...... ~ Questo testo, che segue l'intervento sul tema del parto (S. Vegetti Finzi, «L'altra scena del parto», in Alfabeta, n. 70), è stato letto dall'autrice nel corso di una delle giornate di studio sul tema « Essere analisti?» (Firenze, novembre 1984-aprile 1985), organizzate dal LARP e dall'Istituto Francese - Università di Grenoble, con il patrocinio della Regione Toscana e della Provincia di Firenze. S i è soliti insistere su una certa, dichiarata dotta ignoranza di Freud sulla sessualità femminile; si è soliti esaltarne la prudenza voluta e l'opacità inevitabile grazie alle quali, dal caso di Dora (1901) allo scritto del 1932 La femminilità, Freud ha potuto schizzare a grandi linee una geografia, sempre provvisoria, della femminilità. Si è anche soliti sottolineare quel suo persistere nella credenza che la maternità sia la forma «compiuta» dell'essere donna. Non si rileva, invece, che per Freud, prima che per Lacan, la maternità è un sintomo: «Che l'antico influsso della mancanza del pene non abbia ancora perduto la sua forza, appare evidente nella diversa reazione della madre alla nascita di un figlio o di una figlia. Solo il rapporto con il figlio dà alla madre una soddisfazione illimitata; di tutte le relazioni umane è questa in genere la più perfetta, la più libera di ambivalenze» (S. Freud, La femminilità, Torino, Boringhieri, 1952, pp. 8687). La maternità come realizzazione di una envie - invidia, voglia - insopprimibile di generare un figlio maschio possessore, per la madre e in sua vece, di quel pene cui lei non ha mai davvero rinunciato. In questa posizione vicaria il figlio si fa sintomo della madre, cioè sintomo del suo sintomo. L'amore, nella sua forma più «perfetta», vi si installa e lo parassita. Questa forma «perfetta» d'amore, secondÒ le indicazioni di Freud, può essere formulata anche come adeguamento dell'oggetto al desiderio del soggetto, del bambino alla madre e della madre al bambino; un amore, finalmente, complementare così come è nelle aspirazioni, sempre frustrate, di tutti gli amanti. Un amore che cesserebbe di non scriversi, che farebbe esistere il rapporto sessuale. Freud aggiunge: «li matrimonio stesso non è sicuro se non quando la moglie sia riuscita a fare del proprio marito anche il proprio bambino e ad agire da madre nei suoi confronti» (ibidem). Un matrimonio «riuscito», quindi, mima il modello di rapporto madre-figlio, il solo - Freud lo ribadisce a più riprese, nell'Introduzione alla Psicoanalisi (1915-17), nel Disagio della civiltà (1929) e infine nello scritto già citato La femminilità (1932) - che sia non ambivai:'! lente e privo di aggressività. Una -~ donna non entra in funzione nel ~ rapporto sessuale che in quanto ~ madre, gli fa eco Lacan. -. Per Freud la maternità, sebbene C) ·~ sia solo linimento alla cicatrice, ~ 1:s sempre dolorante, prodotta dalla :: castrazione, costituisce la forma ~ «compiuta» e «matura» della femminilità, la sola dimensione in cui c'è risposta al «Che vuole una donna». Il desiderio di maternità è ~ ~ .e ~ ~ un sintomo «naturale» nella donIl parto/2 oriedelmatemo na: con questo enunciato del suo fondatore la psicoanalisi si è alleata al discorso comune senza, per questa volta, disdirlo. Si sa che Lacan ha squinternato le cose negando l'esistenza de La .donna, teorizzando un godimento femminile «al di là del fallo» - dunque anche al di là della maternità la cui natura è eminentemente fallica - facendo del desiderio delle donne il modello stesso di erranza del desiderio tout court. Oggi succede che queste posizioni teoriche possano considerarsi raggiunte dalla scienza. A mano a mano che il sapere scientifico sul concepimento progredisce e si elabora, l'idea della «naturalità» del desiderio di maternità vacilla. Le pratiche contraccettive, l'aborto, il sapere del sesso in utero, le varie tecniche di concepimento artificiale, complicano per la donna la questione, già ardua, del proprio desiderio che viene così vistosamente messo a nudo. La scienza, da parte sua, non si interessa affatMarisa Fiumanò zione per la maternità, oppure - ed è l'ipotesi più attendibile - la considera un sintomo inguaribile, effetto di quell'assunzione della castrazione che nelle donne conserva sempre un tratto di precarietà. Il sintomo è una formazione di compromesso che tiene i;sieme un godimento cui non si rinunzia e la sua rimozione. Se l'antica envie è stata rimossa e il soggettodonna ha assunto il proprio sesso, non rinuncia comunque a desiderare di avere questo sostituto del pene che è il bambino. Accade però che, paradossalmente, il desiderio di maternità incontri l'impossibile proprio quando si realizza nella realtà della gravidanza, del parto e del puerperio. Spesso in queste circostanze l'efficacia del sintomo e la sua funzione di compromesso si allentano, dando luogo a quegli stati che la psichiatria definisce depressivi-maniacali o deliranti-allucinatori, detti «psicosi puerperali». il bambino in quanto «puro reale», causa del desiderio. Se questa dimensione «fisiologicamente» in gioco non viene mediata da un ordine simbolico, la relazione duale tra la madre e il suo oggetto-causa risulta psicotizzante . Il reale che l'evento della gravidanza, o, più spesso, del parto e del puerperio, fa emergere in una delle sue dimensioni più nette, va ascritto alla «fisiologia» della struttura psichica: in questo senso, in misura variabile, un elemento delirante è «naturale» in ogni maternità. Il parto spontaneo Un recente, affollatissimo convegno sul parto («Culture del parto», 24-27 gennaio 1985 - Milano, Sala dei Congressi) ruotava intorno al tema della sua umanizzazione e auspicava un ritorno al protagonismo delle donne contro la moderna medicalizzazione di un evento, in altri tempi o in altre culture, naturale e fisiologico. La costruzione del corpo ovest delle Halles di Baltard to - al contrario della psicoanalisi - al «come» una donna possa desiderare un bambino; il desiderio femminile non è l'oggetto della sua ricerca quanto piuttosto quello della sua rimozione. La scienza risponde solo alla domanda delle donne e ignora che ciò che le sorregge è un desiderio nient'affatto lineare, né univoco, né tutto dicibile. Tuttavia, in questo dialogo tra sordi che si è instaurato tra le donne e la scienza si è prodotta una collusione: facendo ricorso alla sua tecnologia le donne possono «agire» le molteplici ambivalenze legate al desiderio di un figlio. Il discorso comune registra il cambiamento e non considera più così «naturale» per una donna l'envie del bambino. Per il discorso psicoanalitico potrebbe essere una grossa occasione per rinfrescare un arsenale concettuale un po' stantio: priva dell'alibi del «materno», la domanda di Freud «Che vuole una donna» risorge iri tutta la sua virulenza. • Freud sapeva che non c'è oggetto adeguato a soddisfare il desiderio, ma sembra istituire un'ecceEcco come il Dizionario di psichiatria (Leland E. Hinsie, Robert Campbell) tradisce l'imbarazzo nel tentarne una spiegazione: «Non esiste una specifica condizione psichiatrica che compaia solo durante questo periodo e ( ... ) non c'è nessun fattore organico nel puerperio come tale che possa produrre una psicosi». Il dizionario aggiunge un rilievo statistico: le psicosi puerperali sono quattro volte più frequenti di quelle gravidiche. La psichiatria non può da·re conto, se non sul piano puramente fenomenologico, di questa patologia, inclassificabile senza uno strumentario psicoanalitico. A che cosa, allora, va ascritta? È poi davvero una patologia? Ciò che è patologico per la psichiatria e il senso comune è, in un certo senso, «fisiologico» per l'inconscio, cioè conforme alla sua fusis, alla sua natura. La psicoanalista Michèle Montrelay ha scritto: «Al momento del parto, la madre perde non proprio il bambino con cui comincia a vivere, ma lo stato reale della gravidanza» (L'ombra e il nome, p. 156). Ciò che si perde, dunque, è Sul come tornare oggi a quella naturalità fisiologica si proponevano soluzioni che mettessero le scoperte della tecnologia medica al servizio delle donne piuttosto che viceversa, come spesso accade. A tutta prima, se confrontata con i progressi rapidissimi dell'ingegneria genetica e della sofisticata tecnologia ginecologica, la rivendicazione del parto naturale può apparire una battaglia di retroguardia e anacronistica, ma, provando a leggerla controluce, essa lascia filtrare altri possibili sensi. Ipotizziamo che il parto naturale venga invocato proprio per scongiurare quella fusis dell'inconscio che porta alla ribalta il reale. La maternità «attiva» rivendicata dalle donne dovrebbe, secondo questa ipotesi, tenere a bada gli aspetti inquietanti dell'emergenza del reale senza cancellare il godimento che vi è connesso. Naturale è sinonimo di spontaneo. Si dice: parto spontaneo (ma anche: aborto spontaneo). Spontaneo, secondo l'etimo latino, significa «secondo volontà». Ma se naturale vuol dire secondo volontà, secondo la volontà delle donne, ci troviamo ad annodarci ancora ·una volta alla domanda di Freud: Qual è questa volontà delle donQe? Il parto presentifica, per una donna, la castrazione in quanto è rinuncia a fare uno con quell'equivalente del fallo immaginario che è il bambino durante la gestazione; ma accade che questa divisione non sia riconosciuta. Le analisi dei nevrotici e i deliri psicotici registrano, con esiti diversi, le conseguenze di questo possibile rifiuto della castrazione nella madre. Nel convegno già ricordato veniva considerato come l'optimum del parto naturale il partorire a casa, vale a dire in un luogo familiare, rassicurante, che protegga. Per capire da cosa le donne intendono proteggersi bisogna notare che, contro i luoghi comuni del discorso, ciò che si designa come lieto evento è in realtà un evento segnato da un sentimento di lutto: lutto della madre per la perdita dell'altro bambino, il bambino immaginario della gravidanza che il neonato reale sopprime, prefigurazione di lutto per il bambino che il nascere designa come mortale, sentimento acutizzato del proprio destino di morte per la madre. È così se tutto va bene. Se una donna, grazie a una castrazione elaborata simbolicamente, è in grado di vivere la dimensione mortale della nascita, il parto è naturale. Il nascere, con un gioco di parole che rende bene la lingua francese, è naftre, non essere. L'ambiguità del desiderio materno oscilla tra il desiderio di un bambino morto, dunque fissato come immortale nell'immaginario (in questo senso non c'è bambino più desiderato di quello di cui si è abortito), e quello di un bambino vivo, dunque mortale e sessuato. Può accadere che una donna voglia continuare a bagnarsi nell'immaginario di uno stato fusionale, nel limbo della gravidanza, e che il rifiuto di rinunciarvi si faccia sintomo nel parto: anche in questo caso il parto cosiddetto «difficile» sarà sua spante, spontaneo. «Forse - cito ancora Michèle Montrelay - le donne che ritengono il bambino al momento della nascita vogliono conservare, più ancora che il bambino, questo infinito tempo-placenta. La differenza tra queste donne e le altre che partecipano al lavoro di espulsione è meno grande di quanto non sembri» (p. 156). Sono queste aporie del desiderio, per quanto solo oscuramente presentite, a far invocare la sicurezza del luogo noto e familiare sebbene il parto non possa che restare un'esperienza segnata dalla solitudine, come tutto ciò che costringe un soggetto a constatare la propria divisione. Ma· quest'esperienza che avvici- . na così tanto le donne all'oggetto causa del desiderio per subito separarvele può segnare anche, e finalmente, ia fine di un'attesa. Una donna attende qualcosa e poi ... arriva un bambino ... che non è La Cosa. Se ribadisce una divisione già avvenuta perché strutturale, un parto può segnare un più solido accesso al simbolico. È anche un'occasione per ripensare un luogo comune dell'immaginario, cioè la credenza, che - abbiamo visto - era anche di Freud, che essere madri realizzi la forma perfetta di
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