Faretèiidenza L a risposta delle istituzioni al desiderio di specificità e di uscita dalla massificazione dei giovani è stata differente nei confronti di tre categorie: una minoranza di «creatori», una maggioranza di «fruitori» e una minoranza di «problematici». Prima, intorno agli anni Cinquanta e Sessanta, vi è repressione verso i problematici e noncuranza verso i fruitori, poi, durante gli anni Sessanta e Settanta, repressione verso i creatori. Laddove l'intervento pubblico nella forma di animazione culturale e assistenza sociale ai giovani (il «youth work») esiste già dal primo dopoguerra, esso entra in una crisi di identità e proposte negli anni Ottanta. Ciò si riflette soprattutto nel grande sviluppo delle attività commerciali intorno al tempo libero giovanile, che vanno molto al di là della capillarità degli interventi sul consumo dei teenagers negli anni Cinquanta-Sessanta. Lo sviluppo sfrenato delle sale di videogiochi in tutto il mondo sta rastrellando dalle tasche degli adolescenti molti più soldi di quanto è avvenuto, per esempio, con l'invenzione del 45 giri come prodotto specifico per il nuovo consumismo dei teenagers anglosassoni. Se i «giovani» nel Nord Europa sono sempre stati visti come un investimento, le cui componenti più avanzate vanno contenute, nel Sud Europa essi sono stati spesso considerati come una componente della politica e del suo universo sociale. Dove esisteva mercato e autonomia finanziaria per i giovani, vi sono stati spazi per dar vita a una subcultura della gioventù (talvolta addirittura per una controcultura giovanile). Dove invece questo mercato era meno sviluppato, i giovani hanno avuto scarse possibilità di esplorare stili di vita radicalmente diversi e sono stati considerati sino a poco tempo fa come degli adulti meno intelligenti e responsabili. In Italia (dove gli enti locali, i governi e la scuola non hanno voluto o saputo rendersi conto che molte subculture - una delle quali giovanile - stavano nascendo sotto la superficie di una cultura nazionale «media») i fermenti di avanguardia potevano essere ricondotti solo all'arena della politica (e quindi ogni tanto criminalizzati). Negli ultimi anni. però, anche nel Sud Europa la risposta istituzionale alla questione giovanile si è fatta più articolata. Man mano che i giovani diventavano più «complicati», meno intelligibili e omogenei nella loro protesta le istituzioni e i mass media hanno incominciato a rispondere a questi mutamenti. Dallo studio del tempo libero giovanile e della sua struttura ed organizzazione sociale in Europa sembra prendere forma un processo di diffusione da un centro irradiatore (Inghilterra, Olanda, RFT) a una periferia ricevitrice. Così è per fenomeni come le subculture giovanili, rese possibili da un'atomizzazione della società urbana e dall'esistenza di nicchie possibili nel mercato del lavoro e delle abitazioni, per comportamenti come la disaffezione nei confronti dell'associazionismo parapolitico e confessionale, per la diminuzione del pubblico negli stadi e nei cinema - oltre ad altri indicatori più sottili di cambiamento socioculturale-, tutti fenomeni che si sono verificati, a partire dal dopoguerra, ·prima nel centro che nella periferia (nell'estrema periferia, Italia del Sud, Portogallo, ecc. cambiamenti radicali nella vita dei giovani si sono cominciati a verificare solo a partire dalla fine degli anni Settanta). Analizzando più concretamente ciò che viene offerto ai giovani in Europa sul piano del tempo libero conviene quindi cominciare dal Nord. Il youth work nei paesi del Nord Europa è articolato in: clubs all'interno di centri di comunità o di quartiere che di solito raccolgono gli adolescenti fino a 15-16 anni del tipo meno «problematico»; centri giovanili veri e propri, dove vi è uno spazio bar e talvolta una discoteca che costituiscono il fulcro organizzativo dei giovani, cui si aggiungono alcune attività specializzate legate al tipo di giovani fruitori come, per esempio, jam sessions dove si aggregano i giovani meno associabili (i cosiddetti «unclubbables» nel linguaggio dei youth workers inglesi) o gruppi di animazioni per ragazze proletarie; lavoro con giovani «marginali» o «devianti» che viene · portato avanti in appositi centri da personale addestrato particolarmente per questo tipo di giovani o da youth workers ambulanti. Questi ultimi sono gli street corner workers che vennero istituiti per la prima volta alla fine degli anni Sessanta nel Nord-est degli Usa dopo i grandi moti per rivendicazioni razziali di Watts, Washington, ecc., e che già da quindici anni esistono anche nei centri urbani di Inghilterra, Olanda e RFT; 5EXURL L08(2fT Livio Sansone centri per giovani creatori fino a circa 30 anni, solitamente nei centri cittadini e rivolti all'intera città. La creazione di musica rock e di video e, quando questi centri sono collegati a centri di formazione professionale di qualche tipo, anche l'informatica sono senza dubbio le aree di interesse di ma_ggiòr successo. Quasi sempre queste strutture non sono distribuite a pioggia ma in base all'equazione: a tot giovani in una zona e tot problemi in certe aree a rischio corrisponde una struttura di assistenza, animazione e spesso prevenzione per i giovani. •Spesso queste strutture uniscono infatti l'assistenza all'animazione culturale, per cui il youth worker è spesso il precursore dell'assistente sociale. (In Gran Bretagna l'assistente sociale prende parte insieme al poliziotto di quartiere alla giuria-commissione che decide cosa fare dei «first offenders», i minorenni ai loro primi reati). Oltre a queste strutture territoriali vi sono coordinamenti, scuole parauniversitarie per la formazione di youth workers, riviste specializzate e federazioni nazionali e internazionali degli youth workers: insomma tutto un tessuto di prevenzione e di controllo. L'obiettivo era fare in modo che i «problematici» non stessero in giro e che i «fruitori» potessero trascorrere il loro tempo libero in maniera distensiva. In Francia questo tessuto è meno capillare, con forme associative legate a una spettacolarità di prestigio, o meno neutrali e «laiche» rispetto al youth work in Nord Europa. L'Europa dell'Est è un discorso a parte: in questi paesi sono solo i fruitori ad utilizzare le strutture di Stato, mentre i creatori gravitano intorno agli spazi delle parrocchie o hanno molto poco di organizzato; i rapporti con i problematici vengono delegati alle forze del1'ordine o agli uffici di collocamento (che li schedano e parcheggiano nei lavori manuali senza prospettive di scalata sociale). Nell'Europa mediterranea ci sono esperienze diverse. In Spagna e soprattutto in Catalogna il modello è una mistura composta dal modello del Nord Europa, francese e delle esperienze pilota italiane come quella di Torino e Reggio Emilia. In Grecia c'è un ministero della «nuova gioventù» insediato da alcuni anni che è riuscito a creare una certa attenzione verso questo paese nel circuito europeo delle associazioni dei circoli giovanili e della Sezione giovani del Consiglio d'Europa (il Fondo e il Centro Europeo della Gioventù). L'Italia è ora l'unico paese europeo senza un ministero della cultura e senza neanche un sottosegretariato alla gioventù. Al contrario sul piano locale - anche se solo nel Centro-Nord - esistono esperienze interessanti anche se frequentemente inficiate dalla mancanza di personale specializzato e di fondi. In tutti i paesi europei, accanto alle strutture dello youth work, e spesso a partire da errori e lacune da questo create, è andato sviluppandosi un universo parallelo di strutture commerciali per il tempo libero dei giovani. Discoteche e sale giochi, innanzitutto, ma anche caffetterie, paninoteche, birrerie, videobar, palestre. Questo universo ha prodotto anche un suo «discorso pedagogico». Dove il youth work è meglio organizzato, questo avviene in un rapporto con la pedagogia del youth work talvolta riconducibile a quello esistente tra tv di Stato e tv private in Italia («voi pensate alle lezioni, noi alla ricreazione»). In questo contesto va collocata la proposta organizzativa e metapolitica dell' Arci/Kids. Oggi a noi interessa produrre sempre più servizi e circuiti che servano a rompere vecchi ponti e strettoie ed a creare nuove forme di mediazione culturale tra paesi e tra espressioni culturali giovanili. Vogliamo contribuire a creare le condizioni perché si possa «fare tendenza». Strutture pubbliche e private che non massifichino i giovani ma che riprendano perlomeno le tre categorie di massima prima indicate (creatori, fruitori e problematici) e permettano spazi vitali a (sub)culture di minoranza tra i giovani. Ci serve creare varietà più che omogeneità. Occorre conferire dignità a strutture e proposte centrate sul tempo libero, senza che siano direttamente finalizzate ad educare e senza che però diventino puri momenti di ricreazione come avviene spesso nello youth work di tipo tradizionale del Nord Europa. Nei rapporti internazionali occorrono contatti nuovi, nuove «agenzie» di cultura che stravolgano ed integrino quelle vecchie, ed idee nuove come quella di una Biennale della produzione culturale giovanile dell'Europa mediterranea che organizzeremo tra Barcellona, Parigi e Torino. La nostra idea di Mediterraneo è basata sulla volontà di creare nuovi centri propulsivi e nuovi circuiti da opporre/proporre al precedente «centro irradiatore» nord-europeo. Sono gatte da pelare per una piccola organizzazione con tante idee e pochi mezzi come l'Arci/Kids. L'assenza di un ministero della gioventù e della cultura, di una struttura nazionale di coordinamento delle esperienze italiane di animazione culturale e assistenza sociale ai giovani, di un effettivo comitato nazionale di gestione dell'anno della gioventù 1985 e di assessorati alla gioventù o strutture equipollenti nella grande maggioranza delle città italiane, non fa che rendere il compito più arduo. Per mettere una componente non indifferente dei giovani nella condizione di «fare tendenza», servono anche la disponibilità degli amministratori locali e un rapporto dinamico con il mercato. È necessario smuovere le acque a partire da un'attenzione al nuovo consumo giovanile selezionato e basato sul buon gusto, fare in modo che gli operatori più intraprendenti delle sezioni di mercato orientate verso questo consumo non debbano solo ricavarsi piccoli spazi di sussistenza. Ci interessa insomma sovvertire almeno alcuni di questi meccanismi di mercato, giacché si può «fare tendenza» solo a partire dalla loro sovversione, come dalla sovversione degli schemi tradizionali delle aggregazioni giovanili.
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