N ella rivolta scoppiata nel carcere di Trani allafine del 1980 si volle subito vedere (come già indicava l'allargamento semantico in «fatti di Trani») qualcosa di più e di diverso da una rivolta carceraria: non la rivendicazione violenta di determinate istanze e tanto meno l'esplosione di forze represse, bensì un episodio culminante della lotta armata contro lo Stato. È precisamente questa la tesi accolta dai giudici nel processo svoltosi a· Trani nell'ottobre scorso; ed è su questa base che i partecipanti (o presunti tali) alla rivolta sono stati condannati a pene tanto sconcertanti quanto «esemplari». Quasi si trattasse, in fondo, di legittimare la convinzione che il terrorismo è stato vinto grazie al contributo decisivo dell'intervento militare (teste di cuoio, ecc.) e non attraverso un sia pur confuso ed equivoco (vedi pentitismo) processo di smantellamento ideologico. Terroristi da colpire ed espellere dal corpo sociale, insomma, terroristi «reietti». Che i giornali e la televisione non ne abbiano parlato o quasi, risponde probabilmente alla cattiva coscienza d'una tacita adesione generalizzata al giudizio espresso dal tribunale. Eppure gli obiettivi della rivolta, quali risultano dai documenti riportati negli atti processuali, erano limitati e difficilmente identificabili con un programma di eversione totale o, come si legge nella sentenza, di «eversione del- !' ordine costituzionale». Per esempio: «i rivoltosi passavano all'elencazione delle specifiche richieste (chiusura immediata dell'Asinara, non rinnovo del decreto sulle carceri speciali, modifica del regolamento carcerario, aumento della socialità interna, riduzione della carcerazione preventiva, non rinnovo del fermo di polizia, fine della 'tortura di Stato' nelle carceri e nelle caserme, libertà provvisoria per il 'compagno FaiSullarivoltadiTrani na' gravemente ammalato, pubblicazione integrale del comunicato su alcuni quotidiani)». Vero è che negli stessi documenti si parla anche del progetto di «dialettizzare liberamente con le Brigate Rosse» e simili, ma io chiedo: è fondato riconoscere in questi relitti. d'un linguaggio che semmai rivela velleità e impotenza una reale intenzione rivoluzionaria, un effettivo progetto destabilizzante? e anche se fosse, è giusto trasformare le intenzioni in capi d'accusa? Si condanni pure chi già si trova in un vicolo cieco, ma lo si condanni per il delitto eventualmente commesso e non perché grida scompostamente la sua disperazione. Si dirà che non abbiamo diritto di giudicare i giudici; ma a parte il fatto che una sentenza che io trovo iniqua è stata pronunciata « a nome del popolo italiano» e quindi anche mio, questa in ogni caso è la verità da gridare dai tetti: il carcere di Trani si è rivelato una trappola mortale per quei detenuti che vi erano stati condotti a seguito d'un'imputazione di partecipazione a banda armata poi rivelatasi infondata. La presenza in quel carcere, magari per errore, gli è costata altri vent'anni di galera e anche molto di più: come uscire, infatti, da quel giro perverso? E dire che le testimonianze a carico, tutte inevitabilmente segnate dal clima di concitazione della rivolta, spesso sono labili («era tra i detenuti... che più si davano da fare andando avanti e indietro») e talvolta addirittura contraddittorie per le opposte dichiarazioni degli agenti di custodia; senza. contare che le stesse testimonianze sono talora «comprovate» da indizi come lo stare in cella con alSergio Givone cuni promotori della rivolta o come l'aver ricevuto da uno sconosciuto seghetti da ferro. Conosco uno dei condannati e lo so innocente, senza poterlo dimostrare. Se avesse qualcosa di cui pentirsi, la sua situazione sarebbe certamente meno difficile... Ma come chiedere comprensione e giustizia se vale solo la legge del rigetto de~'allontanatelo-da-me? Non a caso chi lo ha fatto, dopo essere stato bollato col marchio di terrorista una volta per tutte (vedi episodio Scalzane, vedi soprattutto la lettera, piena di dolore e verità, della madre di Scalzane a Pertini), si è sentito rispondere, per bocca di zelanti opinionisti: è «grottesco». Appello Pressoché nessun commento e nessuna reazione ha suscitato la sentenza emessa dalla Prima Sezione del Tribunale di Trani il 19 ottobre 1984 in merito alla rivolta scoppiata nel carcere di quella città il 28 dicembre 1980. A noi pare, invece, che quella sentenza imponga alcuni gravi interrogativi. Per 28 dei 25 rinviati a giudizio sono state comminate pene varianti dai 21 ai 18 anni e 8 mesi di carcere. Tra coloro colpiti con oltre 18 anni di carcere troviamo giovani che nessuno ha mai accusato di partecipazione ad organizzazioni terroristiche e che sono stati riconosciuti comunque estranei alla ideazione e direzione della rivolta. Alcuni di loro erano in procinto di uscire dal carcere dopo avervi scontato lunghi periodi di detenzione per precedenti reati. La gravità straordinaria delle pene loro inflitte non sembra tenere in nessun conto l'insieme di queste circostanze. Non sembra affatto, in generale, che i giudici di Trani abbiano tenuto nel debito conto le condizioni nelle quç1lidiversi degli imputati si trovarono al momento della rivolta. Tutti sanno, infatti, quale incontrastato controllo politico esercitassero in quegli anni le formazioni terroristiche nelle sezioni di massima sicurezza delle carceri italiane e, dunque, a quali rischi si sarebbe inevitabilmente esposto il detenuto che, nel corso di una rivolta, avesse assunto atteggiamenti di assoluto rifiuto di ogni forma, anche meramente «logistica», di coinvolgimento o, peggio, di fattiva opposizione. Singoli episodi di coinvolgimento nella «gestione» di aspetti settoriali della rivolta non comprovano assolutamente, ci pare, un reato di attiva organizzazione e partecipazione, tantomeno legittimano pene di tale entità. Che il nome di un imputato compaia nel «mansionario» redatto da uno dei capi della rivolta o sia stato visto girare con spranghe in mano, o altre «prove» di analoga entità, in assenza di qualsiasi riscontro in merito all'appartenenza dell'imputato ai gruppi che effettivamente promossero la rivolta, non ci pare colpa perseguibile con decenni di carcere. Gli stessi capi delle formazioni terroristiche promotrici della rivolta hanno scagionato quegli imputati che, fin dai primi interrogatori, hanno insistito sulla loro totale estraneità all'ideazione e organizzazione dell'azione incriminata, dicendo di non riconoscersi in nulla negli obiettivi delle organizzazioni che l'avevano promossa e nei comunicati emessi nel corso del suo svolgimento e immediatamente dopo. Va altresì ricordato che alcuni di questi imputati neppure comparivano nel famoso «mansionario». Ci pare insomma che esista un'obiettiva contraddizione tra le risultanze del processo e la durezza delle pene•inflitte. In un momento in cui, con fatica e doverosa gradualità, si tende a superare la cosiddetta legislazione di emergenza, una sentenza di questo tipo assume gravità politica difficilmente sottovalutabile. Essa, lungi dal rispondere a quella domanda di comprensione e speranza che da tante parti, e soprattutto dal carcere, si va formulando, sembra arroccarsi nella logica indiscriminata, muro contro muro, dei più bui degli «anni di piombo». lnvece di tentare il recupero alla dialettica democratica di quelle forze e quelle persone che, nel corso del passato decennio, ne hanno attentato le fondamenta, i giudici di Trani sembrano essersi mossi nella direzione esattamente opposta: respingere da tale dialettica anche quelli che mai hanno aderito alla logica del terrorismo, ma ne sono stati, per un periodo della loro vita, e proprio in quei carceri dove avrebbero dovuto essere «risocializzati», tragicamente e disperatamente coinvolti. Vittime due volte: prima della violenza, nel carcere, del terrorismo, poi delle leggi di emergenza dello Stato contro il terrorismo stesso. Norberto Bobbio, Roberto Salvadori, Luigi Nono, Emilio Vedova, Giorgio Agamben, Giacomo Marramao, Giuseppe Riconda, Gianni Vattimo, Franco Crespi, Claudio Vicentini, Diego Marconi, Sergio Quinzio, Roberto Salizzoni, Gianni Carchia, Massimo Cacciari, Sergio Givone, Ferruccio Masini, Sergio Moravia, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Mario Spinella, Francesco Leonetti, Gino Di Maggio, Pier Aldo Rovatti, Antonio Por~ ta, Gianni Sassi
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