Alfabeta - anno VII - n. 70 - marzo 1985

East Coast del cinema italiano, il nuovo cinema che nasce nei grandi centri industriali del Nord - Milano e Torino - si contrappone, come, fatte le debite distanze, New York a Hollywood, all'archeologica Cinecittà. Fenomeno emergente degli anni Ottanta, a metà tra il ricambio storico, le nuove realtà di mercato e Leistanze generazionali, i nascenti studios sui Navigli e sul Po (ingresso, cucina e cinepresa) si differenziano dalla traballante cine-Mecca di Roma sotto ogni aspetto: tematico, stilistico, produttivo. Sul piano tematico, il nuovo autore, o film-maker, come lo battezza la fortunata rassegna milanese giunta quest'anno alla terza edizione, è attento alla realtà che gli sta attorno, appiccicata alla pelle o dentro di Lui:realtà banale e quotidiana - un 'pubblico' e 'privato', come si diceva una volta - senza più l'energia narcisisticaper mitizzarla, come ha continuato a fare l'autarchico-hollywoodiano Nanni Moretti. Stavolta il dentro-fuori d'ogni giorno è un foglio bianco da guardare a distanza, appeso con una puntina alla porta dell'ingresso-cucina-cinepresa, La vita dei 'nuovi giovani' è una serie di appunti, un po' casuali e dispersi, con tanta voglia di fare e tanta disillusione: la birreria, la discoteca, Lagita in campagna sono isole-rifugio, L'attesadi qualcosa che arriverà. Un'amarezz.a Lucida, senza Lacrime, ma piuttosto coi graffi qua e là di autoironia, domina i film di questo genere, dove la stessa cinepresa prende di tanto in tanto le distanze, allontanandosi in improvvise zoomate all'indietro e rimpicciolendo a minuscola sagoma chi fino a un momento fa era indagato da minuziosi primi piani nei più impercettibili salti d'umore. È un continuo va e vieni, partecipe e distaccato, un osservarsi da vicino che si sperde nella anonima dimensione metropolitana: non c'è posto per l'autocommiserazione, ma c'è abbastanza consapevolezza per evitare l'alibi della rinuncia. Noi siamo qui, dove nessuno ci vuole, ma questo «qui» è anche affar nostro. Due film, in particolare, approfondiscono questo senso di vuoto che avvolge - ma non schiaccia - il giovane d'oggi: il torinese Venerdì sera lunedì mattina di PiancioLa-Chiantaretto (storia del fallimento di una paleo-'comune' sullo sfondo di una città percorsa dal disagio della dilagante cassaintegrazione e da sempre più stanche magrammaticamente perentoria: la dichiarazione di poetica dell'opuscolo funziona ugualmente, fuor di dubbio, come segnale indicatore di una trama lessicale, semantica, biografica, storica, che I' 'intreccio' del Libro si incarica poi di svolgere. Ricomposto con pazienza e rigore in ogni tessera, il mosaico dell'identità in crisi viene gradualmente definendosi attraverso la testura verbale, con segni che con Contini si possono davvero definire di «martellata chiarezza». Sono, in Silvae, la contrapposizione tra l'oltrecielo ove si disincarna Clizia e il limo, il fosso, il magma ctonio del Gallo cedrone, le pozze d'acquamorta e il fango dell'Anguilla: un antisublime che assegna alle «oscure forze vitali», divinità immanenti, il compito di significare una sopravvivenza rasoterra, tenace, una resistenza che si abbarbica in basso, con la fisicità immediata di gemma che «luccica al MilanoF: ilm-maker nifestazioni politiche), e il milanese Giulia in ottobre di Silvio Soldini - cronaca di cinque giorni che seguono Lafine di una storia d'amore, tanti quadri staccati su «Giulia mentre perde l'equilibrio - descrive il regista -. Quando torna a vivere da sola. Quando tenta di recuperare, ricominciare, riallacciare. Quando è svogliata. Quando è curiosa. Mentre gira vorticosamente. Quando si ritrae di scatto, come una trottola che ne tocca un'altra. Quando è contenta. Quando fa finta di niente. Quando tutto ricomincia come prima. Come prima?»). Malumori generazionali, ansie afasiche, linguaggi spezzati, senza apparenti legami tra Loro, danno corpo a una Babele metropolitana che rimanda, nella maggior parte dei nuovi autori, al grande modello del nuovo cinema tedesco e, curioso repechage, al neorealismo («ma gli eventuali debiti sono insistenti soprattutto nel!'opera prima - mette in guardia Soldini-: già quando sei al secondo film, nella testa non hai più nomi né padrini spirituali»). IL più venerato è Wenders, naturalmente, sia per i temi che per lo stile, «soprattutto per l'importanza che il suo cinema attribuisce al personaggio e al tempo». Ma se si Lasciail filo diretto con le angosce metropolitane ed esistenziali e ci si accosta alle vie della mediazione comica o della metafora (magari via fiction), affiorano altri modelli, altre tecniche, altri tratti distintivi rispetto ali'ex madreRoma. Musica, fumetto, computer sono i nuovi serbatoi di invenzioni e di immagini. È insomma Lagrande piovra della multimedialità che imprigiona lo schermo del futuro. Rampollo esemplare, e forse già troppo ubbidiente, della nuova era è il video dei Giovanotti Mondani Meccanici, e fiorentini, che ha avuto, insieme a Venerdì sera lunedì mattina e a The Pit di Di Re, il Leone d'oro della situazione: il premio Film-maker '85. G.M.M. contro Dracula, pionieristico esperimento di fumetto elettronico, è un pastiche molto simpatico (e già un po' ripetitivo rispetto al precedente G.M.M.) sui territori di confine (di confino?) tra 'striscia' e cinema d'animazione, dove linguaggi dell'uno e dell'altra vengono potenziati o rimessi in discussione, incrociati, virgolettati e un poco irrisi, con l'assunzione persino della voce di Carmelo Bene ('rifatta' da Sandro Benvenuti) a medium sonoro canonico e di consumo. A parte questo lavoro dalle intenzioni soprattutto dimostrative, anche altre esperienze succhiano, buio» quando «Giove è sotterrato» e l'esistenza, rimosso ogni 'vitalismo', riaffiora dalle falde pietrose e arse di un mondo fossile («tutto comincia quando tutto pare I incarbonirsi, bronco seppellito»). Il Montale dell'inappartenenza è qui indubbiamente prossimo a una svolta che Luperini (fatta luce sulle coordinate culturali - Svevo e Boutroux, Valéry e Lautréamont, efficacemente affiancati, all'altezza di Silvae, all'Eliot dei Four Quartets) interpreta in chiave antisimbolica, tra scelta della prosa della vita e la vita stessa, «essendo ormai impos·sibile la poesia»: si giustifica allora, da parte del critico, l'insistenza sul significato di una scrittura esplorata a tutti i livelli, puntigliosamente, sino alle soglie iconiche di un risentimento in cui si dinamizzano senso e suono. Non a caso, affrontando il medesimo oggetto, Orelli sceglie di avventurarsi tra le «fibre essenziaMario Serenellini sia pure meno palesemente, dai media d'oggi: ad esempio Polsi sottili di Giancarlo Soldi che a situazioni-fumetto (personaggi che influenzano le condizioni atmosferiche o scalano palazzi o si nutrono di torte-Mondrian) abbina una scansione-fumetto della sequenza cinematografica, come lui stesso confessa da buon film-maker tutt'altro che pentito: «Gli album di fumetti sono stati i miei Cahiers du Cinéma. Non avrò altro dio al di fuori di Tex». IL game delle intersezioni, degli scambi e trapianti espressivi, si allarga nella filosofia della interdisciplinarietà dello Studio Azzurro, per A è una chiave d'interpretazione, un codice-porta da decifrare e attraversare, per B è un tabulato di registrazione (o trascrizione) fotografica. Partiti da due poli opposti - reportage postumo per B, esplorazione simultanea per A - entrambi finiscono per ritrovarsi all'interno dell"osservatorio' di Nanof, slittamento continuo del tempo e dello spazio in una partitura visionaria, che trova adeguata espressione nelle immagini iterate e martellate con dolce insistenza dalla musica alla Philip Glass di Piero Milesi. «Nelle esperienze musicali cui facciamo riferimento nel nostro lavoro, quelle dei minimalisti Usa - dice il regista, Paolo Rosa - c'è Da «Harlem Document», 1932 dedito da 5-6 anni alla realizzazione di programmi video e di videoinstallazioni (dal Crystals di Brian Eno a Milano al Nuotatore al Fortuny di Venezia). L'Osservatorio nucleare del sig. Nanof, con Valeria Magli e Giorgio Barberio Corsetti, è un percorso affascinante dentro una grammatica immaginaria, il rilevamento geologico di sintagmi visivi: quelli graffiti in 15 anni da un internato del manicomio Ùiminale di Volterra sull'intonaco di un muro di oltre cento metri, un accumulo quotidiano di immagini, racconti, personaggi, notizie. Su questo diario della pazzia, in cui affonda la cinepresa, facendone il perno del film, si innestano due vicende parallele, cronologicamente sfalsate. 1 protagonisti, A e B, sono attratti da quella scrittura murale: li» della parola riconoscendo, disseminati lungo un paesaggio esclusivam~nte linguistico, semantismi luminosi (la i tonica) e sonorità avvolgenti (la l geminata); o indaga, tra fecondazione e desolazione foneticamente assimilate, il Dichtersland del «guizzo», identificato con la vita viva, che dà barlumi. Inevitabile, in un'indagine che coniuga memoria e linguaggio coinvolgendoli, nella grammatica dell'inconscio, in un sistema fonico semantico, il ricorso al simbolico, pure se subito riconsegnato al ritmo semiotico di valenze incrociate: di qui anche sconfinamenti verso un ontologismo alla Valéry o alla Mallarmé, un rapporto tra animazione e inanimato incline a cogliere valori «essenzialmente suggestivi». Anche se poi gli Accertamenti . sono rigorosi ·e talvolta, quando si placa l'ansia anagrammatica, esemplari: il testo è allora puntualmente ricondotto alla interdi~ un ritorno del racconto, avvertibile pur attraverso la struttura cellulare». Il nuovo cinema ritrova dunque un posto anche per la vecchia fiction: ma filtrata dall'irrazionale, rigenerata nei territori della follia. Nelle scelte stilistiche dei nuovi autori ha anche molta parte un fattore apparentemente esterno: la scarsa disponibilità di mezzi,. se non tecnici, finanziari, insomma il pauperismo produttivo. Ai felliniani fasti, ancora recenti, di Cinecittà, si contrappone il fai da te del giovane film-maker. Il regista intraprendente deve perciò molto spesso accontentarsi di girare 'quasi' un film, costringersi a dare spessore e completezza a ipotesi di opere, più che a opere finite. Pellicole in cui l'happy end è da intendersi in termini soprattutto di bilancio, Le pendenza fonematica, alle catene di suoni che, da soli, si fanno portatori di una vicenda storica, misurandosi con la lingua della tradizione. All'altezza dei Mottetti il sistema fonico lessicale trova coinvolti, ad esempio, Pascoli e Dante, Petrarca e Valéry: ma è soprattutto il tasto D'Annunzio a consentire a Orelli autentici virtuosismi. Un D'Annunzio in apparenza così vicino a Montale da parere risemantizzato, sino alla curiosa, anacronistica rilettura 'anglicizzata' di Alcyone («e par di leggere Dylan Thomas tradotto da Montale»). Affrontata secondo i modi della metatesi fonica (pietra, brilla) Furit aestus appare davvero, in prospettiva, anticipatamente mon- • taliana («La forza annoda tutte le radici: I sotto la terra sta nascosta e immensa. / La pietra brilla più d'ogni altra inerzia (... ) I Quel che vivo mi parve, ecco, ora è spento»), come pure, per i semantismi notturni contrapposti ali' «acutezopere del nuovo cinema norditalico appartengono a un'area realistica di produzioni a singhiozzo («Prima o poi lo finirò - ci si sente \.f pondere dai giovani cineasti-. Intà~to è pronto per il festival. Quando 'avrò trovato i soldi, girerò quei quinili.fi-trenta minuti che andranno a integrare le parti mancanti»). Film-sintesi o pre-film, in sé conclusi ma ancora passibili di sviluppi, i quasi-lungometraggi dei filmmakers (come quelli di Soldi e Soldini, invitati al Festival di Berlino nella versione non conclusa,«un'ora sull'ora e 40 e che avevamo previsto»), stanno definendo una entusiasmante e inedita categoria estetica: quella del film già fatto e ancora da fare, realizzato in modo solo probabile, finito e da ricominciare, pellicola a molla, in diastole e sistole, autoridotta e, chissà, autocensurata. Come se il meccanismo produttivo e distributivo del film double face dell'universo cine- • televisivo romano - a durata Dallas o formato scampolo a seconda se destinato al piccolo o al grande scherrno - si sia contratto, nel più saggio cinema nordico, in un cinema con l'autosconto, in opere-saldo perché senza soldi. Soldini conferma a nome degli altri film-makers: «I nostri sono film piccoli, che non vuol dire mediocri, ma prodotti con minimi mezzi, in grado di raccontare solo poche immagini per volta». Né esplosioni, né scene di mas-· sa, né effetti speciali, niente di quella spettacolarità che ci hanno imposto il cinema Usa e il suo diretto dipendente, il cinema-Roma. Ma, dietro questa economicità coatta, c'è anche un progetto: «Non è detto che il futuro del cinema sia nelle megaproduzioni. Ci sono ancora tante piccole cose che non so- ·no state raccontate. Comunque c'è sempre un modo diverso di raccontarle. Di solito i film in petrodollari liquidano le cose piccole come scontate, poco cinematografiche». IL «piccolo cinema» alla periferia dell'Impero riparte da quanto è rimasto fuori dell'orizzonte produttivo e visivo del «grande cinema». Riparte dai margini della routine miliardaria, dal grado zero della produzione, dall'immagine spenta. Riscoprendo realtà che i colossi di cartapesta non sanno più riconoscere. Film-maker III Rassegna di film e video dei nuovi autori Cineclub Obraz e Anteo Milano, 31 gennaio-3 febbraio 1985 za estrema» (chiude - nube - aridità - folgore), Bocca. di Serchio. E tuttavia - la precisazione risulta fondamentale - la poesia di D' Annunzio si consegna a Montale scarnificata e spoglia, privata del 'come', e si trasforma in oggettiva, essenziale rappresentazione dell'attimo che brucia, in meriggi desublimati, preclusi alle metamorfosi paniche. Modi diversi di lettura per una voce ~he interpreta, insidiata e monca, il presente. Dal Quaderno genovese alle ultime liriche lè 'pro- ~ babilità' di Montale, raccontate in ~ -~ versi senza enfasi, tra romanzo e è5.. diario,\ incidono con forza il 'calco' ~ di un'esistenza. Il 'dono' spiccato ~ dal poeta-ombra ha perforato la o realtà «incredibile e mai creduta»: ~ lo accogliamo di nuovo, oggi, in f2 pegno, autovivisezione psichica di ?:2 un uomo non 'pneumatico', rifles- i.:! so durevole, nella decenza quoti- ~ diana, di una vita vera. .e::, g ,::s.

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