TRACCE trimestrale di scrittura multimediale n. 10/11 « I percorsi della scrittura» testi di Brignone, Cagnone, Cappi, Ermini, Finzi, Giorgi, Greppi, Majorino, Perniola, Perrotta, Pignotti, Ruff ato, Sanguineti, Scalise, Viviani - immagini di Gianfranco Baruchello una copia L. 6.000 abbonamento annuo L. 20.000 collana di poesia «I campi magnetici» Antonio De Marchi Gherini LA PASSEGGIATA DI CARMEN prefazione di Marco Tornar «Carmen, emblematico oggetto di passione, ha perso ogni specificità, scappando via dal testo assieme ali' autore» L. 4.500 Nico Nappa PRESENZE poesia in bianco e nero «Non dorme nessuno nel mondo. Nessuno. Nessuno» L. 5.000 richiedere copie e informazioni presso le Edizioni Tracce Via Liguria, 6 65100 PESCARA Edizioni Thcoria Collana "Riflessi'' Oreste del Buono /\mori neri pagine 160 lire 8.000 Amore e morte nell'aprile del '45: Mussolini e Claretta Petacci, Alessandro Pavolini e Doris Duranti. Fra cronaca e racconto lo sguardo di un testimone curioso su due « piccole » storie naufragate nella Storia. Francis Scott Fitzgerald Festa e.la ballo pagine 64 lire 4.000 In questo straordinario thriller Fitxgerald ricostruisce con implacabile geometria i fotogrammi di un de/ilio passionale. Collana "l Segni" Robert Boyle Il chimico scettico pagine 290 lire 35.000 Il complesso itinerario dall'.alchimia alla chimica moderna: uno sguardo lucido, appassionato e « scettico » sulla strutìura della materia. Horace Walpole li castello <li Otranto pagine 120 lire 12.000 Il primo romanzo gotico della letteratura, capostipite di un genere fra i piti frequentati e famosi della narrativa fantastica. Seconda edizrone. espresso qualche dubbio Maria Corti nel dibattito aperto dal n. 5 del Cavallo di Troia (primaveraestate 1984; col titolo un po' infelice di «Madame Storia e Lady Scrittura»); il dubbio riguarda l'opportunità di una «grande operazione di sintesi» in tempi in cui, sostiene la Corti, «le ricerche analitiche sono avviate a produrre sostanziali mutamenti e integrazioni di punti di vista letterari». In più si aggiunga che, sul versante dei risultati conseguiti, la stessa operazione di sintesi è fortemente condizionata dagli stessi strumenti e metodi teorico-interpretativi adottati, i quali restano debitori dei punti di vista settoriali e a sé stanti con cui si è proceduto alle letture dei testi. In altri termini, la ri-composizione in discorso unitario del sapere letterario non può essere affidata a una successione di close readings che per loro natura si giustappongono anziché articolarsi e fondersi in un tutto, in quanto sono animati da quella parcellizzazione dei saperi, spesso arbitraria o selvaggia, che caratterizza la nostra epoca. E in questa parcellizzazione, per la quale si è parlato di «male necessario», che oggi si configura in termini di dispersione e astrattezza ben più acuti che nel passato, è ben difficile che si possa correttamente impostare «la questione del rapporto fra scrittura e storia» come auspicava Luperini nel suo intervento sul Cavallo, magari in virtù dell'esaurimento di storicismo e strutturalismo formalistico. Oggi, a fronte di indubbi fattori di innovazioni teoriche e metodologiche (come ad esempio esistono nel campo filologico ove, ricordava la Corti, è da registrare un notevole cambiamento di metodi e indirizzi), scarso interesse si è dato, da parte della ricerca analitica, in tema di storia e letteratura dagli anni Settanta in poi. Esemplare a questo riguardo è la posizione assunta da Asor Rosa nel dibattito su Rinascita; parlando di storia, egli chiedeva una ridefinizione di questo termine «nel momento in cui gli storici stessi si domandano cosa significhi», e notava che alcuni fra loro «giungono addirittura a sostenere che la storia non esiste». Orbene, ciò che Asor Rosa chiama in causa è la vecchia questione delle competenze, di chi ha accesso ai campi sempre più parcellizzati del sapere; scusandoci per l'insistenza del riferimento, che tuttavia riteniamo essenziale per individuare taluni punti fermi del discorso asorrosiano (e insieme un certo suo andare à rebours), ricordiamo che già Genette disse in «Poetica e storia» di considerare irrilevante il rimprovero di disprezzo per la storia rivolto alla critica formalista e di poterlo prendere in considerazione unicamente se formulato da uno storico, giacché tale figura è l'unica a fornire garanzie di serietà. Ciò che manca a tali discorsi, del tutto ineccepibili nel loro rispetto dei limiti e delle competenze specialistiche, è una certa memoria storica, in un periodo come il nostro che risente giustamente in varie discipline delle ricerche delle Anna/es con le loro nuove impostazioni storiografiche. V olendo entrare ancor più nel merito di questo volume einaudiano, diciamo che una disamina interna al punto di vista pluralistico da esso propugnato ci mostra come, ai limiti di prospettiva teorica e di impostazione metodologica fin qui riscontrati nel loro complesso, se ne sovrappongono altri relativi alla composizione e alla strutturazione dei singoli saggi. Alla poderosa parte introduttiva (339 pagine) di Andrea Battistini ed Ezio Raimondi, Retoriche e poetiche dominanti, che funge da testo tutore a cui gli altri devono idealmente rapportarsi, è affidato il compito di tracciare la storia delle «idee» letterarie partendo da Marziano Capella e arrivando a Jurij M. Lotman, o ancora spaziando dalla retorica di Gorgia allo speech act di Searle. D'un saggio informatissimo si tratta, assai utile nella trattazione che contiene; ed esso è da Asor Rosa brillantemente definito nella Premessa con la formula di struttura Retorica vs Testo. Anche in funzione della posizione strategica da questo saggio assegnata alla descrizione dei sistemi retorici «dominanti» colti nelle loro fasi di sviluppo e trasformazione nel corso dei secoli, possiamo affermare che esso è permeato di un attuale spirito anticrociano, in sintonia con la rinascita che la retorica ha conosciuto in anni secondonovecenteschi. Tuttavia questo saggio fa proprio il concetto di piena autonomia del testo poetico, il che implica un arrestarsi dell'analisi su un livello che è del tutto interno al sistema letterario preso in esame, quasi che la letteratura nel suo complesso disponesse, oltre a un «in sé» (intrinsecità, specificità, ecc.), anche di un «per sé», mentre lo sviluppo storico delle idee letterarie e l'evoluzione delle poetiche dominanti pare ridursi a un semplice scorrere temporale all'interno delle cui scansioni si verificherebbe e si risolverebbe qualsiasi dialettica storica delle forme. Se dunque si ritiene che su quedo Menichetti Problemi della metrica. Riesce difficile comprendere perché questo lavoro specialistico, pregevole a leggersi in una rivista di metrica (come Metrica appunto, che nei suoi numeri ha ospitato più interventi su questo problema), sia stato posto come parte ultima di un capitolo della Letteratura italiana. Del resto, se volessimo continuare nel gioco suggerito da Sanguineti sulle pagine di Rinascita del «che ci fa qui» questo o quel saggio, e da lui inaugurato chiamando in causa il pur bellissimo capitolo del Roncaglia sulle corti medievali del primo volume, non mancherebbero certo i testi su cui esercitarlo; e non a caso abbiamo preferito definirli saggi anziché capitoli, in quanto del saggio hanno i requisiti principali (non da ultimo la loro spiccata individualità e l'autonomia nei confronti degli altri scritti). N é l'antischematismo col quale Ferretti leggeva ancora il primo volume einaudiano ci pare si possa ritrovare nel terzo, che di un certo schematismo accademico riflette non soltanto l'apparato teorico e concettuale ma anche carenze e mancanze di strumentazione adeguata allorché il discorso si spinge nel campo minato del Novecento «maturo» dove si riscontrano quelle cautele, riserve o imbarazzi che metricisti allenati sulle «certezze» del verso tradizionale tradiscono dinanzi alla poesia versoliberista nel suo complesso. La balle au poisson e il portalesud di Saint-Eustacheverso il 1840 sto livello si giocano in ogni epoca i destini della cultura e della letteratura, all6ra la «materialità» del testo è l'unico dato oggettivo cui far ricorso e la storia delle sue forme non solo è legittima ma diviene l'unica certezza che allo studioso è ancora possibile avere. Tale impostazione di fondo, riscontrata in questo testo tutore, si r\fiette, con maggiore incidenza, sµgli altri saggi che compongono il volume, molti dei quali, a dire il vero, danno l'impressione di essere stati interrotti a un certo punto del loro percorso tematico ed espositivo anziché portati a termine. Viene insomma qui a mancare la carica di problematicità e di antischematismo che Ferretti aveva colto nel dibattito su Rinascita a proposito del primo volume, se per problematicità non si intenda solo, per fare un esempio, quella relativa alle origini dell'ottava rima su cui si arresta il saggio di AlSe l'esigenza di definire in tutta la sua ricchezza il fenomeno del verso libero resta allo stato di opzione per il singolo studioso, per una storia letteraria che fa del «nuovo» il proprio cavallo di battaglia fin de siècle tale esigenza dovrebbe trasformarsi in un preciso obiettivo interpretativo giacché è su tale terreno che si misura il polso della sua attualità. Ma, al di là di personali richiami al dover-essere d'una storia letteraria, resta pur sempre il fatto che sulla non rilevabilità oggettiva di taluni indici o fenomeni metrici tradizionali nella produzione in versi liberi, e quindi sulla incertezza di lettura che ne deriva, su cui concordano Menichetti (parlando della dieresi, p. 370) e Martelli (nel saggio Le forme poetiche dal Cinquecento ai giorni nostri, dove scrive, a proposito di Quasimodo: «Tutto, in una forma come questa, c'è e non c'è»), si giooa il destino interpretativo, dunque la dicibilità stessa, del verso contemporaneo, la cui maturità per prove e risultati è tale da non consentire ulteriori indugi o differimenti. I n altri termini, è proprio l'elaborazione di adeguati strumenti di analisi che una lettura tradizionale del sistema «metrico» versoliberista non sa garantire, mancanza che non è ovviamente di tipo soggettivo, imputabile a questo o quello studioso, l'irrisolto nodo che campeggia nelle pagine finali di questi saggi de Le forme del testo, sì che a fronte di possibili quanto peraltro urgenti rivi-. sitazioni e verifiche di problemi di teoria metrica, in tali saggi ci si limita a compiere sondaggi e incursioni su singoli autori novecenteschi (magari costringendo in una pagina Campana e Montale, coniugandone le esperienze metriche sulla base delle «licenze poetiche», com'è in Menichetti), anziché procedere per campionatura di forme e collocare la poesia «recente» all'interno di aree metriche e linee di versificazione prevalenti secondo il percorso «metrico» a più direzioni da essa intrapreso. E gli stessi criteri generali elaborati per la realizzazione del volume imporrebbero un'indagine di questo genere. Volendo fornire ancora qualche spunto particolare a una riflessione che, stimolata dalla Letteratura einaudiana, chiama in causa problemi di vasta portata, al tempo stesso d'ordine storico e formale, e nel suo sviluppo non può che oltrepassare l'oggetto stesso del suo discorso iniziale, chiediamoci: che senso ha parlare di versi ipermetri e ipometri riferendosi a una certa poesia secondonovecentesca quando questi non interrompono una serie metrica ben evidenziata né lacerano alcuna testura isosillabica? Nel caso proposto da Martelli, vale a dire la «struttura specificatamente metrica» che costituisce l'inizio della «lirica» Da Ghène di Zanzotto (in Fosfeni), più che di novenari giambici ipermetri ci pare si debba parlare di un verso svincolato dall'ipoteca-metrica (almeno nel senso proprio d'una lettura metrica tradizionale), che rivela i suoi aspetti qualificanti rispondendo e obbedendo a norme versificatorie di altro tipo, alle quali appartiene anche l'indice ritmico del verso eletto oggi a elemento di strutturazione principale (si vedano a questo proposito le letture proposte da Pazzaglia e da Fortini sul verso libero, in particolare secondonovecentesco, e la codificazione operata, tenendo conto anche del contributo dato da Cohen, Brioschi e Di Girolamo nel loro manuale Elementi di teoria letteraria). Detto in altri termini, la fisionomia inconfondibile della versificazione novecentesca nel suo aspetto innovatore ha una misura in quanto ha in primo luogo un ritmo. Da ciò deriva che-,mancando in questa poesia l'ossequio a determinate norme (salvo poi farvi allusione, ma si tratta allora di un'allusione a norme che tali più non sono), non ci pare legittimo né opportuno continuare a operare servendoci degli stessi strumenti interpretativi che davano conto di quelle stesse norme o delle deroghe a esse. Ora, se «barbara» la 00 poesia secondonovecentesca più c::s .s non è, a che serve continuare a far ~ ricorso a tali modi di lettura? ~ Questi, a nostro avviso, sono ta- ~ luni aspetti o nodi che il teorico -. della letteratura fin de siècle deve -Sl ~ cominciare ad affrontare, pena lo c::s stesso girare a vuoto del suo di- E: scorso, incapace di abbracciare il ~ complesso e variegato panorama t: delle forme poetiche mature di ~ questo nostro scorcio di secolo. l ~ <::S
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