Prousat Colorno \ A lcuni dei più importanti studiosi di Pr?ust, i francesi B. Brun, G. Genette, A. Henry, J. R1sset, J.-Y. Tadié, gli italiani A. Arbasino, M. Bongiovanni Bertini, L. De Maria, F. Fortini, F. Orlando, G. Rahoni, e il curatore dell'intera Corrispondenza di Proust, l'americano Ph. Kolb, sono stati chiamati a discutere nella Reggia di Colorno, dal 22 al 23 marzo, dalla casa editrice Mondadori e dall'Assessorato alla Cultura della Provincia di Parma. Il convegno si collegava a una serie di iniziative culturali e editoriali, la più importante delle quali è sicuramente la pubblicazione di Alla ricerca del tempo perduto nella traduzione di Giovanni Raboni, il cui primo volume è uscito (nell'edizione mondadoriana diretta da L. De Maria e annotata da A. Beretta Anguissola e D. Galateria) nel giugno 1983. È di qualche settimana fa, inoltre, la pubblicazione del volume di testi proustiani inediti (a cura di D: De Agostini e M. Ferraris, con la collaborazione di B. Brun) L'età dei nomi. Quaderni della Recherche, e la Mondadori ha in cantiere una edizione in due volumi della corrispondenza di Proust, curata da Ph. Kolb. Recenti sono anche i proustiani Scritti mondani e letterari, curati da M. Bongiovanni Bertini per la Einaudi. Presentiamo qui, per gentile concessione della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (che pubblicherà gli Atti del convegno, a cura di L. De Maria, nei primi mesi del 1986), alcuni stralci delle relazioni tenute al convegno da Francesco Orlando e Giovanni Raboni, e la traduzione di una parte dell'intervento di Gérard Genette. I testi sono accompagnati da due «finestre» in cui riprendiamo alcuni degli spunti critici più importanti emersi nelle giornate di Colorno. Francesco Orlando «Sapere» contro «vedere» Liliana Rampe/lo Federica Sossi Nell'indubbia crisi attuale della pratica del procedimento dell'interpretazione, si potrebbe distinguere una pratica che ha grosso modo cattiva reputazione da una pratica che ha grosso modo buona reputazione, ossia un interpretare come·sostituire in cui, nel caso che l'interpretazione riguardi un testo letterario, possiamo dire che un elemento extratestuale dovrebbe unilateralmente motivarne uno testuale, é un modo di intendere l'interpretare che farei equivalere al collegare, ossia una situazione in cui due elementi, entrambi testuali, si motiveranno bilateralmente. Credo che di collegamenti, per l'appunto, sia fatta quella sensazione che noi traduciamo empiricamente nella parola capire. Abbiamo la sensazione di capire un testo quando, nel leggerlo, riusciamo a stabilire molti collegamenti. Tornando per un momento al problema dell'applicazione di categorie desunte dalla psicanalisi freudiana allo studio della letteratura, direi che con ragione viene obiettata la pratica dell'interpretazione come sostituzione dell'extratestuale al testuale a quei modelli freudiani che chiamerei psicologici o 'pieni', in antitesi a 'vuoti' (mettiamo il complesso di Edipo, il complesso di castrazione o la scena originaria), la cui messa a contatto con un testo letterario comporta la momentanea sostituzione di una parte di un complesso di elementi di questo testo con qualcosa di previo, di extra-testuale che viene in qualche modo a sostituirsi. In molti anni di lavoro con questo tipo di metodologia, e anche sul testo di Proust, direi che altri modelli freudiani, quelli che potrei chiamare, piuttosto che psicologici, semiotici, e, piuttosto che 'pieni', 'vuoti', tutti sintetizzabili nel concetto unico di formazione di compromesso (per es. condensazione, spostamento, negazione freudiana), simili modelli sono più validi perché, anziché sostituzione, consentirebbero collegamenti testualmente pertinenti e pertanto ricchi di informazione. Tuttavia l'operazione consiste nel cercare di dimostrare che un modello per eccellenza 'pieno' può servire a collegare, e non soltanto a sostituire, a una condizione molto curiosa: che il modello in questione, 'pieno', si lasci scomporre in componenti singole e isolate che nel testo proustiano mi· sembrano ricorrere in qualche modo separate. L'interesse di una pertinentizzazione di una applicazione del modello m_isembra consistere proprio nel fatto che rimettendo virtualmente in contatto fra loro componenti per ipotesi separate, il modello così evidenzia coll.egamenti inattesi, costanti e varianti di informazione nuova. ( ... ) Prendo, per darmi a questo piccolo esercizio metodologico, un modello freudiano dei più noti, quello della cosiddetta 'scena originaria' di cui attingo la definizione da/l'ottimo Vocabulaire Laplanche et Pontalis dove questo modello è riassunto dalle seguenti brevi parole: «scena di rapporto sessuale tra i genitori, osservata o supposta secondo Convegno, 22-23marzo 1985 certi indizi e fantomatizzata dal bambino. Viene generalmente interpretata da lui come un atto di violenza da parte del padre». Ma dal loro testo preleverei ancora come essenziale un altro elemento dove si dice che questo spettacolo provoca «eccitazione sessuale nel bambino e insieme fornisce un supporto all'angoséia di castrazione»: Ora, se "rinsieme di questi elementi definisce in psicanalisi un concetto detto 'scena originaria', credo che non ci sia niente di arbitrario nel distinguere delle componenti diverse, almeno tre, essenziali da distinguere. Mi scuserete l'estremo schematismo geometrico se per brevità le chiamerò d'ora in poi A, B, e C. Chiamo A: un contenuto reale, che esso provenga dal- /' osservazione o da una supposizione, contenuto reale sempre legato ·a una interpretazione data, che essa sia giusta o sbagliata: il rapporto sessuale tra i genitori equivarrebbe a una scena di violenza, quindi A, il contenuto della scena, è un rapporto di sesso e violenza insieme. Dal momento che esso è oggetto di una reazione conoscitiva e di un'altra reazione, perfettamente distinguibile, di ordine affettivo, possiamo affermare che: B è una dissociazione nell'ordine conoscitivo tra vedere e sapere, il bambino vede qualcosa che non sa e la interpreta in un modo che viene definito come erroneo, quindi c'è un vedere qualcosa senza sapere che cosa si vede e c'è un credere di vedere qualcosa senza che lo si veda effettivamente, pertinentizzando in Il mercato degli Innocenti poco prima della sua scomparsa (1857 ca) questo secondo momento quella erroneità dell'interpretazione che volutamente non avevo pertinentiztato nel momento A. C: è una ambivalenza nell'ordine affettivo tra una eccitazione (euforica) e un'angoscia (disforica, peno~ sa) provocata nel bambino dallo spettacolo. Tutte e tre queste' componenti si ritrovano nel mondo immaginario di Proust, ne definiscono le basi stesse, ma in larga misura si trovano apparentemente sconnesse. Schematizzando al massimo potrei dire che dove c'è A non c'è né B né C, dove c'è B non c'è né A né C, dove c'è C non c'è né A né B. Dunque A è quel contenuto che in Proust ricompare inchiodato alla sua erronea interpretazione infantile per il carattere duplicemente perverso (sadomasochista e omosessuale) delle tre scene, almeno tre grandi scene famose, in cui si ripete la scoperta del sesso C(!metrauma. ( ... ) Ora con questa prima constatazione sembriamo ancora pericolosamente vicini alla sostituzione extra-testuale, rapporteremmò cioè porzioni della Recherche a momenti del vissuto di Proust; si può rispondere che quanto sto dicendo ~ già anche effettuare un collegamento, perché così facendo vengono collegate le tre scene famose di Montjouvain, del cortile dell'hotel de Guermantes e del bordello omosessuale di Jupien; si può contro-obiettare però che non c'è finora una carica di novità dal momento che lo stesso autore ha effettuato tale collegamento _conla distribuzione in qualche modo simmetrica delle tre scene, con richiami interni, ma soprattutto ha reso esplicito il collegamento con la spintissima omologia fra le tre scene, non solo, ma ha esplicitato il più specifico dei collegamenti; cioè quello fra la singolarità di presentazione delle tre scene che è analoga, altrettanto forte, nei tre casi. ( ... ) Aggiungo ancora, prima di lasciare fa componente A, che è però come se questa sconnessione (fra A B C) fosse così completa soltanto dove A per così dire è allo stato puro: ossia consiste in una scoperta visiva clandestina di atti sessuali fisicamente còncreti. Se passo ali'elemento B mi trovo subito di fronte a qualcosa di ancora più importante nel mondo di Proust: la dissociazione tra sapere e vedere non è una forma ma la forma stessa della presentazione proustiana del mondo: in opposizione a quel postulato del realismo ottocentesco, naturalismo incluso, che - non solo nelle descrizioni ma nella gestione del racconto - potremmo chiamare un vedere sapendo e viceversa. Tale postulato è sciolto in Proust: - dalle presentazioni prospettiche nell'immediato del racconto ( ... ), - dalla teorizzazione esplicita della percezione autentica come percezione d'altro ( ... ), - dalla poetica della metafora che ne consegue ( ... ), - dalla esemplificazione immaginaria di tale poetica nella pittura di Elstir (... ), - dal/'accostamento di caratteristiche rispettive della scrittura di Dostoevskij e di Mme de Sévigné (... ), - da un fenomeno come la metamorfosi, indistinguibilmente contenuto e forma del testo proustiano, ne~'esatta misura in cui la metamorfosi non è reale e imprevedibile mutamento di persone e situazioni in diacronia, ma è processo soggettivo di conoscenza ritardata, sfasata, rettificata, e presuppone quindi compresenza iniziale di illusione e realtà in sincronia ( ... ); si può dire che anche nell'estasi metacronica c'è un sentire-vedere anteriore al sapere e nella tematica dei Nomi, della credenza 'realistica' in essi, c'è al contrario come un sapere (positivo-illusorio) prima di vedere (demistificazione-delusione). Osserviamo di nuovo che la nostra componente B compare sconnessa dalla A, perché tale 'forma' ha in larghissima misura, e sempre nei casi esemplari, altri contenuti che non sessuali-perversi; e dalla C, perché anche la reazione affettiva non risulta né necessariamente né esemplarmente pertinente - pur con una euforia da scoperta del mondo e liberazione dei sensi, in cui parrebbe rovesciarsi il trauma di una scoperta originaria. Chiudo rapidamente con la componente C richiamando le pagine di Gaetan Picon che ha lucidamente visto questa ambivalenza affettiva e ne ha visto anche i due poli, l'Abitudine e l'Ignoto. Poli opposti e ambivalenti anche e soprattutto nella misura in cui di Abitudine ce n'è due, una col segno + e una col segno - e, in modo leggerissimamente diverso, la stessa cosa potrebbe essere detta dell'ignoto. Se formalizziamo ulteriormente, più semplic_t;,_mente coerente con l'ipotesi di scena originaria sarebbe, facendo corrispondere la prima a un sapere e il secondo a un vedere senza sapere, il parlare di Abitudine (positiva) come sicurezza, di Ignoto (negativo) come angoscia, il che è documentabilissimo, ma il problema è molto più complicato per il fatto che entrambi i poli sono reversibili e l'Abitudine con segno + fa presto a ritorcersi in Abitudine con segno - che potremmo chiamare come indifferenza, e l'Ignoto con segno - fa presto ad esaltarsi nel suo opposto cioè Ignoto col segno +, come fascino. Si potrebbe dire che tutta la vita affettiva della Recherche, del Narratore, ma anche di tutti gli altri che vi sono raffigurati, è un perpetuo circolare in un labirinto perfettamente chiuso di questi quattro poli. ( ... ) -- C'è un solo caso nel mondo proustiano in cui la cattiva distribuzione fra segni + e -, tra Abitudine e Ignoto, può essere superata perché i due segni - sono aboliti (angoscia e indifferenza sono abolite), fascino e sicurezza sono conciliati, ed è naturalmente l'estasi metacronica. Qui angoscia e indifferenza scompaiono insieme, fascino e sicurez~ za si affermano insieme. Come può soltanto in questo caso il fascino dell'Ignoto conciliarsi con la sicurezza dell'Abitudine? Semplicemente perché l'Ignoto è anteriore, quindi non è un vero ignoto, sorge da dentro anziché da fuori, dall'interno profondo della memoria anziché dall'esterno sempre potenzialmente traumatico in Proust, in questo caso quindi l'Ignoto non è altro se non il volto eternamente promettente della certezza di un da sempre noto. Giovanni Raboni Tradurre, Proust Da alcuni anni sto traducendo Proust. Questo vuol dire, innanzitutto, e nel senso più materiale del termine, che lo sto leggendo. Tutte le letture - complete o parziali, rettilinee o trasversali - che ho fatto della Recherche prima di questa lettura lentissima, costellata da una quantità di piccoli gesti o eventi fisici ( ... ), tutte le letture anteriori a questa lettura sui generis mi sembrano, a pensarci, stranamente limpide e astratte e, per così dire, troppo perfette; prive di stupore, di contraddizioni: di fisicità, appunto.
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