, non tenuti a sapere che, per fare un esempio, in una fase di concorsi accademici come è quella di questi mesi (e che presumibilmente si protrarrà abbastanza a lungo), le logiche del mondo intellettuale sono del tutto particolari e si instaura un complicato galateo. Secche stroncature o elogi inattesi e fuori misura risulterebbero misteriosi se non si tenesse conto che sono spesso messaggi ben orientati: oppure si rischiereb- ~ be di fraintendere il fenomeno .5 della sensibile • concentrazione ~ temporale di pubblicazioni scienti- ~ fiche. ~ °" ..... ~ ·~ "So ~ s: s Ho scelto di cominciare con qualche riflessione sui «sacerdoti». Il termine - come si vede - non è tanto nuovo, tuttavia funziona ancora. Il modo di pensare che ci, indica abbraccia una famiglia di comportamenti, molto numerosa e differenziata, che è tenuta insieme da un legame comune. Proviamo a caratterizzarlo. Sacerdotale può essere chiamato quel pensatore che è convinto di detenere una verità o un lascito di verità: come trasmetterà questo sapere? Ma poi: si comporterà effettivamente come chi vuole trasmettere un sapere? Se consideriamo la prima domanda, è facile che il destinatario della comunicazione sacerdotale sia indotto a riconoscersi come un adepto, oppure a sentirsi escluso come un non adepto; e in quest'ultimo caso potrà sentirsi semplicemente allontanato oppure potrà attribuire al messaggio, che non capisce, un plus di autorevolezza e di sacralità derivante proprio dal suo essere cifrato. Viene in mente una figura di filosofo contemporaneo come quella di Emanuele Severino: al di là della bontà del suo messaggio teorico, è chiaro chetale messaggio si è relativamente diffuso (attraverso i libri, le conferenze e i media) mediante e grazie al comportamento cui ho accennato. Ha assunto quasi l'aspetto di una rivelazione esoterica, ridotta alla cifra di alcune espressio~ chiave e di alcune parole («essere», «nulla»), generalissime ma al tempo stesso fortemente connotate in senso specialistico e marcatamente allusive. Il caso che ho citato mi pare il più serio e prestigioso tra quelli che si potrebbero ricordare, che sono molti e assai diversi per peso teorico (abbiamo tutti presente, per fare un altro esempio, il modo con cui è stato gestito e diffuso il lacanismo in Italia). È comunque qui in gioco un rapporto di potere, che trae forse la sua linfa dal carattere auratico che sembra appartenere al fondo della filosofia stessa, e che non è solo una trasmissione dall'alto al basso ma innanzi tutto un'amministrazione del segreto. C'è allora una verità di cui qualcuno o un gruppo si crede depositario attraverso una qualche forma di auto o etero-investitura. La trasmissione di questa verità, se avvenisse davvero e in modo aperto, rischierebbe di annullare il rapporto: ciò che viene trasmesso è infatti, soprattutto, un'intesa di segretezza, ·e l'adepto è colui che sa riprodurre questo comportamento (per esempio, attraverso un gergo linguistico). A rigore, non è dunque necessario che venga riprodotto il contenuto di verità o le regole per decifrarlo: e al limite l'obiettivo di tale comportamento potrebbe non essere la ricerca e la diffusione di ciò che si ritiene vero; cioè si potrebbero dare dei casi in cui la trasmissione del sapere è irrilevante o addirittura evitata. Ma potremmo osservare: qualcosa di questo comportamento sacerdotale non è pur s~mpre presente in ogni pratica filosofica? Proprio l'esserne consapevoli, però, costituisce un argine nei confronti dell'atteggiamento sacerdotale. Normalmente, e fin nelle pieghe dell'agire culturale, questo modo di pensare si presenta non accompagnato dalla propria ragione critica: e cioè non veniamo invitati a riflettere su questo punto come problema per cui ne va dello statuto stesso del pensiero filosofico. Accennando alle pieghe dell'agire culturale, volevo richiamare il fatto che entro questo più ampio orizzonte possono essere anche localizzati episodi marginali che sembrerebbero solo criteri estrinseci di ricerca riposanti all'ombra della «serietà» o della «scientificità». Mi riferisco a quella serie di comportamenti diffusi che possiamo chiamare «gestione esclusiva di un autore o di un corpus di pensiero». Poiché mi è capitato recentemente di far l'esperienza diretta di uno di questi casi (ma sono moltissimi), cercherò di raccontarlo in breve. Il caso riguarda Aby Warburg, un pensatore eclettico e complesso morto nel 1929, e sul quale proprio in questi giorni si è svolto un convegno organizzato dal Warburg Institute di Londra che, come si sa, ha raccolto l'eredità degli studi del suo fondatore. In vita, Warburg aveva pubblicato poco, scritti eruditi destinati a una scarsa diffusione; aveva però continuamente meditato e affidato i suoi pensieri ad appunti e abbozzi rimasti inediti. In Italia la figura di Warburg era nota solo a pochi specialisti; poi qualche non specialista si è preso il rischio dell'iniziativa, ed è stata così tradotta la Biografia intellettuale scritta da Gombrich che fa conoscere una vasta scelta degli inediti, e inoltre è stato pubblicato un fascicolo di rivista interamente dedicato a Warburg e a propria volta contenente due tra i più importanti suoi scritti inediti. Questa iniziativa cominciava a colmare una lacuna: e l'effetto che ha prodotto è stato quello che ci si riprometteva, cioè una ripresa di interesse nei confronti di Warburg. Ma come hanno reagito gli specialisti (cfr. Quaderni storici n. 1, 1985)? Con un atteggiamento che Nietzsche avrebbe definito «reattivo» e che in queste righe ho chiamato sacerdotale. È stato invocato il rigore scientifico spingendolo fino a capziose minuzie: insomma - si è detto - non bisognava fare alla leggera qualcosa che... Qualcosa che - commento io - o non andava per niente fatto, o doveva essere fatto da quegli specialisti che in realtà non l'hanno fatto né l'hanno programmato. La cosa curiosa è poi che il Warburg inedito non è segregato in stanze inaccessibili, come è toccato ad altri importanti patrimoni inediti, ma disponibile a ogni studioso realmente intenzionato a diffonderlo, come appunto si è verificato. Questo piccolo episodio ci insegna forse cosa può essere il segreto: esso, come si vede, non riguarda tanto l'intoccabilità dei documenti o delle «verità» quanto il micropotere dei detentori. I quali, una volta che il segreto si è anche solo parzialmente diffuso, ne ricevono una diminuzione del loro potere. Di solito, poi, è proprio a questo punto che entra in scena la filologia. ~ .() ~ PAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINEDIPAGINE
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