Alfabeta - anno VII - n. 71 - aprile 1985

ADELPHI MILAN KUNDERA L'insostenibile leggerezza dell'essere «Fabula», pp. 320, L. 20.000 Il Libro dei Salmi Versione e commento di Guido Ceronetti « Biblioteca Adelphl », pp. 492, L. 28.000 ASVAGHO~A Nanda il Bello (Saundarananda-Mahakavya) A cura di Alessandro Passi « Biblioteca Adelphi », pp. 264, L. 18.000 RENÉ DAUMAL La Gran Bevuta «Biblioteca Adelphi », pp. 252, L.18.000 MASSIMO CACCIARI Icone della Legge «Saggi», pp. 340, L. 24.000 EMANUELE SEVERINO Il parricidio mancato «Saggi», pp.164, L.16.000 MEISTER ECKHART Sermoni tedeschi A cura di Marco Vannini «Piccola Biblioteca Adelphi », pp. 288, L. 13.000 JOSEPH ROTH Ebrei erranti «Piccola Biblioteca Adelphi », pp. 136, L. 8.000 EMILIO CECCHI Messico «Piccola Biblioteca Adelphi », pp. 200, L. 12.000 * * Ristampe: Ernst Bernhard MITOBIOGRAFIA Mario Brelich IL SACRO AMPLESSO Christopher Burney CELLA D'ISOLAMENTO Gerald Durrell LA MIA FAMIGLIA E ALTRI ANIMALI Ricardo G0iraldes DONSEGUNDOSOMBRA Jan Potocki MANOSCRITTO TROVATOA SARAGOZZA Leonora Christina Ulfeldt MEMORIE DALLA TORRE BLU William Carlos Williams NELLE VENE / DELL'AMERICA ~ .. I ADELPHI Gioco dell'intelligenza felicemente legato alla logica deduttiva, questa arte ingloba tuttavia, senza rinnegare la propria normativa ludica, un elemento d'impegno civile abilmente mimetizzato, ma decisivo. C'è alle spalle la grande tradizione illuministica francese, con quel tanto di seriamente giocoso che conosciamo, mentre rimane sullo sfondo il gusto dei sapienti meccanismi del giallo, compreso quello finemente psicologico alla Agata Cristhie, con la grande sorpresa finale che spiazza il lettore. Per Sciascia non si tratta di mettere in moto una serie di dubbi fittizi per ingannare e trascinare su false piste il lettore, ma di sollevare dubbi anche là dove non ne esistono, dove non sarebbe economico sollevarne. Il culto del dubbio è all'origine delle ultime pagine di Sciascia. Dubitare ovunque e sempre; non dar credito a nessuna tradizione, affermazione o «verità». Niente deve rimanere estraneo al filtro del dubbio, che tutto tocca e attraversa, autoalimentandosi e moltiplicandosi. La «verità» è una meta lontana, appena intravista, e non è detto che si potrà mai afferrarla veramente. E certo non sta allo scrittore dire l'ultima parola; suo compito è semmai agitare l'ultimo sospetto, quello che rimette in moto quanto sembrava faticosamente raggiunto. Il «giallo» diventa il cammino verso una metà irraggiungile; una lotta della ragione contro l'onnipresenza del dubbio. Il lettore è invitato a entrare in un labirinto, che lo attrae con tutti i suoi segnali. Sciascia ha attraversato, arricchendosene, il periodo neorealista, e si avvia verso un nuovo stile e un nuovo genere. Non più testi oggettivi di denuncia e di conocenza, ma testi di intrigo raziocinante, di introspezione inesausta e impietosa, da cui non discendano la sicurezza di una prova conclusiva, il taglio netto che concluda la tortuosità della ricerca. La struttura del «giallo» si adegua solo parzialmente a questa verticalità del narrare. Sciascia rinuncia alla pianificazione che preordina tutte le mosse fino all'effetto finale secondo quel movimento a climax su cui si regge la tradizionale dinamica dei «gialli». Forse solo Simenon, questo artista del disincanto e della dubbiosità metodica, può aver confortato la vocazione di Sciascia al dubbio persistente e all'inesauribilità della ricerca. Vien fatto di pensare che i principi su cui Maigret conduce le sue imprese, lucidissime e insieme improbabili, abbiano un particolare valore per Sciascia. Simenon gioca con le leggi stesse del «giallo», ne mette in discussione il motivo fondante della causalità, cosicché il rapporto fra apparenza e realtà ne esce stravolto, anzi capovolto. Certe massime di Maigret s'intonano a una sorta di relativismo filosofico, quasi fossero degli universali del dubbio gnoseologico. «Remarquez que nous ne faisons que chercher le sens de certains indices, ou plutòt que nous essayons d'accorder des indices contradictoires ... », così si esprime il commissario nel mezzo di una sua allucinante inchiesta, e arriva ad ammettere di non voler arrivare «in nessun luogo» perché per proseguire nel suo metodo di ricerca bisogna essere pronti - afferma• - «à changer cent fois d'- hypothèse s'il le faut ... ». Tale filosofia alla Maigret deve piacere molto allo Sciascia indagatore, allo Sciascia più borgesiano, che guarda con ostinazione investigativa il quadro mutevole e malcerto dei dati, su cui la sua curiosità deve lavorare per un esito incerto o equivoco. E la cosiddetta verità non può pretendere di apparire come il premio che corona naturalmente una ricerca, come vorrebbe l'ottica di molto pensiero progressivo. Sciascia, in questa lt&!ia idealistica e storicistica, ha trovato una sua posizione di antistoricismo intellettuale, interno al suo laicismo investigativo, alla sua incredulità dell'intelligenza, che vaglia tutti i «fatti», anche i meno fattuali, secondo il principio dell'individuazione singola, caso per caso. Perfino la teoria sartriana dell' «histoire truquée» si muove a un livello di universalità che non lo riguarda. Per lo scrittore, il coraggio dell'analisi storico-individuale non si fonda su nessuna esigenza di totalizzazione neppure negativa, insomma non si dà credito a nessuna filosofia della storia. Egli si nutre della «sapienza» siciliana, ma alla fonte di Pirandello o di De Roberto, non al 'fatalismo' di Tornasi di Lampedusa. Col passar degli anni la storia gli si è configurata sempre più come il regno dell'improbabile, dell'ingannevole, dell'oscuro. Ed è una storia strettamente legata alle vicende degli individui e cioè al gioco, mostruoso e gratuito, degli uomini che convivono non tanto con, ma sugli altri uomini. È un pessimismo sottile, tutto materiato di singoli, crudi accertamenti, che inchioda gli uomini alle loro responsabilità, alle loro passioni, alle loro follie, senza tuttavia che si arrivi al catastrofismo (o all'isterismo). Il motivo della follia, singola o istituzionalizzata, così tipico del pensiero siciliano, trova conforto naturalmente in Pirandello, ma assume una coloritura tutta sua, quasi una sua classicità, nella versione che Sciascia ne elabora alla luce di una «discrezione» e di una forma di autocontrollo che s'ispirano al Manzoni, anzi a un Manzoni particolare, per così dire laicizzato, ridotto al suo stringente sistema di raziocinante moralista e di storico inclemente delle debolezze dell'uomo. Una forma di mediazione Questa complessa arte indagatrice è l'influsso che deriva a Sciascia dal genere narrativo dei contes del Settecento francese. llluminare ogni angolo dei processi psichici, ogni ingarbugliato abito comportamentale è l'atteggiamento congeniale a uno scrittore che ha assimilato i procedimenti del gusto e della mente degli illuministi. Lo stesso tono divagante richiama il tono ludico, la serietà scherzosa con cui gli illuministi «giocavano» narrativamente sul terreno dell'indagine psicologica e sociale. Divagare o estravagare non vuol dire disperdersi nelle amenità di una giocosità che si bea di degustazioni intellettuali prive di autenticità conoscitiva. Sciascia non è diventato da scrittore realista scrittore di stravaganze «filosofiche». La sua dimensione del gioco intellettuale promana dalla gioia della mente che scruta e ricerca, e l'esercizio della scrittura, rifuggendo da ogni seriosità e pesantezza, esalta illuministicamente lavocazione al confronto e alla sfida in nome di un ideale di impegno demistificatorio. La piacevolezza del divagare è organica alla funzione della ricerca, fa parte del sistema di stimoli con cui si penetra al di là dei dati visibili e ufficiali. Il gioco della scrittura piana e incalzante risponde a un'esigenza non solo di degustazione, ma di distanziazione e di organizzazione della materia analizzata. Il procedimento narrativo invita a godere del sapiente disporsi dei segmenti narrativi in progressione, e lascia implicita la sottintesa serietà di chi si protende dolorosamente verso «verità» incerte e precarie. Questo è il piacer~ della scrittura di Sciascia, che si traduce in una esortazione, impli: cita e forse involontaria, a una difficile saggezza indagatoria da opporre all'incalzare di eventi oscuri e all'opaca resistenza del reale. Per quanto possa turbare, questo invito a una diffidenza continuata non vuol persuadere a un qualsivoglia agnosticismo e non vuol affiancarsi a nessuno dei tanti itinerari verso l'ignoto vagheggiati in questi ultimi anni dai cultori della crisi, dagli esaltatori del negativo assoluto, dell'impotenza dei metodi razionali. Senza pretesa di sistematicità, la meditazione di Sciascia punta a far buon uso (o ri-uso) di nuovi o dimenticati strumenti della ragione. È la cifra illuministica di una scelta complessiva che ha un valore metodologico e stilistico insieme. Dalla quale discende, fra le altre cose, anche l'abbandono delle forme tradizionali del racconto in favore di strumenti comunicativi sciolti e irregolari. L'indagine non è più affidata a generi specifici e convalidati; si tratta piuttosto di trattatelli scritti in forma di meditazione in margine a qualcosa, notizia o curiosità, oppure pagine di appunti e riflessioni apparentemente svagate o estemporanee. Viene meno il nesso causale e temporale del racconto vero e proprio e lo sostituisce una misura narrativa dì ponderata brevità. Sono narrazioni compendiose e quasi dissimulate, in cui il topos dell'intreccio esiste ma nella forma dell'intrigo, del cieco groviglio di dati incerti o deformati. La via narrativa che conduce al cuore dell'intrigo non è il lungo, ·tortuoso percorso che procede per tappe di avvicinamento; ma una sorta di intuizione, mai esplicitata né sorretta da prove inconfutabili, che illumina indirettamente, fra mille persistenti ombre, una inaspettata parte di verità. Lo scioglimento vero e proprio, la famosa scoperta del colpevole, la fine del mistero non si danno. L'enigma è destinato a rimanere, almeno per molti aspetti. Il lettore è messo sulla via del dubbio positivo, fuori dalle false indicazioni, nella possibilità d'intravedere un diverso orientamento delle motivazioni e dei fatti. Ma l'impresa rimane rischiosa e malcerta. La ragione serve da guida nel labirinto delle prove, vere e false; e tuttavia è uno strumento difficile e fragile, da usarsi con tutte le possibili cautele e secondo un complicato elenco di istruzioni per l'uso, di cui questo illuminismo strumentale si fa carico per finalità conoscitive non consolatorie né didattiche. Siamo, insomma, a una svolta nella storia della narrativa di Sciascia. Lo scrittore ha saputo adeguare il suo stile realistico e raziocinante alle modalità del pensiero e dell'arte di questi ultimi anni. Ha voluto, per così dire, «declassarsi» da narratore tradizionale a commentatore di vicende minute e insolite, la cui «verità», per essere scoperta, richiede insolite forme di scavo. Quello che va controllato è il cuore segreto di queste «verità» così come è sempre più necessario che l'intellettuale riscopra un suo mandato di verifica del sapere sociale. Invece del romanzo lineare che «dimostra», ricreativamente, la verità di un assunto, s'impo- • ne la narrazione-commento che rompe l'accerchiamento delle false verità che si insinuano o ci sovrastano. Lo strumento di penetrazione e demistificazione si affida all'incisività, leggerezza e forza persuasiva di una forma narrativa razionale e captante. È la rigenerazione di un genere minore e disusato, anzi la sua rivalutazione e rivitalizzazione dall'antico e dimenticato ambito illuministico. Insomma un tappa e un approdo che non possono essere sottovalutati. Certo non li sottovaluta lo scrittore quando esprime pubblicamente la gioia che gli provocano questi «piccoli libri», non senza una punta di orgoglio, che potrebbe nascondere il siciliano disappunto nei confronti della dilagante cultura «continentale». Nel rivendicare il «sottile divertimento» che presiede la stesura di tali opere, Sciascia sottolinea la particolare importanza che egli vi pone, nell'illusione - dice - di «credere di aver inventato un genere letterario», a cui dà il nome borgesiano di «inquisizione». Il tripudio dell'artista sottolinea il particolare significato che lo scrittore impone a questo tipo di scrittura estravagante. E in effetti, nelle vesti di apparente modestia e stranezza, matura un impegno così profondo e totalizzante, sia a livello formale che ideologico, da conformarsi comi! un assunto di assoluto esistenziale, per cui lo scrittore può affermare che per lui «lo scrivere sembra diventata pura, trasparente esistenza», comea dire: il nuovo impegno investigativo è un atto di scrittura che investe l'intera «profondità» dell'esistere e dell'esprimersi, il suo contatto più autentico col mistero dell'«altro». Cfr. Leonardo Sciascia Cronachette Palermo, Sellerio, 1985 pp. 87, lire 5.000 La sentenzamemorabile Palermo, Sellerio, 1982 pp. 62, lire 2.500 Il teatrodellamemoria Torino, Einaudi, 1981 pp. 77, lire 4.000 Introduzione a Alessandro Manzoni Storia della Colonna infame Palermo, Sellerio, 1981 pp. 196, lire 5.000

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