:::,... <::i .s bo <::i t::l.. ~ °' ...... o 'ò'o ~ E ~ ~ <::i - ~ -e ~ -- <::i o ~ ~ E ~ ...... t::l.. §- "" Come mettono in luce altri contributi - analizzando il fenomeno dal punto di vista economico e culturale e abbozzandone alcune interpretazioni sociologiche-, si delinea una «strategia dell'invenzione» che non conduce una guerra aperta ai circuiti commerciali e informativi del sistema, ma cerca di parassitarli. Ne accetta cioè le ridondanze e gli stereotipi, ma tenta di rovesciarne il senso e di produrre effetti di singolarità - delle piccole «catastrofi» - attraverso la manipolazione combinatoria dei contesti comunicativi. È possibile arrischiare una valutazione più strettamente politica di queste tendenze? Se ci atteniamo a una concezione «territoriale» - purtroppo ancora egemone nella sinistra - della politica, la quale concepisce la lotta per il potere come un gioco a somma zero (più potere ottengo io, meno ne avrai tu), che si svolge secondo regole codificate e su uno scenario «fisico» ben definito fra identità collet- 'I tive separate da confini netti e precisi, è difficile non ripiegare su un giudizio di spoliticizzazione: «giovani» sono usciti dal teatro della politica investendo le loro energie in altre direzioni. Se assumiamo invece il paradigma sistemico, è possibile formulare ipotesi più interessanti. Le pratiche di destrutturazione dei codici, la produzione di singolarità. rumori, piccole smagliature di senso nel continuum di una comunicazione sociale inflazionata, nùn sono attività neutre ai fini del funzionamento del sistema politico. Quest'ultimo infatti si presenta, dal punto di vista sistemico, come un codice simbolico che, dovendo «ridurre complessità» per tutti gli altri sottosistemi sociali, è costretto a includerne gli operatori, deve cioè evolvere tematizzando come proprie tutte le problematiche sociali. Ora, è vero che - come ben sanno i teorici conservatori più illuminati - il codice politico sviluppa il suo potenziale operativo anche incorporando il nuovo che nasce dal «rumore», dalle discontinuità nel - IMNTU BRLIC~T~ flusso comunicativo. È però altrettanto vero che questa incorporazione avviene solo se le discantiPiccolme asse L a domanda è quella di sempre: cosa fanno i giovani, come parlano i giovani, cosa pensano i giovani? A dimostrazione che il sociologismo volgare ormai imperversa, legittimato dagli articoli dei giornali o dalle inchieste televisive. Ripeto: sociologismo volgare. La categoria «giovani», infatti, ha assunto un valore specifico per il semplice fatto che da sempre costituisce una variabile nei questionari statistici, dove si calcolano le risposte a seconda dell'età, del sesso, del censo. Come dire che se le classi sono determinabili per via di differenza economica e culturale, vi sono altre classi omogenee determinate dall'esser maschio o femmina o dai numeri sui certificati anagrafici. Con • questa premessa voglio semplicemente dire che i «giovani» come gruppo sociale unitario, ovviamente, non esistono. I gruppi dipendono da caratteristiche di omogeneità molto più complesse e allo stesso tempo molto più specifiche. Eventualmente, ci si potrà domandare se esistono particolari gruppi formati da giovani, definibili per cultura e censo, nonché per località d'azione, che individualmente e localmente esprimono scelte, preferenze, opzioni, in una parola «cultura». Al massimo, si potrà aggiungere che la giovinezza esprime alcuni caratteri generali, ai quali ciascun I(') !ll ! 1 -~ ~ ~ § gruppo solitamente risponde in maniera diversa: la mobilità (derivante da aspetti di natura biologica - l'età fisica - o sociale, come il fatto di non essere statisticamente inseriti nel mondo produttivo o della famiglia), la tendenza all'innovazione, il gioco. Dopodiché, dei «giovani» non resta null'altro, se non, sottolineo, il fatto che ogni eventuale gruppo fa storia a sé. Ma del resto il materiale che presentiamo in questo numero di Alfabeta parla chiaro. Esso non corrisponde a un'unica ideologia, a un unico linguaggio. a un unico gusto dei giovani italiani. Esso è il frutto, piuttosto, di alcuni gruppi giovanili specifici, che esprime una serie di comportamenti sociali nonché di esperienze estetiche e comunicative. Questi gruppi sono determinabili in modo ben diverso che non la loro «giovinezza». La quale al massimo ha a che fare con tre caratteri: la ricerca di indipendenza· economica in una fascia di 'primo lavoro', la ricerca di unire lavoro e divertimento collettivo, il senso della velocità e del ritmo delle comunicazioni di massa, lo spirito ironico e giocoso. Cominciamo allora a vedere - analizzando gli oggetti qui presentati - di quali gruppi si tratti e quale gusto esprimano (altri esaminano in altra parte la tendenza politico-organizzativa e il trend economico produttivo). Diciamo che la prima impressione è quella di un effetto di déjà-vu. Il disco Ortodossia dei CCCP somiglia in modo impressionante a certe esperienze maturate attorno al '77 bolognese o milanese (del tipo: Skiantos, Kandeggina Gang, Kaos Rock, eccetera). Del resto gruppi musicali di questo tipo circolano in circuiti di !1Jljl:I~~ locali analoghi a quelli di alOmar Calabrese !ora: a Bologna esisteva il Punkreas nel '77, a Milano esiste oggi il Plastic (e per la verità da un po' di tempo). Ed è somigliante a quei casi ormai un po' invecchiati per il medesimo senso dello sberleffo, del sarcasmo, del paradosso ideologico (quello che apparteneva a quell'ala del Movimento che veniva denominata «creativa») .. Tuttavia, qualche variant~ c'è. Primo: se prendiamo i CCCP, scopriamo che. non operano a Milano o Bologna, ma a Reggio Emilia. Dunque un certa ironia sulla metropolitanità si è trasferita dalle grandi città alla provincia mediogrande. È vero che a suo tempo (vedi Alfabeta n. 13, dedicato alle fanzines) esistevano gruppetti analoghi anche in periferia (Pordenone, Trieste, Pesaro). Ma allora si trattava di gruppi che provenivano o ruotavano attorno alle grandi sedi universitarie. Oggi pare che il fenomeno cresca invece spontaneo. Ulteriore variazione: allora le canzoni del cosiddetto «rock demenziale» esprimevano tendenze anti-ideologiche (nel senso delle ideologie tradizionali), ma conservavano fondamento ideologico. Oggi questo fondamento è completamente scomparso. Ortodossia non è un disco provocatorio a livello di contenuti. È provocatorio a livello di gusto. Non è settantasettino. Cita il Settantasette. Secondo: il consumo di simili prodotti è spesso interno ai gruppi dai quali proviene. Molti ricorderanno invece che il Movimento a suo tempo, abbandonata l'ideologia «alternativa» del Se~santotto, tendeva a scardinare mediante la provocazione e l'illogicità i grandi sistemi di comunicazione. Se anche le produzioni erano povere e locali, non ci si precludeva alcun orizzonte: si pensava sempre in termini globali al mondo dei mass-media nazionali o addirittura internazionali. Oggi invece il consumo ristretto e di gruppo è diventato una generalità. Gli autori sono chiusi all'interno delle «piccole masse» che li esprimono, e ne riflettono il gusto. Ciò non accade soltanto con la musica, ma anche con la moda, con lo spettacolo, con i giornali, con la fotografia, perfino con l'arte. Riassumiamo, allora, per capire meglio. Assistiamo oggi ad alcuni fenomeni di «cultura» (in senso lato, antropologico, non c'è nessun giudizio di valore per il momento) che apparentemente riprendono o discendono da esperienze di otto anni fa. Solo che, rispetto ad alloAdesivi del Coordinamento gruppi musicali di Reggio Emilia nuità presentano una certa stabilità spazio-temporale. Ebbene: è proprio questa stabilità che manca alle nuove forme di aggregazione. Interessi, gusti. I progetti, idiosincrasie, stili non sono solo frammentati in una miriade di referenti microsociali, ma non offrono al. codice politico nemmeno le coordinate di una durata che gli consenta di elaborare la loro complessità, di storicizzarle. Assimilare - anche indirettamente o, peggio, implicitamente - questi comportamenti «ingovernabili» alla intenzionalità di un progetto politico sarebbe assurdo. Altrettanto assurdo sarebbe tuttavia lasciar cadere la sfida che essi ci ripropongono: è possibile inventare un'alternativa politica al codice universalistico e totalizzante del dominio? ra, cambiano i connotati della cornice entro la quale i fenomeni sono compresi. Essi testimoniano di un gusto diverso, e di una organizzazione del gusto diversa. Ma quale gusto? Qualcosa fra le righe è già trasparso, quando ho parlato ai pratica della citazione. Nel materiale che qui presentiamo la citazione è imperante: si cita la musica altrui, si cita la moda altrui, si cita l'arte altrui, si citano i video altrui. Una pratica di parassitismo volontario e regolato quasi assoluta. Ma proprio questo è il punto. Si cita in quanto non sono i soggetti, i contenuti o le strutture che interessano il gusto collettivo. Sono per l'appunto le varianti sul tema, quelle piccole diversità che «personalizzano» la creatività individuale con mezzi poveri. La citazione è l'altra faccia della cultura industriale fondata ormai sulla serie e sull' «optional». Mentre I' «optional» fa diventare accettabile la serie, perché individualizza un prodotto che invece è uguale per tutti, qui I' «optional» è l'unico valore effettivo, la serie essendo diventata talmente un'ovvietà che nessuno più ci bada. La poetica della variazione finisce così per imperversare. Si potrà dire che la medesima poetica pervade il mondo dei consumi di massa. Anche Colombo o Dallas o le telenovelas funzionano sulla variabile regolata. E questo è vero. Con la differenza che nel nostro caso la citazione, la variazione, la ripetizione non sono prese sul serio, ma pervertite. Sulla citazione si gioca. Sulla variante si scherza. Sulla ripetizione si ironizza. Non sempre, ovviamente, è facile trovare la chiave dello sberleffo. Ma questo proprio per il fatto che il linguaggio - così come la
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