Alfabeta - anno VII - n. 72 - maggio 1985

N elle società premoderne essere giovani significava appartenere a una condizione larvale: non avendo ancora attraversato i riti di passaggio che ne sancivano l'appartenenza a un preciso ruolo sociale, l'individuo non era investito di diritti e doveri ben definiti (presso alcune culture primitive il giovane non iniziato è considerato letteralmente non esistente come essere umano). Nello stesso tempo, il mito valorizzava l'immagine giovanile, ricca di virtualità e di promesse di rinnovamento del mondo e della vita comunitaria. La società tardomoderna, che si colloca alla fine di un processo storico di progressiva neutralizzazione delle differenze fra i ruoli sociali, sempre più intercambiabili e appiattiti sui codici dei circuiti monetari e informativi, ha esteso questa condizione «limbica» a tutti gli strati generazionali. È vero che la nostra società è la prima ad attribuire uno statuto autonomo agli strati giovanili, investendoli di rilevanti connotazioni politiche, economiche e culturali; questa «emancipazione», tuttavia, non solo è avvenuta sotto il segno dello sfruttamento (le masse giovanili sono state mobilitate: prima, come forza-lavoro a buon mercato, poi, come terreno privilegiato dell'espansione dei consumi improduttivi), ma è soprattutto servita a presentare sotto una luce favorevole la penetrazione di un modello culturale omogeneo oltre ogni barriera generazionale (ma anche etnica, di sesso, politica, ecc.). La condizione giovanile è divenuta il paradigma di una vita che non riesce più a «scorrere». La temporalità ·umanà e le sue realizzazioni progettuali si dissolvono sotto l'incalzare di un futuro prossimo in cui tutto (cioè niente) sembra possibile, tutto continuamente ricomincia senza mai finire. Sul piano dell'immaginario collettivo, a questa evoluzione corrisponde un duplice movimento. Da un lato, la figura archetipica del giovane subisce un processo di «depotenziamento da inflazione»: dato che per riprodursi e conservare i suoi equilibri omeostatici il sistema richiede continue innovazioni e, nel contempo, che tali innovazioni non superino la soglia qualitativa di eventi riproducibili serialmente, la società postmoderna si riempie di giovani «eroi», nessuno dei quali esce tuttavia dal ruolo dell'inventore di mode. Da un altro punto di vista, i comportamenti giovanili che restano fedeli a un'interpretazione più tradizionale della figura dell'eroe, attribuendogli un compito di effettiva trasformazione e rinnovamento del mondo, vengono demonizzati: ogni azione che tenta di restituire irreversibilità temporale all'esperienza umana assume connotati eversivi, in quanto mette in dubbio che l'eterna giovinezza in cui il tardocapitalismo vorrebbe farci vivere sia la migliore delle condizioni possibili. 1968: dalle «riserve» universitarie, concentrazioni di centinaia di migliaia di individui condannati a restare «giovani» - privi di ogni identità economica, politica, culturale - fino alla soglia dei trent'anni, prende il via una formidabile spinta all'autoidentificazione in un codice politico fortemente strutturato. Il ·ricorso a ideologie rivoluzionarie nate in epoche storiche precedenti, che tracciano confini ben precisi fra amico e nemico in funzione dell'appartenenImmagini dal volume Compra e muori, a cura di Fricchetti za a determinate classi sociali e/o schieramenti politici, si giustifica anche come reazione violenta al processo di neutralizzazione delle differenze sociali e politiche. 1977: il movimento giovanile ripone assai meno fiducia nel fatto sto supplemento di Alfabeta, non può prescindere dalle radicali soluzioni di continuità che la reazione sociale e politica al movimento degli anni Settanta ha prodotto negli ultimi sei-sette anni. Sul piano dei rapporti soARTFLEURV che nuove identità possano emergere dall'impegno - sia pure rivoluzionario - nel sistema politico. La ricerca culturale e politica di avanguardia è indotta ad assumere l'omologazione di ruoli e differenze sociali come un orizzonte «dato»; la produzione di differenze è in ogni caso costretta a partire da queste «grado zero» delle identità sociali. Gli obiettivi si articolano su una pluralità di soggetti collettivi di minore estensione e maggiore complessità; la difesa intransigen- 'te delle autonomie dei «nuovi soggetti» si accompagna tuttavia a un tratto comune: l'imperativo sociale all'eterna giovinezza viene accettato tentandone un paradossale rovesciamento di segno. Dell'immagine giovanile . si esaltano gli aspetti più inquietanti (de-responsabilizzazione, desideri e bisogni illimitati che rifiutano di scambiarsi contro lavoro e/o impegno politico, reazione violenta a ogni limitazione di libertà d'azione). Il discorso sull'oggi, a cui ci provocano i materiali raccolti in quecio-economici e sul piano culturale, il lavoro di destrutturazione di ruoli, valori e identità tradizionali ha subito un'accelerazione geometrica, sia attraverso la diffusione delle nuove tecnologie per la comunicazione - con forte impatto di omologazione dei linguaggi -, sia attraverso l'integrazione di tutte le pratiche, i comportamenti e i saperi sociali nei circuiti delle nuove merci terziarizzate e dell'informazione (soprattutto audiovisiva). Tendenze analoghe hanno investito il sistema politico, destabilizzandone le componenti tradizionali (partiti, istituzioni, procedure) e sviluppando una complessa rete alternativa di strutture informali, dotate di grande mobilità, e deputate a gestire un intreccio complesso di interessi corporativi. Contemporaneamente si è tuttavia fatto di tutto per conservare l'immagine dello Stato, difendendo una funzione di rappresentanza capace di amministrare il conflitto fra soggetti sociali a identità «forte» (la specularità fra azione terroristica e repressione giuridico-militare, l'una e l'altra funzionali alla conservazione di dinamiche di guerra ormai prive di motivazione sociale, è ormai luogo comune). Dopo questa «cura», certe attenzioni per la cultura giovanile paiono sospette. La proliferazione di indagini sociologiche e reportages giornalistici sui comportamenti delle nuovissime generazioni post '77 distoglie l'attenzione dalla «giovanilizzazione forzata» che ha investito l'intero corpo sociale. Gli scontri fra «paninari» e «cinesi» (cfr. Reporter, 23 febbraio 1984), il riemergere di forme di identificazione esasperate, fondate sulla contrapposizione di mode, gusti musicali, tifoserie sportive, frequentazione di locali, ecc., rappresentano varianti di tendenze che attraversano tutti gli strati generazionali. Ogni occasione è buona per dare vita a codici oppositivi e farci sopportare una condizione di vita che rende indifferenti e intercambiabili i nostri investimenti professionali, politici, culturali, affettivi (nessuno sa più «cosa farà da grande»). Analizzati al di fuori di un'ottica generazionale, i materiali qui selezionati ci offrono qualche indizio sul movimento di resistenza all'omologazione produttiva del mercato e dei media. L'affinità con l'immaginario del filone «creativo» del '77 - dovuta anche a banali motivi biografici: passando dall'attività politica a quella professionale, alcune individualità hanno «fatto scuola» - è riconoscibile soprattutto per la tendenza ad esaltare il radicale antiumanesimo delle nuove mitologie urbane, esasperando gli accostamenti paradossali, gli eccessi sincretistici e le perversioni percettive dell'ambiente metropolitano. Dal movimento di deriva dei soggetti e dalla padronanza dei nuovi media nasce un nuovo modo di produrre differenze e irreversibilità temporali, tentando di superare i limiti di precedenti forme di aggregazione sociale, che hanno dimostrato limitate capacità di resistenza ai processi di omologazione culturale.

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