del paesaggio agrario, è dunque cominciato un viaggio teorico recente, affascinante e terribile, nel tempo e nello spazio. Si sono ricostruite e decodificate, con rigore epistemologico e storico, le strutture spaziali e le rappresentazioni in cui si proiettano le varie civiltà. Si tratta di un'indagine di consapevolezza storica del presente sul passato e sul diverso, tesa a cogliere i nessi tra sistemi cognitivi e sistemi di valori economici e politici (cfr. Dematteis, 1984). Le rappresentazioni dello spazio, o le metafore della terra, come le chiama Dematteis, si sono rivelate interessantissimi oggetti carichi di ambiguità, confluenze dei più sottili problemi, specchi chiari, se reimpariamo a vedere, di quei processi selettivi e ordinativi e di manipolazione del territorio e dell'uomo che vengono attuati dalle varie civiltà. Per richiamare alcune ricerche svolte nel decennio precedente, va ricordata la distinzione degli «spazi pieni» e «spazi vuoti», come li chiama Chaunu (1974), l'ineguale ripartizione degli uomini sul territorio, e i luoghi dell'abbondanza e della miseria. La diversità di resa economica può essere bene letta solo a partire dalla gerarchizzazione delle «piante di civiltà», dalla trasformazione dei paesaggi e dalle «tecniche di inquadramento», come le ha chiamate Gourou. La diversità dei bacini alimentari è scritta nell' «Atlante» tracciato già nel '71 da J. Bertin, J.J. Hemardinquer, M. Keul, W.G.L. Randles: tutto ruota intorno a 18 piante, dal Medioevo a oggi. Ma è la gerarchizzazione degli spazi, con l'imposizione di un unico modello, che inscrive dentro se stessa la gerarchizzazione delle piante e l'assottigliarsi del loro numero. C'è una uniformità che cancella la differenza dei percorsi di civiltà. La città oggettiva poi questo spazio e travolge gli spazi agricoli, li sottomette all'economia monetaria. Tale criterio, apparso presso diversi autori negli anni Settanta nei confronti dell'industrializzazione avanzata, viene ora esteso a ricomprendere il processo riduttivo e centralizzatore di vari secoli. E sta qui il problema (che si collega con quello dell'ambiente oggi) della omologazione secondo il modello occidentale vincente, con perdita di altre culture e scomL a separazione fra teoria e prassi politica si radicalizza alle origini del moderno, in corrispondenza con la dissoluzione dell'ordine teologico del mondo. Dal momento che l'azione politica, il gesto che traccia il confine fra amico e nemico, non si ammanta più di un'aura sacrificale, rivelando la nudità della violenza, il discorso politico non può più vertere esclusivamente sul campo di battaglia; occorre rivolgersi al nascente pensiero scientifico, chiedergli di occupare il posto della religione: l'occhio analitico che taglia il mondo in oggetto offre il nuovo modello ideale e il nuovo fondamento etico alla guerra. La guerra fra uomo e natura, la lotta per il dominio del soggetto umano sull'oggettualità naturale, diviene il paradigma del progetto politico, della lotta per il dominio dell'uomo sull'uomo. parsa di un anteriore senso di spazio. L'imposizione di una razionalità unidimensionale, di un modello unico, che gli spazi relativi materializzano in zone economicamente rilevanti, nasconde appunto quello che Isnard (1978) ha chiamato «debiologizzazione» del territorio: la separazione tra spazio geografico e spazio ecologico. È in questa formulazione che oggi per esempio si può porre con rigore un esame attuale della questione decisiva della possibilità di ricambio tra il sistema di civiltà e il geosistema. Altre formulazioni sono semplicistiche ormai, o perché rilevano ancora un «fallimento» in termini direttamente critici verso la gestione capitalistica o quella occidentale (del «dominio» sulla natura), o perché non si costituiscono sulla compatibilità necessaria, che è stretta e aperta, fra bisogni arcaici dell'uomo e innovazione progettuale. Io ritengo che la sensibilità acuta per l'ambiente segnali oggi, anche paradossalmente, la perdita di sensibilità e di responsabilità verso il passato e l'ambiente stesso. George ha introdotto il concetto di «crosta tecnologica» (1974) che modifica con la chimica e la biologia la crosta terrestre, la composizione del suolo, gli equilibri dei sottosistemi. La crosta tecnologica è un ambiente pulito, asettico, che ha smangiato il millenario paesaggio tradizionale, e rivela nell'asetticità la sua immensa fragilità: perché è incapace di riprodursi. E rivela la sua pericolosità in quanto incide sul clima e avvia regressioni senza ritorno. La nostra sopravvivenza dipende, come ha rilevato Barrau (1983) dalle fragili «creature» dell'agricoltura industriale, che, divenute sempre più ristrette, sono coltivate in superfici sempre più vaste e più esposte ai danni climatici. I paradossi attuali La società odierna ha trasformato ormai il territorio in valore: ma questo territorio è anche la sua materialità, è sempre il modo in cui lo spazio fisico si struttura in rapporti sociali. Tale materialità non è infatti eludibile, neppure per il valore-mercato. Nell'avvenuta trasformazione della terra, rappresentata e agita come collezione di merci e nei costi delle distanze, la materialità presenta invece i caratteri specifici e i tempi lunghi dei suoi processi geo-ecologici, la resistenza degli ecosistemi o il disastro della loro riduzione. Si manifesta a livello macroscopico la sfasatura tra il calcolo economico locale e i processi naturali. In scala minore l'insufficienza dei sistemi agro-alimentari rivela l'insicurezza e la debolezza di un sapere scientifico settorializzato e formalizzato che ha perso la densità storico-naturale del suo oggetto e la sua concretezza. Nasce da ciò il sospetto che si tratti di un «fallimento tecnologico»; e non si svolge con ciò un facile argomento anticapitalistico; il sospetto è presente in maestri come Leroi Gourhan che ha portato nell'antropologia la tesi fondamentale della tecnica come formativa dell'uomo (dopo la scoperta del ciottolo lavorato). Oggi anzi è più acuto il sospetto perché siamo Le immagini dell'ambiente I alle soglie di una informatizzazione del territorio: di un modello, cioè, che dovrebbe essere capace di imparare dall'ambiente a riparare ai «gap» producendo automaticamente le trasformazioni a ciò necessarie. Ora ogni diffidenza è lecita; il modello dell'informatizzazione è costituito di un controllo ulteriormente centralizzato del territorio, con una forma di smaterializzazione della produzione, la quale oggettiva nelle macchine delle banche-dati la stessa memoria (e dunque l'autogestione) dell'uomo. Forse occorre «pensare» altri percorsi. E ci troviamo così, per proseguire, di fronte a ogni paradosso. Per pensare infatti una nuova ipotesi di territorio, dobbiamo fuoriuscire dall'esistente: il valore umano della territorialità pare irrecuperabile in quanto tale, umano, e viene invece analizzato nelle scienze naturali o agli «incroci», fra natura e storia. Occorre Il punl(!,lo!l,J svolta La scienza può svolgere un ruolo legittimante proprio perché il suo linguaggio prende ancora maggiore distanza di quello religioso nei confronti dei linguaggi del sistema sociale e politico. Gli oggetti che esso ritaglia nel mondo hanno i contorni netti e precisi che solo il rigore geometrico garantisce; essi in-formano gli oggetti della decisione politica senza intrattenere con questi ultimi rapporti troppo confidenziali; il chirurgo non ama. çonfondersi col macellaio. Cosa succede quando la distanza si riduce, quando la scienza, dopo essere stata lo specchio in cui la politica poteva trovare una propria immagine idealizzata e positivizzata, comincia a sua volta a specchiarsi nella politica, ricavandone un 'impressione assai meno consolante? Cosa succede quando da questo controinvestimento della cultura scientifica nei confronti della realtà sociale e politica nasce la consapevolezza che, dopo tutto, nemmeno gli oggetti scientifici hanno contorni così chiari e distinti? Cosa succede quando sorge addirittura il dubbio se esistano oggetti? Non pochi dei temi di fondo che attraversano Passaggio a NordOvest, uno dei più bei libri di Miche! Serres, appena apparso in edizione italiana (l'edizione originale è del 1980, e costituisce il V volume della serie Hermès) per cura della casa editrice Pratiche, possono essere tradotti in questi interrogativi. La scienza allo specchio della politica; ecco come la vede Serres: «Si semplifica, in generale, per mezzo di una scelta forzata: continuo o discontinuo, analisi o sintesi ... Ora, la complessità fa segno dalla parte del reale, quando il dualismo chiama alla battaglia, in cui muore il pensiero nuovo, in cui scompare l'oggetto ... Ci si batte pe,r non lavora11e... La ricerca scompare a profitto della divisione in scuole .. .lo spazio del problema scompare sotto la quadrettatura bruÌicante degli occupanti. La classificazione, dal latino classis, corpo d'armata, è il risultato, anche, del rapporto di forze, essa ha molto a che fare con la lotta e molto poco con la posta in gioco ... » (pp. 32-33). Per vedere meglio, sostiene Serres, bisogna smilitarizzare la scienza. Distinguere il linguaggio scientifico da quello politico non è sufficiente, bisogna abbandonare tutti i campi di battaglia, anche quelli metaforici. Ma per vedere meglio cosa? A mano a mano che le semplificazioni imposte dalla logica dualista cadono, lasciando emergere la complessità del reale; a tornare a riflettere sul concetto di natura e di ambiente; e riformularlo, porne la «pensabilità» in termini rigorosi. E occorre che la natura, il territorio, riacquisiscano la loro «densità» naturale e storica: così per esempio estremo avviene nelle analisi di Barrau, che alla sofisticatissima conoscenza della «cellula vegetale» contrappone la foresta e la savana, l'insieme associativo senza il quale non c'è l'albero e forse neppure noi. O va a recuperare, pensando a una loro domesticazione, piante esotiche con grande valore economico. E così avviene nelle ricerche di Bateson, negli approcci sistemici alla materia. Concludendo, a mio giudizio, per porre bene la questione decisiva dell'ambiente oggi, conviene partire dall'analisi dello spazio; per costruire in esso le possibilità di territorio. È meglio che partire dalla ingegneria genetica o da Luhmann o dalle altre discipline che pure occorre coinvolgere. E non si può procedere che per paradossi. Infatti si devono spostare le proprie abitudini percettive. E la sinistra oggi è connessa alla «crosta tecnologica» a cui siamo arrivati, perché essa condiziona ogni lavoro operaio; inoltre su questi temi si convive con strani illuministi e sofisti ... E non si può svolgere un progetto ampio che non sia controllato dall'alto, e non si può sfuggire - per la via pur buona dei nuovi artigiani o delle comunità diverse e dei loro saperi di base - ai grossi problemi. Cfr. Jacques Barrau, «Plantes et hommes au seuil du XXI siècle», in La Pensèe, 1983, n. 234 Pierre Chaunu, La durata, lo spazio e l'uomo nell'epoca moderna (1974), Napoli, Liguori, 1984 Giuseppe Dematteis, Le metafore della terra, Milano, Feltrinelli, 1984 Pierre George, La geografia nella società industriale (1974), Milano, Angeli, 1981 André Leroi Gourhan, Il gesto e la parola (1965), Torino, Einaudi, 1977; cfr, anche Les chasseurs de la prehistoi- !e, Paris, 1983 Pierre Gourou, Terres de bonne esperance, Paris, Plon, 1982 Hildebert Isnard, Lo spazio geografico (1978), Milano, Angeli, 1982 Massimo Quaini, La costruzione della geografia umana, Firenze, La Nuova Italia, 1975 mano a mano che quest'ultima rivela un numero crescente di elementi e di legami in interazione reciproca, sino a sfuggire al controllo dell'osservatore, sino ad avvolgere anche lui nelle maglie della propria rete, si delinea un nuovo oggetto: «Supponiamo che una macchina da presa abbia potuto filmare nel corso di milioni di anni , la costa occidentale della Bretagna, con le sue erosioni e le sue -.:iisole, e che noi potessimo proiet-. ~ tare questo film in alcuni minutL -~ Vedremmo una fiamma ... La lroi- ~ I:),, se ha il profilo di un fuoco che ar- ~ de, gelato dall'Oceano oppure °' ..... dalla lentezza del tempo che è il ~ nostro» (p. 69). '-- §, Questa stupenda immagine descrive l'oggetto di una ricerca che, ~ esaurite le metafore tanto della i::: meccanica dei solidi che di quella ~ dei fluidi, il cristallo e la nube, non ;g, si accontenta più di «delimitare ~
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