Sebastiano Vassalli La notte della cometa Torino, Einaudi, 1984 pp. 239, lire 18.000 Tempo di màssacro Torino, Einaudi, 1970 pp. 166, lire 1.400 L'arrivo della lozione Torino, Einaudi, 1976 pp. 194, lire 3.000 Abitare il vento Torino, Einaudi, 1980 pp. 111, lire 4.200 P are che Vassalli nutra da tempo una dichiarata passione per gli archivi, i viaggi, le biblioteche: avventure, vaganze in cui prevale lo scavo dentro il linguaggio, ptima ancora che racconti di storie, biografie. Così, se L'arrivo della lozione è «storia di murgia e dintorni puntualmente ricostruita su documenti dell'epoca»; se Abitare il vento racconta di un viaggio, di un'erranza che vede protagonista un prototerrorista in crisi erotico-mistica; se La notte della cometa è il romanzo-verità di Dino Campana, ciò su cui sembra insistere l'autore è la parola; pronunciata che sia, o scritta. La convinzione dichiarata fin dall'inizio, in Narcisso e poi nel Millennio che muore (Einaudi, fuori commercio) è che l'io, l'identità sia verbo, parola: «e il mondo era impastato di materia informe e linguaggio da cui nascevan le cose e gli uomini, era bianco di pagina su cui le parole si univano>~. Ma proprio il tessuto formale che regge le storie o i primi trattati, la curiosa ironia che sospinge l'autore apa ricerca del lemma e della sua metamorfosi sulla pagina; proprio i tagli, le scorticature, le fessure e le figure d'accumulo che Vassalli immette dentro il tessuto della trama; proprio questa sorta di miscela fonico-grottesca impastata a legare ilari frammenti di edifici senza tetto, senza chiusure o aperture, le finestre e le porte aperte sugli abissi del cielo, ci dice anche di una scommessa sull'identità del soggetto che prende origine dalla parola. Già dal tempo di Narcisso («euforica bisboccia verbale sconnessa e avvampante» di colui che Manganelli chiamò, in primo luogo, «retore»), su su fino a Màssacro, Vassalli mostra, allora, quanto l'errare tra le biblioteche impolverate di un certo manierismo lo porti così, fin da subito, a coniugare assai bene l'idea della vaganza del nome con l'impossibile identità dell'io: il soggetto si deteriora via via nella sua unità, al pari del linguaggio, in parallelo con esso. E così come pare impossibile ricostruire la parola piena da quella frantumata, sottoposta ad aferesi ossessive, a tagli, scorticature; sembra anche impossibile rincorrere un'identità che si perde sull'onda del linguaggio. Questa passione per il viaggio, la biblioteca, l'archivio è dunque passione che «sgretola i vocaboli, accumula lettere, disperde i fonemi» quasi fino al margine del senso, dentro e fuori i bordi del senso; una passione che convince il lettore-pellegrino che quello di Creta era uno scherzo a paragone di com'è fatto il labirinto del linguaggio su cui insiste Vassalli. Sappiamo, allora, che questo immergersi nel linguaggio, a patto Lacometa che l'immersione sia totale e senza limite, è la condizione stessa per abitare il vento. «Penso a quella frase del Libro dei Proverbi che parla di abitare il vento», ci dice Vassalli nel piccolo pamphlet (fuori commercio) Arkadia: «chi distrugge la propria casa, abiterà il vento ... Anch'io ho distrutto la mia casa». L'interrogazione aperta sul linguaggio e sull'io si trasformano, allora, in interrogazione sul senso; e non solo sul senso della letteratura, quasi si denunciasse ancora quell'incapacità, di nicciana memoria, a smarrirsi troppo in alto. Smarrirsi troppo in alto o, vale altrettanto per lo smarrirsi troppo in basso, mortalmente sviarsi. Un movimento che implica un vertice ma al tempo stesso un vortice, una sorta di vertigine che si patisce per altezza o profondità. E qui pare che Vassalli ci avverta; ancora un avvertimento nicciano: nessun profondo sapere è possibile senza quell'esperienza, premessa e condizione d'ogni salute più alta. Par quasi che il poeta, il poeta vero cui spesso si richiama Vassalli, sia oggi un Lord Chandos turbato dall'insufficienza della parola piena, di nuovo abbandonato dalle parole, colpevole di attendere una lingua ancora ignota, incompresa; attraverso cui le cose mute gli parlano. Ricordiamo il titolo di un lavoro già menzionato qui: Abitare il vento. Il richiamo alla Sibilla sembra, allora, tutt'altro che retorico o inutile. Il sapere compatto della Sibilla è affidato al vento, frammentato, disperso, come se le parole fossero iscritte sulle foglie che al vento volano e si disperdono. Allora l'interrogazione sul senso si chiarisce, si trasforma, diviene interrogazione sulla poesia, sul poeta; un'interrogazione che percorre tutta La notte della cometa. Nascerà ancora il poeta vero? Sapremo ascoltarlo? farlo parlare? Sarà, allora, necessario chiarire, togliere dall'impiccio il lettore; la domanda ci pare non essere retorica o moralistica, è semmai drammatica; ed è inoltre interrogazione aperta, capace di registrare solo la propria scommessa. Vassalli la pone e poi fugge con quel suo estro di saltimbanco errabondo, lasciandola lì a funzionare come interrogazione impersonale. D unque La notte della cometa non è solo un romanzoverità? Qualcuno ha parlato di un ritorno alla chiarezza, di un metter giudizio, di una ripresa della pagina piena. La notte della cometa, ci dice anche l'editore, è un romanzo-verità, una biografia che vuol fare giustizia sulle falsificazioni riguardanti la vita del poeta Campana. Ricordate la passione dei viaggi, degli archivi, delle biblioteche? In Vassalli, dicevamo, è di antica memoria e bene si declina oggi anche con questo libro. Tuttavia sembrerebbe che per La cometa il rimando alla realtà/verità storica della narrazione fosse chiaro; senonché, nella parola romanzo, che alberga nel sottotitolo, s'annida con maggior vigore il versante fantastico, avventuroso. Direbbe Manganelli: «Ma insomma che cosa è, dove è la letteratura non fantastica?». E che La cometa sia romanzo d'avventure, nel senso in cui lo spazio nel quale si muove il narratore e i suoi personaggi è uno spano senza tracciato, quasi labirintiFrediano Sessi co, come per le foreste intricate dove si movevano i cavalieri, ce lo dice anche l'insistenza che Vassalli mette nella descrizione di particolari quasi inutili alla storia: il dépliant del Ristorante Albergo Lamone, le guide turistiche che declinano le caratteristiche di Marradi e altro ancora. Insistenza accresciuta mediante l'elenco, l'enumerazione: figure d'accumulo che dicono dell'ironia del particolare e che creano l'impressione del labirinto nel quale il lettore, più che ritrovare un suo approccio con la realtà storica della narrazione, si perde. E proprio in questo labirinto, colui che vi si aggira, il narratore, finisce sempre per incontrare chi non cerca, mentre non riesce mai ad incontrare chi cerca. Forse, il romanzo di Vassalli, perché romanzo e non storia, commette ancora una sorta di ingiustizia nei confronti di Campana, lasciandolo, grazie a questo meccanismo della finzio•ne,nel letto dell'oblio. Ma si tratta proprio son frutto d'invenzione. L'insistenza sulla verità della storia è dunque sospetta, forse, insistiamo, volutamente fatta per sviare o essere sospettata. Ma che La notte della cometa non sia una biografia ce lo dice anche il modo con cui Vassalli narra gli eventi in successione temporale. Raccontare tutta la storia di un personaggio non vuole forse dire tentare di darne un corso lineare, scandendone così in modo certo la vita e le idee? Sappiamo da Proust e da Freud come questo lavoro di ricostruzione, di scavo della verità passata, sia alquanto difficile o per lo meno interminabile, ancorato com'è all'erranza della memoria involontaria, alle sensazioni, ai vuoti, ai lapsus, alle mancanze, alla menzogna. Cosicché il racconto non può che essere sempre incompiuto e la ricostruzione, pur non impedendoci di ritrovare tracce del passato, pare essere gioco con l'impossibile, con la morte. E questo Vassalli lo sa: «M'alzo RegioneEmilia-Romagna Generalitat de Catalunya Organizzazione Coop.va La Baracca:051-236181 5-12 maggio 1985 di un'ingiustizia? «Ma dilli chi tu fosti, sì che'n vece / d'alcun ammenda, tua fama rinfreschi / nel mondo su, dove tornar li Ieee», par che dica l'auctor all'ombra silenziosa di Dino Campana, proprio nel momento in cui il narratore sembra profanare il suo sonno. È un verso dantesco (Inferno XIII, 168) che ci piace citare, perché il parallelo sembra reggere, quasi definire la situazione del personaggio Campana. E sono parole che Virgilio dice rivolto ad un " ramo nodoso e 'nvolto, quasi a scusare il gesto che riapre la piaga: digli chi fosti, sì che invece di chiederti perdono per la lesione patita, tua fama rinfreschi nel mondo dei vivi dove gli è lecito tornare. E qui, conosciamo anche la risposta: «Sì col dolce dir m'adeschi... ». Vassalli, dunque, adesca col suo dire il personaggio quasi mostruoso, abissale, folle, che assume le vesti del poeta e s'incarica non tanto della sua verità o di dargli la parola, perché allora sarebbe come se gliela si togliesse ancora, ma solo di rinfrescar memoria. Ma il fingere si fa ancor più spazio proprio dove il dato reale, il documento d'archivio sembrano più evidenti; e non serve a demarcar realtà la parentesi che a tratti avverte il lettore che «qui i documenti putroppo non sono reperibili»; o che i dialoghi tra 1-a madre Fanny e il padre col figliolo matto per chiudere la finestra e m'incan~ to a guardare le stelle anzi 'i bagliori magnetici delle stelle' che questa sera anche a me dicono 'l'infinità delle morti'». Scoperta questa che risale a un più lontano passato. Leggiamo nel Millennio che muore: «- e finalmente mi accorgo di non essere solo, che non avrei potuto mai essere solo, che molte parole nel libro I cominciano e terminano con i'IO prefisso o suffisso, mi accorgo della morte così come m'accorgo / della mia morte ... ». E non è tutto: Vassalli, anche nella sua Cometa, che pare essere narrata senza screzi linguistici, crea una sorta di rottura con l'incedere lineare, con le sequenze temporali cronologiche, operando spesso salti in avanti e poi fughe all'indietro, quasi si dichiarasse che lo scavo non è dentro le carte degli archivi, ma dentro la parola piena. Perciò il tempo del racconto non è mai il tempo della storia. Se ciò non bastasse si leggano, ancora, le ultime dichiarazioni del narratore, confuso qui con l'auctor: «Soprattutto tengo a precisare che non mi sento un biografo»; e ancora «... ma se anche Dino non fosse esistito io ugualmente avrei scritto questa storia e avrei inventato quest'uomo meraviglioso e mostruoso, ne sono assolutamente certo». L a cometa è dunque interrogazione sulla scrittura, parola che parla di parole e forse parola che parla contro la parola piena del mondo, la sordità diffusa alla voce che dà espressione alla letteratura. È voce, ancora una volta, che interroga la scrittura. Ma la voce che interroga la scrittura ci affida anche un altro messaggio; ce lo porta la figura della madre maledetta che vorrebbe il figlio appartenesse alla schiera dei non nati (di trakliana memoria), dei già morti; ma anche quel certo Regolo Orlandelli, giramondo, che pare essere l'altra faccia del personaggio Campana, l'Altro speculare: la scrittura in fondo non è che un viaggio dentro l'indefinito, in quanto essa è gioco insensato per il quale è impossibile individuare una direzione di marcia, un senso. Figura insieme familiare e perturbante, strumento di dannazione, la madre (che in Abitare il vento è «la serpentessa Madre»), come la sorella di Nietzsche, non fa altro che spingere i personaggi di Vassalli dentro questo gioco insensato, dove il personaggio poeta non sa più quale sia la sua casa, il suo sogno, imprigionato com'è dentro l'indicibile, l'indecidibile. .Ricordate la sçommessa del commiato citata da Arkadia? chi distrugge la propria casa abiterà il vento. Del resto, ci dice Kafka, è impossibile abitare la propria casa con tranquillità. Meglio distruggerla, accettare di immergersi nel perturbante, negli abissi o sulle cime più alte. E se, nei lavori precedenti, proprio l'insistenza sulla funzione portante del gioco di lingua, la ricerca quasi ossessiva della rima, la procedura ripetuta senza riguardo dell'aferesi, tutta l'attrezzeria retorica usata, paiono dar conto di questo viaggio verso il basso, fuori del senso, dentro l'indecidibile; la cometa, col suo fascio luminoso che minaccia di soffocare la vita all'uomo che ne respira gli umori velenosi, pare essere luogo in cui ci si appresta a dichiarare battaglia. Se tra la polvere della biblioteca il pellegrino ha trovato conforto, nel vento è la sua casa; se Vassalli ha appreso che «ogni coscienza deriva dalla denominazione; che sen:ia la parola la conoscenza è impossibile; che se non esistesse la parola non esisterebbe neanche il mondo; che nella parola, soltanto nella parola io creo quanto mi circonda dentro e fuori di me; (... ) che il poeta nomina le parole più che gli oggetti, che il posto degli dei è oggi occupato dalla parola, che il senso non sta in ciò che le parole dicono, ma in ciò che esse si dicono tra loro» (Baratta); con La notte della cometa Vassalli sa, oggi, che c'è una sola via d'uscita: parlare contro le parole, le parole piene, «trascinarle con sé nella vergogna alla quale esse ci portano, in modo tale che si sfigurino. Non c'è altra ragione di scrivere» 'O (Baratta). ~ Nulla dunque può impedirci di -~ leggere in Vassalli quel desiderio ~ inespugnabile e incantato, quasi ~ chimera di campaniana memoria, ....., d'abitare l'irraggiungibile, il luogo -~ dell'indecidibile, il vertice/vortice, ~ l'archivio interminabile, il sogno f sempre sfuggente, non mai leggi- ~ bile perché già confuso con il rea- s::: le, perché la parola dentro cui pur ~ ,,C) viviamo sia già sfigurata e per que- ~ sto incapace di produrre verità. ~
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