che sèelta, creazione drun ordine di priorità, trasgressione controllata; si può essere concretamente fedeli solo distribuendo in giusta proporzione e nei punti giusti una serie innumerevole di infedeltà funzionali. E a questo punto, è chiaro, l'istinto di fedeltà - cieco come tutti gli istinti, e fondamentale proprio perché cieco - non basta più; diventa una forza da sorvegliare, incanalare, orientare, insomma da sfruttare razionalmente. È proprio qui (per rifarmi alla pseudodivagazione iniziale), è proprio qui che la passione astratta del lettore che ha letto tout le livre e ne possiede l'immagine virtuale, può e deve soccorrere la passione materiale del lettore «in tempo reale». A differenza di quest'ultimo, che si perde, che deve perdersi nello spessore e nell'incanto della materia I verbale (e il cui istinto lo porterebbe dunque a ricopiare il testo), l'altro lettore sa bene che il compito cui il traduttore è chiamato è quello di creare un nuovo testo destinato a nuovi lettori, un testo - per citare Benjamin - che si metta in rapporto, più che con la vita del testo originale, con la sua «sopravvivenza». E sa dunque, questo lettore che domina la materia verbale con il senno di poi, cioè dall'alto del senso e dal poi della sopravvivenza, sa che la fedeltà, per divenire atto di fedeltil; deve incarnàrsi in una serie .di.'·. scelte e di rinunce, deve instaurare un sistema, mobile ma rigoroso, di priorità e di trasgressioni. (... ) Gérard Genette li paratesto proustiano Con «paratesto» intendo l'insieme di dati marginali o laterali che, attorno al testo letterario, costituiscono le sue diverse soglie autoriali e editoriali (titoli, risvolti, dediche, epigrafi, prefazioni, note), mediatiche (interviste ali'autore, recensioni ufficiose) o private (corrispondenze, confidenze più o meno programmate), e le modalità materiali della sua realizzazione e della sua ricezione (raggruppamenti, suddivisioni, scelta del formato, dei caratteri tipografici, ecc.). Come suggerisce il prefisso ambiguo, il paratesto consiste in tutto ciò che non sappiamo mai con certezza se appartenga o no al testo di un'opera, ma che si aggiunge a esso o contribuisce a presentarlo, o a renderlo presente, facendone un libro. Zona di transizione tra testo e fuori testo, ma anche zona di transazione, luogo essenzialmente pragmatico e strategico. Termine, quest'ultimo, che nel caso specifico non deve essere inteso nel senso banale di una ricerca di successo, di potere, di fortuna e di gloria: gli obiettivi della strategia proustiana sono stati essenzialmente e successivamente la pubblicazione di quest'opera e, in seguito, una volta date le condizioni particolari di tale pubblicazione, l'educazione del suo pubblico, cioè un'azione pedagogica destinata a prevenire gli eventuali fraintendimenti e a orientare anticipatamente la lettura nel senso che Proust riteneva essere più fedele e pertinente. È soprattutto il secondo l'obiettivo che passa attraverso la via del paratesto, e sul quale quindi ci soffermeremo. Proporrò dapprima un inventario, non esaustivo, del paratesto della Recherche, per poi indicare, sommariamente, quelle che mi sembrano le principali indicazioni critiche e, forse, teoriche che ne derivano. 1. Inventario Per diversi motivi che lascerò impliciti, mi sembra utile suddividere il paratesto della Recherche in tre gruppi, in base al suo grado di autorità o di responsabilità autoriale: paratesto ufficiale, ufficioso e postumo. Paratesto ufficiale.' Si tratta essenzialmente del paratesto «antumo», cioè degli elementi proposti nell'immediata periferia del testo e all'interno della stessa copertina, quando Proust era ancora vivo e con il suo consenso (nome del- !'autore, titolo, indicazione del genere, menzione dell'editore, risvolto, fascette, prefazione, dediche, epigrafe). Come accade quasi sempre, questo paratesto pubblicato è il risultato di diversi compromessi, soprattutto tra l'autore e l'editore(i), e, dal 1913 al 1922, subirà parecchie modificazioni. (... ) Paratesto ufficioso. Si tratta, fondamentalmente, di elementi di commento autoriale che, per diverse ragioni, l'autore non ha voluto o potuto integrare né nel suo testo né nel suo paratesto ufficiale. Qui bisogna fare un'ulteriore distinzidne tra ufficioso pubblico, privato e intimo. il paratesto ufficioso pubblico viene pubblicato vivente l'autore e con le sue cure. Nel caso specifico, è costituito dalle interviste autoriali e dagli articoli allografi più o meno teleguidati dall'autore. All'uscita di Swann Proust ha pubblicato sui giornali (almeno) due interviste: quella rilasciata a Elie-Joseph Bois su Le temps del 13 novembre 1913, e quella a André Arnyvelde su Le Miroir del 24 dicembre. (... ) Quanto alla prima, la sua funzione, importantissima, è propriamente monitoria, dal momento che essa appare alla vigilia della pubblicazione di Swann. L'avvertimento è grosso modo dello stesso tipo di quello presente nelle prefazioni di Balzac: questo non è che un primo frammento, non giudicate l'insieme in base a esso, e abbiate presente sin d'ora l'essenziale di ciò che il seguito vi mostrerà meglio; per esempio, che il narratore che dice io non sono io, che la lunghezza dell'insieme a venire è necessaria per esprimere il passare del tempo, che si tratta di un romanzo dell'inconscio, in cui il ruolo della memoria involontaria è una garanzia d'autenticità, che lo stile qui, come altrove, è una questione di visione, ecc. Questi temi monitori dominano • - J ' anche il versante privato del paratesto ufficioso, che è illustrato fondamentalmente dalla corrispondenza di questi anni 1911-1914. ( ... ) Esiste poi un'ultima specie di paratesto d'ordine intimo, aggettivo a cui non do affatto un valore psicologico, ma puramente tecnico. Qualifico così ogni testo in cui il destinatore e il (primo) destinatario sono un'unica persona, qualunque siano o debbano essere le ulteriori trasformazioni della sua effettiva ricezione. Nell'ordine paratestuale, si tratta di quelle specie di giornali di bordo della creazione letteraria di cui i taccuini di James offrono un bell'esempio. In Proust non c'è assolutamente nulla di questo genere, ma nel suo caso tutta la massa di avant-texte, carnets e cahiers funziona esattamente come un paratesto ad usum proprium: non solo .riserva di abbozzi e di brouillons, ma anche raccolta di istruzioni f di note di scrittura e di composizione, come gli autocommenti («Importantissimo!»). Paratesto postumo. Questo aggettivo implica due significati diversi e, per certi aspetti, contrari. il primo concerne i paratesti privati e intimi successivamente pubblicati postumi, trovando così nel pubblico ricettori diversi dai loro destinatari d'origine. il secondo concerne ciò che è propriamente postumo. intendo con ciò degli elementi di paratesto nati (e anche concepiti) dopo la morte dell'autore, il quale dunque non ne è affatto responsabile, ma che costituiscono fatti editoriali, e che quindi il pubblico recepisce come più o meno ufficiali. Mi limiterò a due esempi. Il primo ci viene offerto dai tre ritratti dell'autore attualmente raffigurati nei tre volumi della Pléiade: primo volume, Proust giovane; secondo volume, Proust mondano; terzo volume, Proust artista e pensatore (connotazioni evidenti, per quanto infirmate dalle date reali di questi ritratti: 1891, 1895, 1896). Se si voleva spingere la Recherche verso una lettura autobiografica, non si poteva fare meglio. ( ... ) il secondo esempio concerne la relazione variabile tra il titolo generale e i titoli dei singoli volumi. Semplificando molto, diciamo che la vecchia edizione Gallimard privilegiava il titolo del singolo volume, mentre la Pléiade privilegia quello generale. ( ... ) Questi cambiamenti della copertina non sono che uno dei tanti elementi: numero dei volumi, stato del testo, cam/;Jiamento di contesto. in queste modificazioni e a causa (tra l'altro) del paratesto postumo l'identità della Recherche ha cambiato statuto. 2. Indicazioni Per cercare di trarre qualche indicazione critica da questo breve inventario, devo innanzitutto ritornare su uno -degliaspetti fondamentali del paratesto proustiano che qui ·sopra mi sono limitato a evocare: l'apparato di titolatura della Recherche. ( ... ) Per prima cosa, la comparazione tra gli indici preannunciati nel 1913 e i sommari del 1918 ci indica chiaramente l'invenzione tardiva, tra queste due date, del personaggio di A/berline. Questo fatto importantissimo, principale conseguenza della forzata interruzione del 1914, è oggi troppo noto per soffermarvisi ulteriormente. Veduta prospettica delle Halles di Baltard. Litografia di Ph. Benoit La seconda indicazione che ci viene riguarda la struttura dell'opera. Il confronto tra i livelli successivi dell'apparato di titolatura rivela un passaggio, imposto in parte dalle contingenze editoriali, da una struttura inizialmente unitaria e continua a una struttura più contrastata, maggiormente articolata in divisioni e suddivisioni. ( ... ) È come se, progressivamente o tardivamente, Proust fosse stato preso nel gioco della divisione e della proliferazione paratestuale, gioco nel quale all'inizio era entrato controvoglia e spinto dalla necessità. ( ... ) Ma la principale indicazione tematica del paratesto concerne, a mio avviso, lo statuto della Recherche come genere. Su questo punto stanno, circolando due vulgate contraddittorie e ugualmente eccessive. Quella popolare tende a confondere Proust con «Marce!», e a fare della Recherche, senza troppe sfumature, una autobiografia. All'opposto, la vulgata critica, basandosi sul fatto incontestabile che la Recherche non è un'autobiografia, tende a considerarla come un puro e s_empliceromanzo; cioè come un'opera di pura finzione. Che cosa ci dice a questo proposito il paratesto? .Jnnanzitutto, voglio ricordare che nessuna edizione controllata da Proust porta una menzione ufficiale reÌativa al genere. inoltre, su questo punto, le dichiarazioni ufficiose (private) dell'autore sono di una ambiguità veramente esemplare. ( ... ) Per Proust, la Recherche non è un semplice romanzo, è una specie di romanzo, è dal romanzo che si allontana meno (tuttavia se ne allontana, dunque), e se può essere chiamata romanzo, non è perché abbia un contenuto di finzione, ma perché il racconto è più costruito di quanto non sarebbe una autobiografia. La terza indicazione ci viene fornita dal regime grammaticale dei riassunti della vicenda nei sommari preannunciati, nei titoli interni pubblicati, nelle menzioni epistolari, e, in particolare, nella dedica del novembre 1915 a Mme Scheikévitch; e inoltre, verosimilmente, in tutti gli elementi dello scenario intimo. Questo regime è costante: in esso l'eroe viene sempre designato con il pronome alla prima persona. So bene che questo andamento può essere spiegato con il disagio suscitato dall'anonimato del!'eroe, ma mi sembra che quella che qui si pretende essere la causa è essa stessa un effetto: l'eroe è anonimo perché non è del tutto autonomo, e sappiamo quanto rilevatore sia l'imbarazzo in cui l'autore cade quando, eccezionalmente, lo fa chiamare per nome dalla sua amante. Le uniche volte in cui Proust non chiama il suo eroe io, lo chiama Marce!. Quale regressione, rispetto al Jean Santeuil, per un autore di «romanzo»! Infatti, è proprio come se qui Proust passasse impercettibilmente dalla situazione ufficialmente autobiografica del Contre Sainte-Beuve a quella della Recherche, in cui la prima si trasfonde senza trasformarsi. ( ... ) Altrove ho proposto di battezzare questo genere, chiaramente misto; ambiguo e a metà tra autobiografia e finzione, autofinzione (autofiction), prendendo a prestito il termine dal paratesto di un'opera di Serge Doubrowsky. Potremmo definirlo grosso modo così: «un racconto in cui l'autore mette se stesso in scena, in modo più o meno netto ed esplicito, in situazioni che egli al tempo stesso presenta, più o meno stabilmente, come immaginarie o fittizie» . . Come forse accade per tutti i generi, anche questo genere intermedio affonda le sue radici in comportamenti o atteggiamenti esistenziali molto comuni, come la mitomania, il fantasma, o l'affabulazione infantile di cui ritroviamo le movenze tipiche al condizionale in questa descrizione anticipata del Contre Sainte-Beuve: «La mamma verrebbe vicino al mio letto e io le racconterei un articolo che voglio scrivere su Saintc-Beuve ... »: miscuglio perfetto di autobiografia e finzione, in scena siamo proprio la mamma e io, ma questa scena è immaginaria. E forse anche il sogno, al quale Proust in alcune pagine del Temps retrouvé, e altrove a proposito di Nerval, accorda un valore del tutto esemplare che non è stato ancora, mi sembra, sufficientemente rilevato. L' «eroe» dei miei sogni, che sogna e poi racconta in prima persona, sono io e non sono io, che non ho vissuto questo; ma in nessun caso posso dire che è un altro. Da molti punti di vista - e a più di un titolo - la Recherche è una autobiografia sognata. (1·esto a cura di Liliana Rampello e di Federica Sossi)
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