Alfabeta - anno VII - n. 72 - maggio 1985

moderno 'moderno' ha comunque il suo atto di nascita con Condor-' cet e Kant. 2. Ora, di questa eredità vi sono due visioni nettamente contrapposte, appunto quella francese e quella tedesca. I primi giudicano i secondi fautori di una conservazione puramente nominalistica degli ideali dell'Illuminismo, e vedono nella modernità un evento che deve mettere in discussione, alla luce dell'attualità, tutti i propri presupposti, compreso il mito fondatore, l'Illuminismo e i suoi ideali (progresso, emancipazione sociale come compimento degli ideali della borghesia, ecc.). È la posizione di Foucault che, con una allusione che sicuramente comprende anche Habermas (verso le cui tesi, peraltro, aveva dimostrato ultimamente una notevole simpatia), scrive: «Ci sono dei pensatori che vogliono oggi conservare viva e intatta l'eredità dell'illuminismo. Lasciamoli alla loro devozione: essa è la più bella forma di tradimentò. Non si tratta oggi di custodire le ·spoglie dell'illuminismo, si tratta piuttosto di tener viva come interrogazione e come oggetto teoretico la domanda sull'evento e sul suo senso» ( Centauro, p. 235). 3. La posizione di Habermas, che nel ben noto intervento sul postmoderno pubblicato su Alfabeta non esitava a qualificare Foucault e Derrida, messi insieme a Bataille, come esponenti di un «giovane conservatorismo», consiste piuttosto nel conservare il progetto ·dell'Illuminismo non solo come domanda etica e come tema teoretico, ma anche come precisa determinazione storica: se non si tengono vivi quelli che erano anche i presupposti storico-politici dell'Illuminismo nascente, ci si pone già nei fatti fuori della sfera del moderno, e,. poiché nulla esiste al di là del moderno, si scivola ipso facto nel conservatorismo. Si noti che neppure Horkheimer e Adorno escono indenni dalla requisitoria di Habermas, il quale nelle Lectures on the Discourse of Modernity tenute al Collège de France nel marzo 1983 (cioè circa vent'anni dopo le conferenze tenute nello stesso luogo da Adorno, e da cui sarebbe in gran parte -uscita la Dialettica negativa) rimprovera ai suoi predecessori la pratica di una «negazione ad hoc determinata» - che non risparmiava cioè i presupposti storici dell'Illuminismo. Nel caso di Foucault, paradossalmente, il giudizio è meno severo. In sostanza, Habermas vede nel suo lavoro una feconda contraddizione tra il problema della verità e il problema del potere, il che sottrae - almeno in questo ultimo testo - la microfisica del potere al campo del giovane conservatorismo e delle filosofie della vita a cui pareva elettivamente destinata. Meglio per Foucault, perché è stata proprio quest'ultima contraddizione a salvarlo, garantendogli una sorta di estrema unzione del moderno. Scrive infatti Habermas: «è stata proprio la forza di questa contraddizione a recuperare Foucault - in questo suo ultimo testo - a quel circuito di discorso del Moderno che egli pure voleva infrangere» (Centauro, p. 242). Per quanto possa far sorridere, questa remissione in extremis dei peccati antimoderni è del tutto coerente con la posizione di Habermas. Proprio per questo, il dibattito abbozzato e aperto da questi due scritti merita di essere proseguito per una definizione filosofica del moderno. Il Centauro n. 11-12 maggio - dicembre 1984 pp. 280, lire 22.000 Per chi scrive Leopardi Giorgio Ficara Per chi si scrive? Chi e perché legge un libro? Cosa cambia questo libro nella vita di un lettore o addirittura nella storia di più lettori? Di certo lo sa Harold Robbins, che nel métro di New York vede due ragazzine rubarsi di mano Goodbye lanette, e lo sanno Bevilacqua e De Crescenzo: si scrive per il maggior numero possibile di persone, a tutti i costi, finché il trucco funziona. Non lo sanno invece, o lo sanno molto im~erfettamente, i veri scrittori, per i quali queste domande esprimono un dubbio radicale, o un movimento radicale della stessa scritt4ra letteraria. Non lo sanno, propriamente, i sociologi della letteratura che, anzi, nella loro ricerca rimettono continuamente in gioco queste domande e che, dopotutto, non hanno ancora scritto quella storia letteraria del lettore che aùspicava Weinrich. Il problema del pubblico a cui lo scrittore si rivolge - il destino sociale dell'opera letteraria 1- dalle sue fondazioni marxiste a Gramsci alla sociologia della conoscenza, è rimasto un problema molto aperto: si dà il caso di scrittori, come Coleridge, per cui è l'opera stessa a creare il pubblico, non il ·pubblico ad accogliere un'opera; altri, • come Tolstoj, che tradiscono la propria classe; altri, come Leopardi, che non saprebbero a quale classe (di lettori) rivolgersi. In questa prospettiva, alla «solitudine» sociale di Leopardi, Mario Ricciardi dedica un saggip molto efficace e lucido: dal ruolo intellettuale «attivo e positivo», raccordo fra passato eroico e presente vuoto, ipotizzato nella çanzone Ad Angelo Mai, alla «dich_iarazione della soggettività estrema» e al dubbio etico radicale del Bruto minore, alla solitudine del soggetto sentimentale nell'Ultimo canto di Saffo, il critico descrive il clima particolare, il tono partic9lare di «tragedia dell'ascolto» presente nell'opera leopardiana. Un soggetto che sempr~ di più giganteggia su una scena deserta e si volge a un pubblico assente: un po' l'aveva già detto De Sanctis. Ma Ricciardi insiste specialmente sulle ragioni culturali e sulle implicazioni «moderne» di questa solitudine: le opere inospitali disarmoniche solitarie, caratteristiche della modernità e contrastanti l'infamia di ciò che esiste - di cui parlerà Horkheimer -, sono prefigurate da questa vertigine della soggettività di Leopardi, da un'opera di cui non si può, in nessun modo, predicare un pubblico, né una legittimazione sociale. D'altra parte, come Bruto, anche «noi moderni che ereditiamo la laicità conquistata dagli antichi - scrive Ricciardi - non possiamo più accettare( ... ) legalità ingenue e semplici; non possiamo fare altro che rivolgere il centro dell'attenzione a noi stessi: l'individuo è specchio di se stesso, fonte di sé e del pensiero su di sé». Mario Ricciardi Giacomo Leopardi. La logica dei «Canti» Milano, Angeli, 1985 pp. 136, lire 14.000 Una finestra sul reale Gianna Sarra Un'insolita antologia poetica è nata dal lavoro condotto per cinque anni (1979-1984) all'interno dell'Ospedale psichiatrico S. Maria della Pietà di Roma da un'équipe composta da operatori della cooperativa Il punto, assistenti sociali e medici. A monte di tutto questo c'è un Centro sociale (leggi: volontariato) dentro il quale si formò poi, quasi spontaneamente, un «Laboratorio di scrittura». L'iniziativa ha camminato al limite dell'intervento dell'istituzione, instaurando all'inizio rapporti con i giovani intellettuali e scrittori del gruppo Valore d'uso, proponendo letture alle radio private, negli anni '79-80, quando ancora le radio avevano un loro peso, pubblicando anche un numero unico della rivista La tartana degli influssi con Roberto Roversi a Bologna, nel1'81. Ed ora, ecco il libro, curato in tutte le sue parti (illustrazioni, brevi biografie e testi poetici) dagli autori stessi, i ricoverati. «È difficile immaginare un altro posto al mondo dove la poesia abbia maggiori difficoltà a fiorire che tra le mura di un ospedale psichiatrico» avverte nella prefazione Alberto Paolini. Difficoltà non soggettive, certo, dato che è appena verso la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta che cominciò a aprirsi uno spiraglio fra le griglie dell'istituzione e giovani volontari (per lo più studenti di psicologia e maestri per analfabeti) cominciarono a frequentare i reparti. Subito affluirono rivoli di comunicazioni scritte, pezzetti di carta gualciti, pacchetti di sigarette e margini di giornali scarabocchiati. «Era ancora vivo - scrive Paolini - il ricordo di un tempo in cui, tra le altre forme di espropriazione, negli ospedali psichiatrici si subiva anche questa: la scrittura spontanea era considerata fra i comportamenti più trasgressivi, e pertanto fra i più perseguiti. Il regolamento manicomiale prevedeva, infatti, che al degente che desiderasse scrivere ai suoi familiari venisse consegnato, nel giorno stabilito, una penna e un foglio che egli doveva restituire di lì a poco all'infermiere di servizio, che, a sua volta, consegnava lo scritto al primario o a un suo collaboratore, il quale decideva ciò che poteva essere inoltrato e cestinava tutto ciò che non considerava opportuno. Al di fuori di tale circostanza, ogni altro scritto era considerato con sospetto e spesso sequestrato». Si concepisce allora come, per questi ricoverati, la possibilità di riappropriarsi della scrittura abbia coinciso, o sia stata vissuta, come riconquista di un'identità. Non si tratta di pensare alla creazione poetica come a qualcosa di 'terapeutico', perché, come ha ricordato nella presentazione Tommaso Lo Savio, responsabile del Dipartimento di salute mentale RM 19 (che sarebbe l'alternativa al S. Maria della Pietà) «/' arte ·non cura»; si tratta piuttosto di pensare che, per questi uomini, la poesia rappresenti un tentativo di ripresa di contatti con la realtà (e non uno spazio 'di fantasia', come si pensa comunemente). Se di 'cura' si può parlare, sarebbe solo nella misura di quello specifico sollievo che la poesia può dare, quando aiuta a trovare i nomi alle cose («le parole per dirlo», che cos'altro è la psica1• ·?) na 1s1. . D'altra parte, non sembra nemmeno possibile porsi di fronte a questo libro «come di fronte a qualsiasi altro libro di poesia» (Biancamaria Frabotta); nonostante il garbo e il profondo rispetto da cui può nascere un atteggiamento del genere, se è anche vero che il lavoro poetico consiste nel portare alla luce e rendere vivibili, nella bellezza, frammenti dell'inconscio («ciò che è oscuro al poeta stesso») bisogna pure che tale lavoro, per dirsi poetico, sia compiuto: non basta, cioè, 'aprire una finestra sull'inconscio' - come del resto umilmente riconosce uno degl'improvvisati poeti: «Ho provato a scrivere qualche poesi'a, mi è riCfr. Schede masto assai difficile compilarle. È come la vena di un pozzo se è breve finisce presto inoltre bisogna distinguere l'acqua potabile e non potabile» (Ennio Fratini). Quanto allo specifico linguaggio di questi autori, ci si presenta spesso come un 'falso movimento' per superare l'afasia, con la ripetizione di filastrocche dialettali, blandi farneticamenti autistici, impossibili ninne-nanne miste a imprecazioni, anatemi e bestemmie, solitari vagheggiamenti erotici, con intarsi di reperti archeologici da scuola dell'obbligo, paragonabili a quelle impronte ustionate su legni di leggii o mura di conventi, impresse - si dice - da anime del Purgatorio: come gl'inquietanti crittogrammi che Giacomo Verrecchia intitola Formula 3, 5, 6 e firma «Lucifero», «Salabrace», «Oh Belzebù» (ciò che Alda Merini definiva «le nenie del martirio» e qui Nicola Fanizzi lucidamente chiama «inquieti vagiti onirici»). Anche se molto materiale prezioso viene così salvato e se tutto questo apre una breccia di solidarietà nella comunicazione fra viventi: non vi racconto la mia vita, scrive la giovane Anneliese Baader, negando un'autobiografia e insieme concedendola «perché sarebbe come mettere un uccello morto nella gabbia del suo compagno vivo. Egli ne soffrirebbe atrocemente. Non vi pare?». Non v'è dubbio però che la poesia, quando c'è, affiora anche da «Una poesia scritta per forza» («Oggi ho la testa vuota, / non so cosa pensare/ anzi, non mi va di pensare / sarà per un altro giorno», Mara Goffredo) o da «Un pensiero» anonimo («Parte del mio cuore stanco / riposa / in un lento volo di rondini») o da una minima descrizione («Non essere triste come un albero/ non piangere dopo che la pioggia / ha smesso», Michele Ditto) o da una semplice, e geniale, definizione («Là fuori dilaga la vita: / canzoni e devastazioni...», Gualtiero della Torre). Si può concludere riprendendo le appassionate considerazioni critiche di un altro autore, Pasquale Viola, sull'intrigato rapporto tra «poesia e follia: due condizioni che comunicano per canali segreti... È per questa qualità di dire l'indicibile della poesia e per l'oscurità sociale della follia che parliamo di vicinanza... ma il linguaggio della follia può farsi poesia e la poesia può assumere la follia? Il folle ha dalla sua la possibilità di dire ciò che agli altri è vietato, la follia non ha padri ed è questa condizione tra tortura e selva, questa libertà di gridare il proprio dolore senza però scioglierlo, che più da vicino riguarda la poesia». Una finestra sul reale Cooperativa ed. Il Manifesto 1980-1985 Cesare Musatti I girasoli Roma, Editori Riuniti, 1985 Arrigo Lucchin La tana degli specchi Roma, Boria, 1984 Alda Merini La Terra Santa Milano, Scheiwiller, 1984 ■Novità Marsilio ,L Maturana - Varela AUTOPOIESI E COGNIZIONE Una spiegazione del vivente e dei fenomeni biologici della conoscenza. «Se dobbiamo comp·rendereun mondo più nuovo e tuttora in via di evoluzione, se dobbiamo educare la gente a vivere in quel mondo, allora la conoscenza deve essere riscritta. L'autopoiesi appartiene alla nuova biblioteca» (Sta/fard Beer) pp. 208 L. 20.000 • Neri Pozza PERSONAGGI E INTERPRETI Uno scrittore di fronte ai protagonisti dell'arte del '900: il racconto della loro umanità pp. 232 con 18 ili., L. 15.000 ~ Giuliano Gresleri LE CORBUSIER VIAGGIO IN ORIENTE La scoperta di Le Corbusier fotografo e scrittore seconda edizione pp. 400 con 600 ili., rilegato, L. 90.000 Jean-François Bergier • UNA STORIA DEL SALE Protagonista nel passato come il petrolio nel presente: una storia della nostra civiltà pp. 240 con 220 ili., rilegato, L. 70.000 Gianfranco Bettetini L'OCCHIO IN VENDITA « Verità» e persuasione nella comunicazione audiovisiva pp. 138. L. 14.000 Michael F. Robinson L'OPERA NAPOLETANA a cura di G. Morelli Storia e geografiadi un 'idea musicale settecentesca pp. 320, L. 30.000 SARIN/TELEMATICA Mercier - Plassard Seardigli LA SOCIETÀ DIGITALE Le nuove tecnologie nella vita quotidiana pp. 116, L. 24.000 Lenzini - Boreggi RETI PER DATI Le reti pubbliche e la trasmissione dei dati pp. 272 con 237 ili.. L. 50.000 ~ Silvio Trentin OPERE SCELTE 1. Dallo statuto albertino al regime fascista a cura di A. Pizzorusso pp. 452, rilegato, L. 50.000 2. Politica e amministrazione Scritti e discorsi 1919-1926' a cura di M. Guerrato pp. 480, rilegato. L. 50.000 3. Antifascismoe rivoluzione Scritti e discorsi 1927-1944 a cura di G. Paladini pp. 586, rilegato, L. 68.000

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