Prove d'artista Ottiero Ottieri Versi adolescenziali [ Alfabeta 71] Madre che pettini i suoi capelli morti e senza volerlo già chiami l'autunno della sua vita, la sua giovinezza è sfatta dalle tue mani, che rinfocolano intatta la colpa. Impossibile è che io ti dica la qualità della colpa. Ma solo pagando lo scotto consuma la colpa e la pena e l'amore che a lei fatalmente noi falsi-ignari portiamo. L'hai cresciuto alla vita, alla decadenza, alla colpa che rumina come un bove domestico nel silenzio e nell'ira. So che tu frughi i suoi giorni e per amore vai in cerca della sua rovina, so che egli ti segue, tremante, nemico a se stesso e mentalmente si dissangua. Ma poiché ha sempre breve la stagione dell'odio La giostra del dolore consuma persino le vertigini della sua ira. La colpa nasce da noi come un rospo dall'erba, egli cova nel petto il suo fango e rimastica le oscene memorie. L'illusione dei fiori è stata sempre una farsa, inconsapevole, tu che sei condannato a ignorarla. Ignoro l'anima della tua ignoranza, e chi sa vedere dietro i candidi visi? Il mistero s'è scelto una molto ingenua dimora per intessere tranquillo la sua gabbia. Suole guardare le cose assai remotamente e da lontano avvezzò la pupilla alla gabbia dove fiuta gli odori del mondo come un cane deluso. Si trae la memoria da dentro e gli navigano i pallidi occhi per il viso atono. La battaglia contro il dolore è perduta, si ritira nella sua vita stretta. Cosi fa il combattente che alla pianura e ali'armi gira le spalle e s'accovaccia con un morto in una fossa. Forse ti meraviglia la dolcezza posta nel fondo della sua colpa, il suo amaro che si scioglie in tepida acqua e in carezza l'inganno. Te guarda debole e dolce come una pioggia, struggendosi nel giro delle tJ:1,leabbra. Ravvolto da soffici nebbie per poco dimentica la gabbia. Da ovunque essi s'avanzino, grandi o sottili, è un lago che volentieri tutti raccoglie i fiumi, dolori altrui. Con pace di acque in lui da ogni cavo della gente rifluiscono: li assorbe per saziare la sua voglia di pene nell'anima altrui. Lo scherno della felicità risuona come un campanello frenetico e solca inutilmente di strepiti la carne. La felicità si sdruscia, da fuori, alla gabbia e fa un sempre nuovo tumulto da dentro le sbarre, lui, stoltissima bestia. Quando, spezzata la gabbia, sarà scagliato oltre il fiume e le nebbie, simbolo eleggerà il mare, e allora per i depositi colmi di onde e per i silenzi di sale echeggerà il suo grido, inaudito, alla gioia. Solennemente maledice la speranza, la paura, il destino e il tempo, i guardiani sulla soglia. La pubertà maledice che storse i congegni della sua sorte, le leve che affondano nel perpetuo olio, oblio della speranza. Il giorno maledice in cui servo riemerse dell'errore, dell'orrore e della colpa. Ragazza, lago lontano di felicità e di certezza rimani lontana dal suo torpido corpo tanto lo succhia una mignatta che ha il suo stesso sangue. Prosegui il tuo corso, stretto fiume che esci dal lago lontano, mentre lui resta a lisciarsi il cuore in sasso. Tu assisti in silenzio al lento suicidio, padre, e non respiri l'aria della sua gabbia. Ma quando la bestia dondola per la tana s'alza un acre sentore di colpa e il padre fugge l'odore di vergogna. L'attesa, il giorno, l'ora della tua venuta custodisce; ma intanto è scesa la notte, la vuota compassione sull'attesa. Così ordisce a proprio danno l'inganno e vezzeggia un lattante destino che, svezzato, proverà ad assaltarla come una iena. L'hai ricoperto a poco a poco di sabbia e di foglie, tanto che appena si scorge il tumulo in questo deserto. I venti poi tortuosi piegano la sabbia e blandiscono la funerea coltre. Alleati alla subdola morte aggiungono sabbia alla sabbia. Tu gli volevi guadagnare l'eterno seppellendolo di polvere. Amico, per anni avete camminato come due talpe, frugata la terra, i cunicoli, cercato lo sbocco della colpa. Avete abitato nell'inferno e suoi labirinti, raramente siete emersi alla crosta della terra. Non avete mai aperto gli sbocchi de~'anima e il vento non entrava mai nei vostri recinti. Eravate palombari senza amici e senza barca, pesci schiacciati sotto i sordi e immensi volumi del mare e sotto l'invincibile assenza delle stelle: i gridi della Terrali udivate come tonfi. Troppo buoni eravate troppo miti invidiosi solo dei morti. Ma dannati anche eravate alla speranza se in lunghissimi echi per la gioia degli altri, per la fiducia e la violenza infine trasalivate, schiavi della miglior sorte legati con una forte catena alla terra. Ora esistono nemici per la vostra guerra. Potete forse infine celebrare la vendetta, oltre la frigida dea della speranza.
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