bra buon gioco accostare l'opera di Jabès a que\\a di Heidegger, nel senso sopattutto che anche qui si ha a che fare con una Lichtung, con un «Jucus a non Jucendo», con una ascosità originaria che prende il nome di ferita, traccia, altrove. Una lettura di J'abès in chiave strettamente teorica è senz'altro più che legittima, ma rischia di essere riduttiva. In effetti leggo, a proposito di questo pozzo, di que- <;to abisso, che esso «è in terra ebrai1.-a>) P trovo, soprattutto, che «all'inizio era acqua pura e fresca». D'improvviso smarrisco il nascondimento, e le categorie filosofiche non mi bastano più; nessuna oscurità originaria, perché in origine era acqua trasparente. Occorre che qualcosa abbia prodotto l'intorbidamento dell'acqua, abbia dunque oscurato l'origine, abbia fatto di ogni origine una ferita abissale. Questo qualcosa si chiama Libro, storia, realtà, la scena di una frattura e di uno iatus, del farsi invisibile di Dio per la resa visibile dell'uomo, di chi dovrà raccontare = interrogare nel Libro questo inabissarsi di Dio. La domanda che l'uomo fa a Dio coincide con l'interruzione di Dio, con il silenzio mediante il quale Dio consegna all'uomo la domanda su Dio, la domanda sulla sua invisibilità. li deserto è il luogo di questa consegna, della separazione tra Dio e l'uomo, il punto in cui, come direbbe Foucault, «gli dei hanno distolto lo sguardo»; separazione inevitabile da cui nasce la parola, la scrittura, l'interrogazione. Ha scritto Derrida, nel saggio dedicato a Jabès in La scrittura e la differenza: «Se l'assenza è l'anima della interrogazione, se la separazione può sopraggiungere solo nella rottura di Dio - con Dio-, se la distanza infinita dall'Altro non è rispettata se non nella sabbia di un libro in cui l'erranza e il miraggio sono sempre possibili, allora il Livre des questions è nello stesso tempo il canto interminabile dell'assenza e un libro sul libro»'. 11 deserto, il Libro, il Libro del deserto, il deserto nel Libro; dal deserto al Libro è la storia di questa eclisse di Dio, di questo farsi libera della parola umana, libera ed esigente, libera e disperata. Ma la terra di questa domanda disperante, di questa interrogazione che si interroga, di questa parola di Dio che si è interrotta per divenire domanda sulla sua assenza, è terra ebraica, là dove il silenzio di Dio si è tramutato nel grido di quanti ne hanno fatto la prova in luoghi storicamente consegnati a un orrore che non si può non vedere, di cui è giocoforza parlare, in altri pozzi da dove per noi sorgono altre e inquietanti domande. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz, vorrei dire riprendendo il sottotitolo di un'opera di André Neher 2 • Il gesto di spezzare le tavole della Legge, da cui ha inizio il silenzio di Dio, prende corpo storicamente nell'erranza del popolo ebraico, in quel «pugno di sradicati», come diceva Simone Weil, che più di tutti sono costretti nella domanda. La «razza uscita dal libro», come la definisce Jabès, è il popolo dell'interrogazione, è l'interrogazione stessa. «Juive est la question», scrive Jabès in ~ .s Le Livre du Dialogue, ebraica è la ~ domanda che «s'érige dans la soli- ~ tude où nous laisse toute réponse» ~ °' (p. 68). ....... L'ebreo dunque, che ha dovuto ~ .._ disperare della salvezza, che ha §, dovuto, come ci insegna Elie Wie- ~ sel3, dubitare del suo Dio, è metafora di questa solitudine, è meta- ~ fora della scrittura e dello scritto- ~ -e ~ ~ re; è come ha scritto ancora Derrida, «un'allegoria sofferente». E l'ebreo è anche, come la scrittura, una question che si mette in questione, la prova della non-identità, • della differenza. Jabès ci racconta, in un libro-intervista che si intitola Dal deserto al libro, di aver preso coscienza di essere ebreo quando ha visto scritto, sui muri di Parigi, «Morte agli ebrei»; la prova di questa morte possibile, di questa possibilità dell'impossibile fonda tanto l'essere ebreo quanto l'essere scrittore, ed ebraismo e scrittura si misurano nella medesima distanza dall' Altro, nella medesima messa in atto di una lesione. Una «rottura», che, dice Jabès, «è nel cuore dei miei libri», «un'esplorazione del nulla attraverso il vocabolo»: Questa parola ossessionante, infinitamente aperta alla vertigine dell'interrogazione, parola proveniente da una piaga e alla piaga costantemente rivolta nel movimento della scrittura, è parola, parafrasando Jabès, che dà man forte all'abisso, che non lo dimentica ma anzi lo assume come fondamento della realtà e del linguaggio; parola ebraica, e dunque questione, voce che si interroga sul l'estrema modernità di Jabès e l'urgenza dei problemi che egli pone a chi si trova, parafrasando Lacan, nella condizione di abitare il linguaggio. Una dimora di r:,vine che implica-abitarvi come tracce di esilio e che richiede la responsabilità di trovare, nell'esilio, una dimora possibile. Simone Weil l'ha detto con lucida esattezza: «Assumere il senso di essere in patria mentre si è in esilio»'. E forse da tutto questo proviene la domanda che si è posto André Neher: «Come è possibile essere contemporaneamente in Esilio e nel Regno, vagabondo e insediato? Proprio questa contraddizione fa dell'ebreo un Ebreo» 5 . Q uesta contraddizione, questo restare tra dimora ed esilio, è la condizione specifica della modernità di cui l'ebraismo co tituisce, anche in Jabès, la tragica n1etafora. Ha scritto Maurice Blanchot, in L'infinito intrattenimento: «Se l'ebraismo deve avere per noi un senso, questo consisterà appunto nel mostrarci che in qualsiasi momento bisogna essere pronti a •-~Quadrimestrale del Centro di Ricerca sulla Tradizione Manoscritta di Autori Contemporanei. Universitàdi Pavia Nel quarto numero: Pietro Gibellini: D'Annunzio, Fedra, il mito Massimo Bonafin: La parodia, il dialogo, il motto di spirito Flavia Ravazzoli: Viaggi tangenziali e storie ribattute Pierantonio Frare: Testo e macrotesto nel «Nastro di Moebius» di Erba Guido Lucchini: L'atra riiera. Note sulla prosa dell'«Adalgisa» (II) In libreria a lire 8.000 Abbonamento per un anno (3 numeri) Lire 22.000 Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa Via Caposi le 2, 20137Milano Conto Corrente Postale 15431208 nulla e al tempo stesso lo interroga. «On n'interroge que le néant», ha scritto Jabès in Le Livre du Dialogue, e ha aggiunto: «La question est la plus longue mort: elle est la vie» (p. 65). Il libro delle domande è allora il libro della vita, della storia, del linguaggio, dei luoghi dove si sconta la morte, la sradicatezza, dove si fa l'esperienza, ontologica e linguistica, esistenziale e storica, del nulla e dell'Altro. È quasi superfluo sottolineare, a riguardo, mettersi in cammino»6 . Lo spazio precario della nostra epoca domanda appunto di imparare a vivere questa duplice condizione, di esilio e dimora, il distacco dalla casa nell'ininterrotto movimento di ritorno verso di essa. Ma come abitare questo spazio entro il quale, come ha scritto ancora Blanchot in L'écriture du désastre, il vicino è lontano? Come assumere questa patria esiliata se non in uno spasmodico atto d'amore, di pietà, quella stessa pietà che l'angelo di Benjamin prova davanti alle rovine della storia? Questo amore cresce nella solitudine e nella disperazione della coscienza esiliata, sia essa quella dell'ebreo o dello scrittore o di quanti sradicati, come ha detto Jabès, «potrebbero, a diverso titolo, pretendere questo appellativo di 'ebreo'». Il vocabolo che esplora il nulla e la parola che si interroga, pietosamente, sulla sradicatezza dell'uomo interrogando la debolezza di Dio. Occorre cogliere nel nulla, nella desolazione che spezza la pagina di Jabès, la costante presenza di un volto che si è ritirato, di una voce che si è interrotta: il volto, appunto, e la voce di Dio. Certo, il silenzio di Dio è nel grido disperato dell'uomo, e non ci sarebbe sradicatezza dell'uomo senza l'esilio di Dio: «Errante è la parola di Dio. Essa ha, per eco, la parola del popolo errante» (Il libro delle somiglianze, p. 93). La disperazione dell'uomo si specchia dunque in quella di Dio, in una reciproca somiglianza segnata dall'esilio e dalla morte: «Un lampo basta a sfigurare il cielo. Allora, l'infinito somiglia all'uomo ferito; come Dio ci assomiglia nel vuoto incurvato della nostra morte» (ivi, p. 87). Lo sguardo è il filtro speculare di questa somiglianza, lo «sguardo assente» di Dio attraverso il quale l'uomo contempla il nulla. Lo sguardo, la voce, il volto dell'uomo sono immagini della desolazione divina, tracce d'esilip che dicono l'esilio di Dio, sabbia di un deserto dove ogni granello è un segno del nulla. Ma si badi bene che il nulla in Jabès, per quanto affondi le proprie radici nella mistica, non solo ebraica, e per quanto lasci pensare a una sorta di ontologia e teologia negative, non è mai un nulla statico, metafisicamente separato dalla storia, dalla realtà e dal linguaggio. I «morsi celesti», quella disperazione di Dio che faceva dire a Nietzsche, in Aurora, che Egli più di tutti ha bisogno di essere consolato, sono il grido stesso dell'uomo che si leva dal sangue della storia, dalla violenza muta dove ogni parola precipita come un minuscolo corpo ferito, frammento di uno sconfinato deserto dove la polvere delle domande continua a crescere nella polverizzata e impossibile risposta di Dio. «L'Altro non risponde», ha scritto Blanchot quasi echeggiando Jabès. Bisogna comprendere questa reciproca debolezza, di Dio e dell'uomo, per comprendere la parola interrogante che passa dall'uno all'altro. Uno degli immaginari rabbini de Il libro delle interrogazioni lo dice con grande intensità: «La visione che ho di Dio è orribile; cieco, sordo, monco, senza gambe. Signore, vi somiglio nella mia impotenza a salvarVi» (p. 77). Qui è l'amore, la pietà di cui più sopra parlavo, e forse il silenzio di Auschwitz è proprio il luogo dove tutto viene meno, anche la fiducia nella salvezza, tutto all'infuori di una parola pietosa che ancora si interroga sul destino dell'uomo perché non cessa di interrogarsi su quello di Dio. Note (1) J. Derrida, Edmond Jabès e la interrogazione del libro, in La scrittura e la differenza, Torino, Einaudi, 1971, p. 86. (2) A. Neher, L'exil de la parole, Paris, Ed. du Seui!, 1970. (3) Cfr. E. Wiesel, La notte, Firenze, Giuntina, 1980. (4) S. Weil, L'ombra e la grazia, Milano, Comunità, 1951, p. 84. (5) Cfr. A. Neher, L'existence juive, Paris, Ed. du Seui!, 1962. (6) M. Blanchot, L'infinito intrattenimento, Torino, Einaudi, 1977, p. 168. caseaditrmiceariet NARRATIVA Roberto Pazzi CERCANDO L'IMPERATORE Prefazione di Giovanni Raboni Pagine X+ 176, lire 16.000 Russia 1917. La tragica prigionia della famiglia imperiale. Il reggimento Preobrajensky, sperduto in Siberia, cerca di raggiungere Nicola Il... Una figura del Potere svanisce nella tempesta della Storia. SAGGISTICA Enrico De Angeli~ DOPPIA VERITA Saggi su Kleist, Hòlderlin, Gcorge Pagine 140, lire 18.000 Dopo gli anni di larga fiducia nelle metodologie, Enrico De Angelis punta sull'attività critica come «saggismo», come sforzo interpretativo e scommessa ermeneutica. Siegfried Kracauer JACQUES OFFENBACII E LA PARIGI DEL SUO TEMPO Pagine 306, lire 30.000 Doppia biografia, di un uomo e di una città. La figura del maestro dell'operetta nella Parigi del Secondo Impero con «i suoi protagonisti, il suo apparato di potere, le sue feste e la sua dissoluzione». STUDI RELIGIOSI Martin Buber LA FEDE DEI PROFETI Nota introduttiva di Andrea Poma Pagine XLII + 240, lire 26.000 Il ,apporlo dialogico fra il Dio di lsraele e il suo popolo. Il messaggio profetico e la speranza messianica. Un'interpretazione complessiva e unitaria del significato dell'Antico Testamento. Distribuzione: P.D.E., DIF. ED. (Roma), Magnane/li (To). ARCI/media UCCA Omaggio a Pier Paolo Pasolini marzo/giugno 85 Città: Agrigento, Arezzo, Bari, Berlino, Bologna, Carpi, Catania, Catanzaro, Codroipo, Cosenza, Crotone, Firenze, Giarre, Lamezia, Lucca, Massa, Melfi, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Roma, Sarzana, Siracusa, Taranto, Teramo, Terni, Treviso, Udine e Verona. PEUGEOT TALBOT
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