Alfabeta - anno VII - n. 71 - aprile 1985

Le immagini dell'ambiente I Lanoncertezza<<terrestre> A partire da questo numero diamo avvio a una serie di scritti sui temi del!'ambiente e del/'evoluzione, nelle varie discipline, come un contributo alla discussione ampia già in corso. Tale contributo si dà in Alfabeta con articoli di fondo e interventi di studiosi; e inoltre con una «antologia» di pagine scelte da vari redattori e collaboratori, via via, sulle nozioni fondamentali e recenti, con lo scopo semplice di farle circolare superando quanto è possibile la vecchia differenziazione delle «due culture». Questa serie di scritti, dopo l'avvio dei nostri collaboratori nei primi numeri, è aperta agli interventi di scienziati e teorici. O ggi la verifica di una civiltà pare che si ponga a livello dell'amhiente. O, se si vuole, l'ambiente è la nuova spia di una civiltà. Le ragioni sono molte e non sono, come si usa credere, affatto semplici, né di nuova filosofia della storia. Nella situazione attuale degli assetti economici e produttivi, l'ambiente, lo spazio e il territorio (nei diversi e affini significati dei termini) vengono assunti e investiti in modo privilegiato dall'analisi teorica: perché sono nozioni che hanno perso certezza, sono diventate problematiche, si sono caricate di ambiguità e di aspettative. E il lavoro teorico relativo, dove convergono varie discipline, appare svolto in una bipolarità, m una fluttuazione specifica, tra critica e tentativo progettuale nuovo. Consideriamo anzitutto il territorio come lo spazio che viene costruito da una civiltà con i suoi valori e i suoi usi. Come tale, il territorio è il luogo dove si manifesta con più evidenza la crisi della valorizzazione economica e delle macrostrutture istituzionali. Qui si presenta dispersa oggi l'identità dei soggetti e dei gruppi, mentre vengono in luce i disagi della quotidianità e le allucinazioni del simbolico. La rappresentazione stessa dello spazio, che è percepito come gerarchizzato ed estraniante, comporta difficoltà crescenti. E si producono le tendenze al localismo, le turbolenze e le azioni negli interstizi. Certo in ogni epoca di trasformazione e di trapasso si manifesta un'acuta sensibilità per l'ambito complessivo, sia esteriore che profondo, in cui ci si colloca e ci si muove. Il disagio dei soggetti e dei gruppi, che si vivono come «rinchiusi» in un luogo di estraneità, porta a una nuova interrogazione, sia individuale che di base collettiva, sul proprio territorio. Si mir_a.a un uso differenziato, alla riscoperta e al ricupero di una materialità, che anzitutto è la propria, del corpo e del desiderio, ed è quella dell'ambiente come correlato indispensabile della vita e del bisogno, anche di quello estetico. Riacquisiscono importanza il corpo e la percezione, a costituire la base stessa della progettualità. ~ Si danno così le condizioni di .s quella che Quaini (1975) ha chia- ~ mato la geografia delle possibilità ~ del territorio: di un sapere, cioè, ~ °' riferito ai bisogni latenti o insoddi- -. sfatti, e in grado di rispondere ai ~ ... frammenti di pratiche e di cono- ~ scenze alternative, che so,no sem- ~ pre più diffuse oggi, anche se esort! cizzate o incanalate in un ambien- ~ talismo superficiale, e agiscono l particolarmente nei buchi degli ~ spazi controllati. L'idea nuova dello spazio La rottura della certezza di ogni introiezione spaziale, come quella della verità a livello epistemologico, ci pone subito davanti a ingorghi linguistici. Spazio e territorio sono parole polivalenti e per essere definiti richiedono la messa in atto degli aggettivi, con valore qualificante. Eppure è da questi ingorghi che occorre partire, è qui che co,uincia lo fcavo, mentre si dissolve la trasparenza e s'infittiscono gli interrogativi. Si dà oggi una nuova consapevolezza epistemica del fatto che lo spazio non ha esistenza indipendente dalla materia, ma interagisce con essa; e che tale unità è pensabile o trattabile geometricamente solo per mezzo del concetto di campo. Con tale concetto già Einstein ha tolto esistenza fisica indipendente e naturalità allo spazio e ne ha formulato una concezione operativa: ha cioè riportato lo spazio (o meglio lo spazio-tempo) all'interno delle operazioni e delle misurazioni compiute da osservatori. Ora questa nuova idea circola in tutta la scienza perché in ogni trasformazione ricorrono le misure dello spazio e del tempo. Ciò si scontra con la resistenza e la permanenza di una nozione abituale, e consona a un primo assetto percettivo: quella dello spazio come «contenitore», e cioè dello spazio assoluto newtoniano (che esiste indipendentemente dalla materia e che è pensato immobile rispetto ai sistemi di riferimento). C'è inoltre l'abitudine a pensare lo spazio continuo e omogeneo come è nella geometria euclidea; è così strutturata la nostra esperienza e così continuiamo a collocare e ad enumerare gli oggetti. In più, l'assunzione del carattere relativo e operativo della nozione di spazio-tempo e l'assunzione Eleonora Fiorani conseguente dello spazio curvo secondo Riemann (dove la curvatura è un effetto della presenza della materia) determina una sottile questione: se tale «relatività» comporti il «relativismo» conoscitivo, svuoti cioè di pregnanza conoscitiva i concetti di spazio-tempo, rendendo la congruenza di un sistema geometrico adottabile del tutto «libera» e «soggettiva». O si possa invece sostenere, come sembra facesse anche Einstein ( e non solo i materialisti classici), che la congruenza è imposta o orientata dalle proprietà fisiche degli oggetti: e quindi il relativismo metrico e geometrico è relazionabile alle proprietà delle cose. Infine si pongono tutti i problemi di cui ho già avuto occasione di parlare (in Alfabeta 56, gennaio 1984) provenienti dalla distanza tra lo spazio geometrico, lo spazio delle scienze naturali e quello delle scienze sociali, e tra spazio fisico, spazio della storia e spazio mentale. Lo spazio è dunque un concetto multidimensionale, che muta significato in relazione alle culture che mediano il trapasso tra percezioni e rappresentazioni dello spazio stesso. Interessa qui precisare l'incongruenza epistemica doppia, che proviene dal ritardo o mantenimento di un'illusione ottica in cui si ritiene «vero» (esistente realmente) lo spazio contenitore. Così si scambia per reale un'operazione di proiezione nello spazio di un sistema economico e politico, e quindi di una valorizzazione economica degli oggetti sul territorio. Interessa qui rilevare la difficoltà che incontriamo a porre in rapporto gli spazi logico-matematici e quelli sociali. E per conseguenza, qual è il significato attribuibile agli spazi relativi utilizzati dalla geografia quantitativa o statistica; perché in essi la proiezione nello spazio dei valori economici annulla lo spa_zio-ambiente, pone uno spazio economico astratto e avvalora una posizione di relativismo conoscitivo. Tale relativismo è indubbiamente prevalente a livello epistemologico, ma nondimeno è discusso e discutibile, mentre comporta conseguenze di ordine direttamente politico e sociale (per esempio, nelle connessioni con la programmazione del territorio). Si pone così a più livelli lo scarto tra percezione del senso comune e consapevolezza scientifica (e inoltre artistica, perché nell'arte novecentesca troviamo una omologia col concetto dinamico di campo). Si aprono, mentre abbandoniamo i terreni saldi del senso comune, i problemi più sottili della conoscenza e del suo «valore». Per il caso in questiòne, si pongono i problemi del significato che dobbiamo attribuire ai sistemi geometrici di operazione e di misurazione; si tratta di sapere se vi è o no un rapporto tra proprietà dello spazio e proprietà delle cose; e se tali sistemi cioè sono pure operazioni mentali, «esterne» alle proprietà delle cose, oppure se le proprietà di questi sistemi metrici hanno relazione con le proprietà dei fenomeni esaminati. Il termine di territorio Una simile complessità è del termine di territorio, che obbliga a un'aggettivazione, per ogni particolare chiarimento. La scelta preferenziale di questo termine quando ci si riferisce all'ambiente umano, della civiltà e della soggettivi- . tà, è motivata dalla differenziazione necessaria con il termine terra, con la naturalità. Territorio è dunque lo spazio ambientale costruito, è un fatto sociale e politico, non naturale, è l'oggetto della nostra rappresentazione geografica, è il luogo della trasformazione e della socializzazione. Solo un cortocircuito terminoloe la determinazione mobile e fluttuante dell'intreccio e del ricambio tra ecosistemi naturali ed ecosistemi artificiali, dell'intersecazione dei processi con i loro tempi e modi differenziati. Quest'altra materialità dinamica è più profonda e «ineliminabile» perché si dà come interna e in modificazione ne~'artificialità stessa. Il territorio, inteso dunque come spazio ambientale e base materiale delle varie civiltà, è quello che le rende possibili; e che da esse è simbolicamente, oltre che economicamente, ordinato e investito. È nella gestione relativa che si manifesta il modo di vivere, di produrre, di immaginare e di sentire d'una civiltà. Di qui la sua rilevanza sotto tutti gli aspetti, teorica, economica, politica, estetica. Si dice dunque: spazio e territorio, o spazio naturale e spazio sociale (altrimenti indicato come geografico); e sono differenziabili, certo, ma non separabili, in quanto lo spazio globale o ambiente è pur sempre la base strategica della vita. Il termine di ambiente va ridefinito, e fin qui la questione che stiamo esponendo ha fatto appunto emergere una nozione ancora vaga e tuttavia decisiva di ambiente, con diversi valori. C'è dunque la rottura del precedente equilibrio, lo smangiamento e azzeramento del «naturale», che si ripercuotono ora sul sociale, complicando e rendendo fitte le analisi, a cominciare dalla complicatissima precisazione semantica. È in corso una ridiscussione critica, sintomo essa stessa della consapevolezza che ciò che appariva solido e dato (lo spazio) è invece problematico e ambiguo. Così, accanto alle tradizionali carte di rappresentazione della terra, sono cominciate ad apparire le carte mentali dei singoli soggetti e dei gruppi. Si è sondata la distanza già nel '56 segnalata da Piaget tra percezione e rappresentazione dello spazio; e si sono posti gli interrogativi sulla costruzione delle immagini spaziali. Lo spazioimmagine della geografia della percezione non solo non è un dato fisico esterno, ma è costruito e appreso attraverso il corpo e nel vissuto quotidiano e collettivo. (Così come, si oserebbe dire, avviene per la prospettiva nell'arte del Quattrocento o per la scomposizione dell'oggetto nei contemporanei.) Se compariamo ora brevemente la relatività della conoscenza in ,.~ ... --- senso epistemologico (che diviene teoricamente scetticismo oppure pragmatismo) e la relativizzazione della conoscenza in campo più propriamente terrestre, peculiare del contesto del nostro vissuto, possiamo con sorpresa scoprire come si dia - nella distruzione amgico può far confondere la territorialità umana (che ha un principio per esempio riscontrabile in Italia ella «centuriazione» romana imperiale) con quella animale, che ha altri motivi; occorre evitare ogni riduzionismo che altera m profondo il diverso operare, nell'uno o nell'altro caso, della materialità e del determinismo naturale stesso. Permane infatti, sotto questa e altre semplificazioni, un'idea vecchia meccanicistica di materialismo e di determinismo: che riguarda una materialità sempre identica, solo lorda e pesante; che non vede la materialità strutturale bientale che a poco a poco scorgiamo intorno come effetto dell'artificializzazione - una conseguenza e un abuso della nostra difficoltà prima. Che è, come dicevamo, quella duplice: il vivere l'ambiente nella vecchia maniera, e intanto essere assorbiti nella nuova. Solo il rigore sul reale e sull'artificiale ci permette di difenderci correttamente e non in modo vecchio, «conservativo». Alcune ricerche: paesaggio e alimentazione A partire dalla città come centro irradiante di un sistema monolitico e gerarchizzato, e dal degrado

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==