Tendenze di ricerca/Teatro Intervistaa JulianBeck Q uesta intervista è stata rilasciata da Julian Beck al Museum of Modem Art di New York, durante il 7° Festival internazionale di poesia Polyphonix (29 ottobre-8 novembre 1984), a cui Beck, nonostante il cattivo stato di salute, aveva voluto partecipare con un intervento critico molto duro nei confronti della politica reaganiana. L'intervista è già apparsa sul n. 434 (16-28 febbraio 1985) della Quinzaine Littéraire, che ne ha autorizzato la traduzione. D. Nessuno è profeta in patria. Ho letto sul New York Times la critica di Frank Rich. Era a dir poco sorprendente! Julian Beck. Al limite della cattiveria. D. Sei fin troppo gentile. Non era una critica, ma una gambizzazione! Beck. Appunto. D. Il rapporto tra il Living e il suo paese è paradossaie. Mentre in Europa il dialogo con voi, per quanto possa essere stato acceso, non si è mai interrotto, qui in America i malintesi durano ormai da trent'anni. Beck. Da un punto di vista culturale, qui da noi c'è una situazione di paralisi. Nel teatro non mancano certo le invenzioni, né i talenti, ma il tutto è sempre freddo, freddissimo. Mentre il nostro è un teatro di calore. Invece di limitarci a stimolare immagini mentali negli spettatori, noi proviamo davvero a cambiare qualcosa nel pubblico. Nella Archeologia del sonno c'è una scena che vuol richiamare il problema della censura nata dalla paura. La paura che censura le nostre speranze. E noi lanciamo degli interrogativi: Il popolo sta perdendo contatto? Con la crisi, temete di non avere più soldi? Se vi toccano, vi fa paura? Quando mi sono avvicinato a Frank Rich facendogli queste domande, ormai avevo la mano a un palmo dalla sua coscia, mi ha detto: «Eccoci, ci siamo, ci siamo!» (Si mette a ridere). D. Quindi la parabola si è avverata? Beck. Alla perfezione, come dimostra il suo articolo. Ma sono Italo Calvino Cosmicomiche vecchie e nuove Milano, Garzanti, 1984 pp. 317, lire 20.000 Collezione di sabbia Milano, Garzanti, 1984 pp. 221, lire 18.000 Palomar Torino, Einaudi, 1983 pp. 132, lire 12.000 i Si sa che gli universi si fanno e si disfanno ma è sempre lo stesso materiale che gira»: questa legge della provvisorietà, osservata dal «vecchio Qfwfq» nei Meteoriti, non poteva non arrivare a coinvolgere la stessa galassia della scrittura cosmicoconvinto che già prima contasse di ammazzarci lo spettacolo. D. A parte questa storia, che vi ha danneggiati parecchio, che rapporti avete con la cultura ufficiale americana? Beck. Qualche anno fa decidemmo di andare a lavorare nel Brasile fascista. A San Paolo, a Rio. Per lo stesso motivo ora abbiamo deciso di rimanere negli Stati Uniti di Reagan. Perché vogliamo sensibilizzare l'opinione pubblica, spingerla a mobilitarsi. Perché oggi gli Americani hanno paura. Paura di fare e di parlare, paura di opporsi al Nord del continente e a quello che capita laggiù... D. Fatte le debite proporzioni, il Living ha una vita più difficile oggi che non dieci anni fa? Beck. È stata sempre dura! D. Sì, l'impressione che gira è proprio quella. Beck. In Europa, pensavamo di poter vivere con le tournées. Ma non abbiamo trovato sovvenzioni, salvo quelle del Ministero della Cultura, in Francia, per mettere in scena due spettacoli nell'82 e nel1'83. Andiamo in giro da più di vent'anni, e a un certo punto ci siamo detti che così non si poteva andare avanti. Ci serve più tempo per preparare gli spettacoli, e vorremmo sprecarne un po' di meno entrando e uscendo da alberghi e teatri. Mi è capitato di dirlo altre volte: i primi dieci anni sono stati fantastici, i secondi dieci un tantino più pesanti, ma di fare altri dieci anni così non se ne parla nemmeno! Per cui abbiamo deciso di stabilirci a New York. Per qualche tempo siamo stati in trattative con Jack Lang per trovare uno spazio permanente a Parigi. Ma era 1'81. Ora la situazione è cambiata. Ci sono meno soldi. Non è facile difendere il progetto di un groppo dominato dagli Americani (sorride) togliendo il pane ai gruppi locali. Quindi abbiamo deciso di lavorare qui. È una scelta politica: gli Stati Uniti sono il paese più pericoloso del mondo! D. A conti fatti, come sono state"le vostre esperienze europee? Beck. In Italia, ci siamo avvicinati molto alla cultura popolare. Abbiamo lavorato con gruppi coa cura di Frank Tenaille munisti, socialisti, anarchici, che ci portavano nelle loro città per fare workshops, letture, conferenze, ecc. In sette anni abbiamo lavorato in centosessantacinque città. Il che vuol dire che in Italia la cultura ci ha lasciato un certo spazio. Ma uno spazio piuttosto marginale. Continue tournées in provincia e, di tanto in tanto, una settimana a Milano, Venezia, Firenze. Perché in Italia i soldi ce li ha la mafia teatrale ... e non ci è stato certo concesso di spartire la torta. Per cui nell'83 abbiamo deciso di andare in Francia, a Nantes, dove abbiamo allestito L'Archeologia del sonno e un grande Museo del Sonno. Poi Francis Coppola mi ha chiesto di recitare nel suo film, e dopo abbiamo preparato la stagione del Teatro Joyce. D. È da molto tempo che sognate uno spazio fisso? Beck. Nei primi dieci anni a New York avevamo luoghi relativamente stabili. Ma c'erano sempre problemi con le autorità, sia al Cherry Lane della Centesima strada, sia a quello della Quattordicesima ... Ora vogliamo uno spazio sperimentale, perché con le tournées è vitale avere sempre successo. E tante volte il piacere non va d'accordo con il successo. Ho in mente un sacco di tentativi. Cose da recitare per due-quattro settimane, poi basta! D. Porterete le vostre ultime cose in giro negli Stati Uniti? Beck. La critica di Frank Rich ci ha fatto saltare tutti i contratti. C'è un potere della stampa, e un conformismo, da fare accapponare la pelle. Prima del pezzo di quel gazzettiere ci aspettavano a Boston, Filadelfia, Washington, ecc. Dopo Rich, ci hanno detto: «Purtroppo non ci è più possibile!» Però il successo con il pubblico è stato grande. D. Ero ad Avignone quando avete recitato Paradise Now. Cosa aggiungereste alle riflessioni sul teatro di allora? Beck. Temo che il tentativo di creare un teatro politicò, negli anni Settanta, indulgesse a toni retorici... una tendenza agli slogan che ci ha alienato il pubblico. Oggi ci serve un teatro capace di dare cose diverse. Ormai c'è una conoscenza diffusa dei meccanismi politico-economici. Nel '68, nessuno sapeva che cosa volesse dire «autogestione», mentre ormai fa parte del vocabolario corrente. Per cui non è più necessario un lavoro di informazione. Si può invece portare il pubblico a sentire e a pensare. Trovare modi in cui il pubblico si organizzi da solo. Specialmente sulla necessità di smilitarizzare il pianeta, che mi sembra l'obiettivo numero uno di questa fase. D. E come avviene la traduzione in forma teatrale di questi problemi? Beck. Rimaniamo dell'idea che il teatro deve divenire un rito in cui la soluzione dei problemi spetta al pubblico. Crediamo che ormai si tratti di «attivare» lo spettatore. Oggi il teatro è anzitutto un teatro di osservazione. Ribadiamo la necessità di umanizzare, di restaurare il potere dell'etica, della morale ... cose di cui c'è una mancanza assoluta. D. Poco fa parlavi dell'assenza di calore nella cultura americana... Beck. Sì, tutto si irrigidisce, tutto diventa conservatore. D. Secondo te, gli Stati Uniti sono in una situazione di dinamismo culturale rispetto al resto del mondo? Beck. Neanche un po'! Non c'è movimento, non ci sono temi. Non c'è metafisica, e proprio perciò manca il movimento. Fra gli scrittori come fra i poeti e i pittori, siamo sempre lì, ci sono compartimenti stagni, non c'è più contatto. Credo che quando c'è calore venga voglia di contattare altri esseri umani. Se non c'è, resta solo il gelo nato dalla paura. Il Movimento muore. Da queste parti, l'arte è vista come una merce. Tristissimo. D. Non è un rischio per il Living mettersi a lavorare in una situazione tanto letargica? Beck. Forse. Ma credo che abbiamo abbastanza amici per resistere. Contiamo di rivolgerci alla comunità degli artisti e vedere se si riesce a promuovere una nuova moralità. D. Il Living ha avuto molti figli? Beck. Credo che molti gruppi ci siano debitori: The Archeology Theater a New York, gli Erath. Circus a Stoccolma ... Poi altri cercano di portare avanti e di approfondire i problemi della espressione corporea, dell'uso della voce, e i temi anarco-pacifisti che abbiamo inventato ... E poi certo molti gruppi «sulla strada» sparsi per il · mondo. In questo senso, abbiamo una famiglia numerosa di cui andiamo piuttosto orgogliosi. D. Una vostra vecchia frase suonava così: «Si entra in teatro prendendo coscienza della indistruttibilità del brutto». La sottoscrivereste ancora? Beck. Sì, se parliamo di Broadway! D. Possiamo leggerla rapportandola alla rielezione di Reagan? Beck. Sicuro! Non bisogna essere troppo ottimisti. Quella è una definizione che si attaglia alla lotta. D. Allora, Julian Beck, un ottimista scettico? (Beck tace e sorride). D. Insomma, hai dimostrato forza di volontà nei momenti difficili e, malgrado tante avversità, hai questa specie di lato invulnerabile... Beck. Sono convinto che con il pessimismo non si può realizzare nulla. Per far saltar fuori l'energia ci vuole ottimismo, è una sorta di benzina ... di carburante. D. Ma allora, siete il Living Theatre o il Sisyphe Theatre? Beck. Io non dico nulla, sta a te .deciderlo ... D. Nel 1985, che messaggio lasceresti a un giovane attore? Beck. Fare un teatro che abbia un rapporto di simbiosi con la moralità, e che la trasmetta con i mezzi propri del teatro. Non fare nulla che vada contro ciò in cui si crede. La nostra lotta è incomin-. ciata negli anni Sessanta. La borghesia ha ripreso il sopravvento. E proprio per quel motivo il teatro è tanto gelido. No? (Traduzione dal francese di Maurizio Ferraris) Altrecosmicomiche mica, su cui Calvino è tornato, riunendone le sparse membra e montandole secondo una nuova struttura complessiva, tanto da farne un libro nuovo. Oltre ai racconti compresi a suo tempo nelle Cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1967), sono stati integrati al corpus anche quelli scritti per La memoria del mondo (1968 e 1975); e alcuni raggruppamenti di quella raccolta, pur rimaneggiati nell'ordine esterno e interno, forniscono ora l'ossatura della prima parte. Insomma, la ricomposizione attraversa varie fasi e strati diversi; ed è legittimo sospettare che anche Cosmicomiche vecchie e nuove siano soltanto una pausa. La ripresa di un genere di racconto sperimentato negli anni SesFrancescoMuzzioli santa - con i caratteri peculiari della scoperta scientifica in esergo e della sua applicazione narrativa per mezzo del personaggio non umano - dimostra che quel periodo culturale (oggi da molti rimosso in parentesi) costituisce per Calvino una base ancora produttiva, tant'è vero che al blocco delle cosmicomiche «storiche» si sono aggiunti alcuni testi recenti. Ma c'è di più: se Calvino ha rimescolato il mazzo delle sue carte, è perché le cosmicomiche si situano in partenza e costitutivamente (si potrebbe dire: per «programma genetico») sotto il segno della provvisorietà. Provvisorio è l'impronunciabile Qfwfq, per il suo stato fluttuante disposto a ogni trasformazione, stato davvero insolito tra le buone maniere delle convenzioni letterarie; per la sua consistenza materiale mutevole da una storia all'altra, e per i balzi nel tempo e nello spazio che compie nel corso di uno stesso racconto. Non si sa da quale luogo provenga la sua voce, eppure dall'esordio innesta il contatto con un pubblico di astanti (si rivolge a un «voi»: «Se vi dico che me ne ricordo ... », ad esempio). È quasi la presa di parola in un dibattito, a negare, commentare, correggere o assumere alla lettera le ipotesi avanzate dalla scienza; ma la didascalia in corsivo (del tipo: «- raccontò Qfwfq -») che di solito l'accompagna provvede a collocare la voce narrante in un passato non identificabile, slargando nello stesso tempo un diva- . rio tra locutore ed enunciatore. Al contrario di altri autori (come Arbasino o Leonetti) che hanno rielaborato i loro testi degli anni Sessanta, Calvino localizza l'intervento sulla disposizione dei pezzi, suddividendo e accorpando, ~ secondo quell'istanza distributiva 2 ormai fatta propria dopo le espe- -~ rienze delle Città invisibili e Palo- t::).. mar. Nel gioco degli spostamenti, ~ diventa significativa soprattutto ....._ l'assegnazione delle estremità: ini- .9 zio e fine. La posizione di apertura ~ è affidata ora agli Evoluti e mu- E tanti, cioè a quei racconti che han- ~ no per tema il mostruoso: e il mo- s:: struoso non soltanto rappresenta il ~ composito, nell'aggregazione ibri- l da delle parti, ma è anche la possi- ~
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