tanto sostenuto, costellando eventi ora fausti e ora meno; e si sarebbe rinfocolata ogni qualvolta l' Antico (così De Robertis usava chiamare Ungaretti) avrebbe pubblicato un nuovo libro, o De Robertis un suo saggio. Si fosse trattato dell'uscita di Il dç>lore o di Un grido e paesaggi, di La terra promessa o di Il taccuino del vecchio, o dei diversi libri ungarettiani di traduzioni o di prosa, in ogni caso il filo epistolare fra i due si sarebbe rifatto più teso. Col poeta che sembrava infine parlare solo per chi aveva saputo più di tutti cogliere così per tempo il segreto, il senso più proprio, simbolico e drammatico della sua poesia; e col critico che a ogni nuovo libro si rimetteva al lavoro, a capire di nuovo, aggiornando e modificando le sue carte, fedele a un metodo di lettura che era prima di tutto nella natura inimitabile del lettore e dell'uomo. Così fino alla vecchiaia di tutti e due: fraterna ma dignitosa anche nel declinare degli anni, nelle lunghe vicende accademiche che li avrebbero accomunati anche nel dopoguerra, rispettosa delle due diverse e spesso complementari nature, nell'affrontare gli eventi e persino i mali fisici, la stessa società letteraria che è quella che è. Con la gloria letteraria nazionale e infine anche internazionale per Ungaretti; col generale rispetto per De Robertis, ritenuto sempre più uno dei maestri e fondatori della nostra moderna critica. Con De Robertis che, ancora il 7 gennaio 1958, scriveva a Ungaretti a proposito di cinque cori inediti per La terra promessa, che gli aveva mandato da leggere: «... Questa è melica altissima, impregnata di poesia gnomica. La tua solitudine, la drammatica solitudine, è la tua musa da sempre; e vedi, neppure oggi, dopo tanti anni, non t'abbandona. Felice d'averti conosciuto, mio caro, e, anche: d'averti un poco compreso... ». E con Ungaretti che, all'ultimo articolo di De Robertis, avrebbe risposto il 1° gennaio 1961: «... Il tuo acume rimane un acume insuperabile, e una poesia ne è a illuminata. Sei il lettore che mi sono sempre augurato, perché sei più di un lettore, la tua critica ha gli accenti della poesia, gli alti accenti ... ». Un dialogo e una collaborazione in teoria illimitati, che sarebbero durati quanto le loro stesse vite. Che giustamente le superano oggi divenuti ormai parte delle nostre stesse vite di lettori e di studiosi, illuminandole fino a divenire per noi un esempio, e per tutti, una lezione comune. Appuntam~!•,cionDante . Jacqueline Risset Dante scrittore Milano, Mondadori, 1984 pp. XII-196, lire 20.000 Roberto Mercuri Semantica di Gerione Roma, Bulzoni, 1984 pp. 270, lire 20.000 Il piccolo Hans, n. 45 gennaio/marzo 1985 Nella selva con Dante Bari, Dedalo, 1985 pp. 208, lire 8.000 P ubblicato nel 1982 dalle parigine Éditions du Seuil (Dante écrivain ou l'intelletto d'amore), Dante scrittore, di Jacqueline Risset, viene presentato al lettore italiano con una breve «Premessa» dell'autrice, che non è solo una dichiarazione d'intenti, ma subito, agilmente, ci introduce nel vivo della sua lettura, e in quanto ha di personale nella smisurata bibliografia dantesca. Una lettura che, come il titolo stesso sottolinea, è volta particolarmente a interrogare Dante «come colui che meglio rappresenta( ... ) quella che è la più soggettiva e stupefacente fra le attività dell'uomo, l'invenzione artistica», per dirlo con le parole di Maria Corti nel più recente fascicolo della rivista Il piccolo Hans, sul quale ritorneremo. Scrittore, dunque, in quella totale e pur specifica accezione del tem~ine che permette, senza forzature, alla Risset, di accostare il sommo poeta •medievale italiano ai due autori che più forse sono •riassuntivi della letteratura del nostro secolo: Joyce («per il quale Dante fu modello costante, fino all'esplorazione del gioco 'fuori senso' di Finnegans Wake»); e Proust («per la nozione di un'opera circolare, che si autodesigna scrivendosi, e si compie con l'apertura della possibilità del suo stesso inizio»). Ma la· Risset non indugia su tali indicazioni, s~ non forse per sottolineare, acutamente, la perennità della «invenzione» - o della ricerca, o dello «sperimentare» (è il titolo del terzo capitolo della prima parte del suo libro). Si guarda bene dalla tentazione di un'ulteriore ·-· -e quante volte accademica! - comparazione o indagine sulle fonti:·Dante e... X; Dante e ... Y. Si avvale, semmai, del privilegio che Gianfranco Contini attribuisce - e proprio scrivendo, nel 1956, sul primo volume dei Dante Studies di Charles S. Singleton -, rispetto al filologo, al critico, che «in quanto tale attira alla sua modernità, con perenne e costitutivo anacronismo». Rimette cioè al centro, senza nulla togliere alle sottili e spesso illuminanti ricerche figurali, analogiche, culturali, o addirittura storico-sociali, il gusto, la «vibrazione», per cui «leggere Dante vuol dire toccare nella nostra esperienza il punto germinativo a partire dal quale il pensiero prende forma, si manifesta, si accende. E vuol dire, nello stesso tempo - fuori dalle tradizioni letterarie di proiezione e di fagocitazione - apprendere un'altra voce, lontana e tuttavia rivolta a noi». Seguendo, a partire dalla Vita Nuova, la «traiettoria» della volontà di Dante, e della sua tensione, la Risset traccia - o individuai percorsi resi complessi dai rimandi, dagli echi, da tutto un retrofondo culturale cristiano, ebraico, classico, ma anche qua e là toccato dalle venature del pensiero arabo, verso ciò che ella, riprendendo Wittgenstein, definisce come il risultato di una scommessa per cui si affermi «la possibilità che la creazione sia innanzitutto creazione di un linguaggio che dice l'impossibile». Un paradosso? forse: ma non più di quello con cui Dante - ricorda l'autrice - definisce la geometria nel Convivio: tra «'I punto e lo cerchio sì come tra principio e fine si muove la Geometria, equesti due a la sua certezza ripugnano; ché lo punto per la sua indivisibilitade è immensurabile, e. lo cerchio per lo suo è impossibile a quadrare perfettamente, e però impossibile a mesurare a punto» ... Ma non è questo che rende la Geometria, come la Letteratura, infinita? · A differenza della Risset, Roberto Mercuri, nel suo Semantica di Gerione. Il motivo del viaggio nella «Commedia» di Dante, muove da un luogo specifico del poema: l'ultima parte del canto XVII dell'Inferno, ove viene descritto il percorso tra il settimo e l'ottavo cerchio, dalla bolgia degli usurai a quella dei ruffiani e seduttori, compiuta, appunto, sul dorso del mostro alato Gerione, da Dante e Virgilio. Dante riprende la figura dalla tradizione classica, da Virgilio,. Ovidio, Plinio, Seneca, dalla Bibbia (la locusta), dai bestiari medievali, ma dandole una connotazione specifica: non più «tricorporeo, ma con parti di tre diverse nature (uomo, serpe, scorpione) nell'unico corpo», come precisa il commento di Scartazzini-Vandelli. Si tratta di un passo molto discusso dagli interpreti, soprattutto in merito al significato da dare alla «corda» da cui Dante appare cinto e che, su invito di Virgilio, scioglie perché venga lanciata in direzione del mostro per trarlo a compiere la sua funzione di veicolo alato in favore dei due visitatori degli Inferi. Mercuri, con abbondanza e precisione di riferimenti, sottolinea il senso simbolico della «corda» contrapponendola, tra l'altro, a Paradiso XXVI, vv. 49-50 («Ma dì ancor se tu senti altre corde I tirarti verso lui [Dio]») sì da concludere: «Il segno della corda correla Inf XVII e Par XXVI: le corde che tirano Dante verso Dio e verso l' 'amor diritto' costituiscono un evidente contrappunto alla corda di cui Dante si libera nell'incontro con Gerione, che è la corda che trascina l'uomo verso l' 'amor torto'». Ma la semantica di «corda» sollecita l'autore a un documentato riferimento alla nave, al «pelago» e quindi al «viaggio», «come scelta fra male e bene, fra una rotta che porta a un tumultuoso naufragio e una rotta che conduce alla quiete del porto». Da qui la centralità, in questo saggio, del tema, appunto, del «viaggio»: una lettura certo non nuova, e sulla quale si è particolarmente soffermato - come Mercuri sottolinea - tra gli altri Ch. Singleton. A differenza dello studioso americano egli tuttavia sostiene e argomenta che il momento cruciale della «conversione» di Dante è da ritrovarsi proprio nell'episodio di Gerione «nel momento in cui Dante sta per accedere a Malebolge, nel cuore dell'inferno», e ciò per motivi sia strutturali, sia più specificamente semantici: una via, quest'ultima, che Mercuri privilegia, pur ribadendo - con acribia critica - che «una proposta di lettura della Commedia non può essere ancorata rigidamente a un metodo, ma può attuarsi solo entro un'ottica di integrazione e inte- ~razione di diversi e vari approcci metodici». Per Mercuri, il percorso semiologico, dal testo alla cultura dell'autore, e da questa al testo, offre non solo un ausilio indispensabile all'ermeneutica ma consente, proprio attraverso la individuazione di quanto è tratto dalla tradizione e di quanto invece se ne distacca, o addirittura la contraddice con uno «scarto» specifico, di meglio cogliere la produzione di senso propria di ogni testo maggiore: in questo caso, la Commedia. lf efficacia di questa pluralità di approcci si palesa nel denso dettato che il trimestrale Il pictolo Hans ha dedicato a Dante nel primo numero (gen: naio/marzo) della sua dodicesima annata, con il titolo generale di Nella selva cdn Dante. Il fascicolo si apre con un ampio saggio della psicoanalista Virginia Finzi Ghisi, «Dante, e il ritrovamento dello specchio nel luogo della fobia». È stato osservato (tra l'altro anche in una nota del libro della Risset) come quasi inesistenti iano, nell'opera di Freud, i riferimenti a Dante, a differenza, ad esempio, di quelli a Shakespeare o a Goethe. Ma lo scritto di V. Finzi Ghisi è semmai una convalida della eccezionale strumentazione che il lavoro di Freud, quando sia inteso non scolasticamente, ma creativamente, per portarlo oltre sulla base della clinica e della riflessione teorica, possa offrire per illuminare di riferimenti del tutto nuovi anche un testo, come la Commedia, studiatissimo. Della fobia Freud si era occupato nell'Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans), pur senza riconoscervi una funzione nodale; né il tema era stato particolarmente frequentato, successivamente, dagli psicoanalisti, specie nel suo risvolto teorico. Momento originario del percorso compiuto qui entro la Commedia è invece l'individuazione - già elaborata in altri saggi e testi - da parte di V. Pinzi Ghisi e di Sergio Finzi, di un «luogo della fobia», visto come «luogo di scelta di una nevrosi, come passaggio e impasse alla perversione; infine come spazio mancato, rispetto alla psicosi. Il 'luogo della fobia' nella formazione del pensiero, la sua funzione nella teoria psicoaqalitica, il suo rapporto a Il 'espressione artistica». Qui, con Dante, «della struttura ~obica - leggiamo - abbiamo finora ravvisato l'apparizione degli animali, il motivo dell'attraversamento, l'affacciarsi ripetuto dell'angoscia. Poi c'è stato il venir meno, il mancamento di fronte all'apparizione nel reale di una fantasia incestuosa, l'incontro di una coppia che si presenta incastrata in un tutto unico ... ». Ed ecco, a questi puntuali riscontri (la lonza, la lupa, il leone, il «doppio cono» dell'imbuto dell'inferno e dell'aprirsi verso l'alto del purgatorio, l'angoscia «de le genti» e dello stesso poeta, Paolo e Francesca, la coppia Catone/Marzia ... ) aggiungersi le trame dei sogni di Dante, e l'affacciarsi in essi del pensiero: tutti passi che portano a ritrovarsi nel luogo della f9bia, che viene di'svelato: un luogo la cui rappresentazione - sottolinea V. Finzi Ghisi - «sembra indispensabile alla psiche umana». Ed è a questo punto, in cui con Dante veniamo a ritrovarci anche noi, che una lettura dell'Inferno, del Purgatorio, del Paradiso, ci appare in una prospettiva completamente nuova. Sino alla immagine cruciale del Lete, il fiumicello che, già presente nell'Inferno, ritorna negli ultimi canti del Purgatorio a rappresentare una barriera (<,molle», come quella del Dazio nel caso del piccolo Hans, e di altri esempi che l'autrice trae dalla clinica), e insieme uno «specchio». («Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; I ma veggendomi in esso ... ») che ha «una funzione di allontanamento e di separazione». Al Lete si arresta il viaggio di Dante: il paradiso non sarà che una «vista». Così lo «stacco» tra le prime due cantiche - la seconda delle quali è un ripercorrimento, ma nella luce dell'alba, distanziato, della prima - e la terza, già immediatamente sensibile sul piano della lettura, trova il suo inveramento nei percorsi della psiche, mentre, nello studio della Finzi Ghisi, si prospetta un'altra tematica di ampia portata: il nesso tra ebraismo e cristianesimo, e la loro differenziazione. Se il saggio di V. Finzi Ghisi attraversa, per cosl dire, la Commedia per evidenziarvi, lungo il rapporto che il suo autore intrattiene con il sapere, la storia stessa del costituirsi del soggetto, gli scritti di Maria Corti («Dante e il potere dell'analogia•») e di Italo Viola («Preliminare ('umbrifero') ai simboli della Commedia») si immettono entro il tessuto culturale del tempo di Dante per sottolineare lo «sperimentalismo» ideale e linguistico del poeta, il primo; «una lettura dei simboli della Commedia attenta al vario comporsi in ogni punto degli elementi sensibili, dei sentimenti e dei pen· sieri, disposta ad accogliere di volta in volta i significati che - in una coerenza multiforme e pur tenace - si richiamano e assommano, e sviluppata lungo la 'progressiva rappresentazione'», il secondo. Concretezza, specificità, del simbolo dantesco - e sua netta differenziazione dalla allegoria, crocee delizia di tanti «dantisti».. E ancora: Paolo Bollini concentra la sua attenzione sulla figura dell'iperbato in Dante; Roberto Mercuri esamina la sinestesia fioco/silenzio (appartenente il primo termine alla sfera visiva, il secondo a quella auditiva) nel suo tragitto tra Vita Nuova e Commedia; Antonio Prete percorre parallelamente gli inferi di Dante e quelli di Baudelaire; Roberto Roversi muove dal De monarchia per una disamina di temi politici anche contemporanei; Gabriele Frascain un'area di riferimenti culturalie poetici rigorosi - riprende la lettura e l'interpretazione della sestina di Arnaut Daniel, il poeta provenzale del XXVI del Purgatorio. Percorsi che si intrecciano e si integrano: appuntamenti con Dante che, non tanto, banalmente, ne sottolineano la perenne «attualità», quanto, piuttosto, si inse- .,., riscono nella complessa area di meditazione - culturale, letteraria, teorica - entro cui, oggi, l'accentuarsi dell'interesse per Dante ci consente di avanzare una qualche ipotesi sui tempi che - anche noi - attraversiamo, sul nostro viaggio, ull'inferno e sul purgatorio che sono in noi, pellegrini d1 i: questo tardo Novecento.
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