Alfabeta - anno VII - n. 71 - aprile 1985

Il L'onomatopea che serve a '' vivificare il lirismo con elementi crudi e brutali di realtà, fu usata in poesia (da Aristofane a Pascoli) più o meno timidamente. Noi futuristi iniziamo l'uso audace e continuo dell'onomatopea». Così scrive Marinetti nel 1913 in un noto manifesto sulle parole in libertà. È in corso la battaglia contro tutto il passatismo letterario, eppure questa frase - il cui tono va collegato alle esigenze polemiche del momento - fa supporre che il leader del nuovo movimento ritenga in qualche modo il Pascoli non solo un precursore nel campo della sperimentazione, ma anche il più avanzato tra i 'grandi' con cui fare i conti. Che Marinetti abbia guardato con attenzione al poeta di Romagna, avvertendo in lui la presenza d'una sensibilità davvero moderna, in grado di diventare un punto di riferimento per il rinnovamento della poesia italiana, emerge con evidenza dal carteggio da me ricostruito, che documenta un prolungato contatto tra i due, dalla fine del secolo alla vigilia del futurismo. Quando Marinetti firma la prima lettera, nel 1898, ha solo ventidue anni ma è già ben avviato sul cammino degli interessi poetici. La sua formazione linguistica e culturale è tutta francese - tra l'altro ha concluso la scuola superiore proprio a Parigi. Ciò gli consente di collocarsi presto nel crocevia simbolista franco-italiano, la cui punta di diamante è rappresentata dall'Anthologie Revue, di cui il nostro diventa segretario italiano. Nel processo di osmosi tra le due correnti letterarie egli occupa un posto non secondario: diffonde in Italia il verbo di Mallarmé, Verlaine, Baudelaire, e, d'altra parte, pubblicizza i nostri poeti all'estero. Scrive in francese e stampa a Parigi i suoi libri per un non breve periodo. Insomma, il primo Marinetti per il tagÙo cosmopolita passa per un «cantore italo-francese», come osserva in queste lettere il Pascoli. Nel clima/in de siècle il nostro è attratto anche da D'Annunzio, cui dedica giudizi positivi nei suoi interventi sulla poesia italiana contemporanea. Ma più tardi si insinua una punta di ironia che infine prevale: dopo un Gabriele d'Annunzio intime ecco Les Dieux s'en vont, d'Annunzio reste, dove il «divino Gabriele» è criticato per i suoi atteggiamenti da 'prima donna' e perché, dopo la morte del Carducci, si atteggia a successore del 'grande'. Commentando sarcasticamente un discorso tenuto da D' Annunzìo per commemorare il poeta scomparso, Marinetti sorride non poco sul Vate dello charme mondano, cucendogli addosso il nomignolo di «Monte-Carlo de toutes !es littératures», e contrapponendogli la sobrietà del Pascoli, «le plus grand poète italien vivant». Va detto, però, che certamente il nostro assomiglia più all'Immaginifico che all'appartato poeta di Romagna. L'idea «arte-vita» è presente tanto in D'Annunzio che in Marinetti: nel primo in forme Carteggiionedito Pascoli-Marini estetizzanti, nel secondo in chiave vitalistico-tecnologica. C'è inoltre in entrambi la passione per la politica attiva: il capo del futurismo più tardi arriva a fondare un partito tutto suo, ma il Comandante non gli è inferiore nel pilotare l'impresa fiumana. Si potrebbe pensare che proprio per queste analogie in Marinetti ci sia un'ammirazione inconscia per D' Annunzio, rifiutata a livello razionale. Il grosso del carteggio qui presentato si svolge nell'ambito del tempo di Poesia (1905-1909), la rivista milanese che Marinetti intende lanciare come «piedestal lumineux et sonore» della gloria del Pascoli. Non a caso proprio sul primo numero appare un medaglione dedicato al poeta dal condirettore Sem Benelli, illustrato da Enrico Sacchetti. È questa la scelta d'una via antidannunziana. (Peraltro nel 1906 Pascoli succede a Carducci nella cattedra di letteratura italiana a Bologna, e il cambio di guardia è emblematico.) . La linea intrapresa da Marinetti non consente equivoci: il futurismo, figlio legittimo del clima di Poesia, intenderà più tardi colpire il dannunzianesimo nei suoi stilemi più volgarizzati. Ricordo inoltre che la prima generazione di poeti futuristi sarà composta di elementi non privi di ascendenti pascoliani, come Palazzeschi e Govoni, nonché di antidannunziani assai decisi, quali Enrico Cardile, Gesualdo Manzella-Frontini e Federico De Maria, seguaci di Gian Pietro Lucini. T ra queste lettere ve n'è una di notevole interesse, in cui Marinetti chiarisce il suo credo politico, parlando della tragedia satirica Roi Bombance (Re Baldoria), grande metafora gastronomica sul potere, in cui si avverte la presenza di Rabelais, passato al vaglio di Alfred Jarry (per inciso sottolineo che il fondatore del futurismo è stato amico dell'autore di Ubu Re, di cui avrebbe acquistato a suo tempo tutti i diritti). Questa è la trama: in un castello scoppia una rivoluzione popolare, causata dalla fame, destinata, però, a fallire. I rivoltosi infatti divorano il Re Baldoria, ma finiscono per riportarlo in vita vomitandolo in un'orgia grandguignolesca. Il pessimismo metafisico di derivazione schopenhaueriana, che ispira l'opera, si riassume nel fantasma di Santa Putredine, che è all'origine stessa del divenire. La vita è dunque una fatalità che conduce al nulla. Il tutto porta a sancire l'esaltazione dell'individualismo idealista, di matrice stirneriana, rappresentato dalla figura del Poeta-Idiota, incompreso dai contemporanei, e quindi già postumo. •Presto Marinetti convertirà il suo pessimismo cosmico nell'opposto: in un vitalismo aggressivo e ottimista, che sarà il cemento stesso del futurismo. Nietzsche diventerà il suo nume tutelare. Ma nel 1905 prevalgono i toni foschi: tutto è vanità, il bene è impossibile. Alla sfiducia nel socialismo, visto come materialismo 'ventraiolo', si accompagna il mito dell'anarco-individualismo, rappresentato dall'artista, di derivazione romantica. La tragedia satirica - come spiega Marinetti nella lettera - viene ultimata durante uno sciopero generale, nel 1904. Assistendo ad assemblee operaie il nostro ha avuto modo di ascoltare Turati e Labriola, ai quali si è ispirato nel delineare due personaggi: Bechamel il riformista e Stomacovuoto il rivoluzionario. Sullo sfondo c'è la grande Milano industriale del principio del secolo, in cui il poeta conosce Turati e la Kuliscioff, ai quali anche più tardi invia libri futuristi (ho avuto modo di vedere una copia del Re Baldoria con dedica autografa dell'autore al leader socialista). D'altra parte, i meriti dell'opera sono stati riconosciuti sull'A vanti!, «tesi a parte», perfino da Labriola. Non bisogna meravigliarsi: la versione italiana è dedicata «Ai Grandi Cuochi della Felicità Universale Filippo Turati, Enrico Ferri, Arturo Labriola». 11 carteggio verte soprattutto su due vicende salienti: un concorso (con premio di 1000 lire) per uno studio sul Pascoli, bandito da Poesia alla fine del 1905 - che sarà vinto da un professore di Belluno, Emilio Zanette, il cui saggio verrà stampato dalle edizioni della rivista nel 1907 - e la celebre inchiesta sul verso libero, che dal 1905 si protrae fino al 1908, vero cavallo di battaglia del giornale. Il Pascoli sembra non gradire l'iniziativa del concorso, che gli pare una consacrazione prematura. Non una riga di commento riceve .,. da lui lo Zanette, che per lettera si lamenta del silenzio del poeta, a cui ha inviato il libro: «Che il mio lavoro non Le sia giunto, non posso supporre, avendolo assicurato - non mi resta dunque se non il dubbio doloroso che, per qualche ragione a me ignota, il mio lavoro insieme a la mia visita Le siano discari» (Archivio Pascoli a Castelvecchio). C'è da aggiungere che il volume è andato in stampa di corsa e l'autore non ha visto le bozze. Rispondendo nel 1906 all'inchiesta sul verso libero il Pascoli è assai drastico: il «verso endecasillabo sciolto» è l'estrema libertà da concedere in poesia. La lettera, riportata da Poesia, confluisce poi con i materiali del sondaggio nel libro Enquéte internationale sur le vers libre del 1909. Un accordo su questo terreno non è dunque possibile. Nel complesso, tuttavia, il contatto tra i due poeti dà frutti tangibili nella partecipazione del Pascoli a Poesia, che pubblica alcuni inediti: / gemelli nel 1905, Lo Zì Meo e la versione tedesca de La tovaglia nel 1908, e La madre, sempre in tedesco, nel 1909, proprio sul fatidico numero di febbraio-marzo, in cui appare il manifesto di fondazione del futurismo. La simpatia di Marinetti per Pascoli non diminuisce anche ora che è stata imboccata la via dell'antitradizione. Esiste a questo proposito un episodio sconosciuto e divertente, su cui conviene soffermarsi. Il 19 gennaio del 1914 Marinetti con alcuni compagni si trova a Bologna per una serata futurista. Nella mattinata il gruppo ha contestato all'Università la prolusione al corso di letteratura del professor Galletti, successore del Pascoli. Il Giornale d'Italia riporta che l'erede dell'illustre cattedra «si incontrava proprio sul portone con una turba di giovani che schiamazzavano. Erano dei futuristi capitanati da Marinetti, Boccioni, Carrà, Pratella e Russolo (... ). Marinetti tenne uno dei soliti discorsi contro il passatismo e contro i letterati ( ... ). Esaltò l'ignoranza del poeta futurista Francesco Gargiulo (sic!) che supera quella di Palazzeschi. ( ... ). Confrontò poi Carducci, Pascoli e D'Annunzio e affermò che Pascoli fu un gran poeta, anzi un precursore dei futuristi». I tumulti proseguono il giorno dopo e le cronache riferiscono che molti tavoli e vetri vengono rotti, mentre Marinetti dà della «mummia magnifica» al Rettore. In realtà, il capo del movimento nel difendere la spontaneità di Cangiullo intende salvare la naturalità e l'immediatezza dell'uomo non ancora «avariato dalle biblioteche e dai musei». In fondo i futuristi nel proclamarsi i «Primitivi di una nuova sensibilità», si accostano all'estetica del fanciullino pascoliano, che postula una poesia elementare e spontanea, aliena dagli artifici e dagli intellettualismi letterari e culturali. E, si badi, questo mito circola diffusamente in tutte le culture del principio del secolo. Dice il Pascoli che il fanciullino I «scopre nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose». Ma non si discosta troppo da ciò Marinetti quando suggerisce l'uso dell'analogia, che «non è altro che l'amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili». S tranamente una sorta di sintonia sul terreno politico si è verificata - sia pur con diversi accenti - tra i due poeti in occasione dell'impresa libica: ne La grande proletaria si è mossa (Bologna, Zanichelli, 1911) Pascoli ha espresso un punto di vista interclassista e populista, in cui i «soldatini» non sono strumenti di velleità colonialiste, bensì rappresentano una nazione povera, votata all'emigrazione; Marinetti da parte sua nella Battaglia di Tripoli (Milano, Edizioni futuriste di Poesia, 1912) ha esaltato la guerra come slancio vitale e aggressività. Ma col passare del tempo la polemologia del momento futurista finisce per condizionare i giudizi: «oggi odiamo dopo averli immensamente amati, i nostri gloriosi padri intellettuali». Così afferma Marinetti nel rifiutare i grandi della letteratura di cui s'è nutrito. Edipo deve uccidere il padre. Ora viene rinnegato il «sentimentalismo balbuziente e botanico di Pascoli, che, nonostante il suo genio indiscutibile, resterà nondimeno colpevole d'avere esercitato un'influenza avvilente e deleteria». Sono gli anni dell'estremismo duro e intransigente. Vince la rimozione. Ancora nel 1925, nel presentare un'antologia di poeti futuristi Marinetti citerà il Pascoli come uno dei letterati che «si sono sempre infischiati dei giovani». Poi, nell'ora del riflusso, il poeta dei Canti di Caste/vecchio tornerà nelle parole del capo del futurismo come un grande maestro, ammirato per il suo «rumorismo rurale d'uccelli insetti». Insomma, Marinetti è stato consapevole del coefficiente di modernità del Pascoli, che per primo in assoluto ha sperimentato il linguaggio fonosimbolico e pregrammaticale, giocando con l'onomatopea, il suono, come se questi fossero brandelli di bruciante realtà, immessi nella parola poetica. Operazione, questa, quanto mai scandalosa, in rapporto ai tempi. Il Pascoli è stato perciò un «disintegratore della forma poetica tradizionale» (Alfredo Schiaffini), presentandosi come grande eretico rispetto al modulo di lingua che ci è noto dal passato letterario (Gianfranco Contini). I futuristi, oltranzisti, porteranno alle estreme conseguenze tale eversione, mettendo la dinamite sotto le parole. Le lettere qui presentate assumono dunque un particolare valore: esse sono il cartello indicatore che ci guida alle radici della prima avanguardia storica. E in proposito, proprio nel ricostruire l'albero genealogico di questo movimento, sarà bene ricordare il giudizio che Contini ha dato sul Pascoli: «Le esperienze futurista, dadaista e surrealista vengono tutte dopo di lui, e se direttamente o polemicamente l'avanguardia italiana non si concepirebbe senza il suo precedente, le stesse esperienze fatte in lingua francese presuppongono il futurismo, e quindi in ultima analisi sono, sia pure mediatamente, postume all'esperienza pascoliana. Essa è radice e matrice di molta parte degli esperimenti europei». Claudia Salaris Le lettere di F.T. Marinetti sono conservate nell'Archivio di casa Pascoli a Castelvccchio (Barga), quelle del Pascoli, invece, si trovano presso la Yale University Library. Un particolare ringraziamento per la collaborazione va a Luce Marinetti e Guelfo Marcucci. (C.S.).

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