Alfabeta - anno VII - n. 70 - marzo 1985

pagna la tranquilla navigazione delle notizie economiche internazionali nei calmi laghi delle pagine specializzate. Anche questa volta la regola si è confermata. In tali occasioni, si tira fuori il servizio buono e si accolgono in prima pagina gli autorevoli pareri di columnists, «argentieri» ed esperti di vario genere. In fondo, ciò è del tutto comprensibile. Entrare nei meandri delle cifre del bilancio federale degli Stati Uniti non è un'impresa molto «popolare». Il dollaro a quota 2000, invece, è una notizia che si vende da sola e fa temere immediate ripercussioni per le tasche del cittadino italiano. Scelta comprensibile, dicevamo, ma non necessariamente da condividersi. Un vecchio detto afferma che, quando l'America starnuta, l'Europa prende il raffreddore. Era un aforisma saggio, la cui validità aumenta con il tempo. How world economies will stumble if U.S. growth slows è il titolo di un articolo pubblicato da Business Week del 4 febbraio. Possiamo tradurre: «Come le altre economie finiranno per inciampare se la crescita degli Stati Uniti rallenta». Le esportazioni verso gli Usa, negli scorsi anni, sono velocemente salite per tutti i paesi europei, per il Giappone, per i paesi di nuova industrializzazione; in questi paesi, l'inflazione è scesa e lo sviluppo è ripreso, fa osservare il settimanale americano: «la verità è che le aziende straniere sono più legate che mai agli Stati Uniti». Questo tipo di diagnosi non è molto condiviso in Europa, e neppure in alcuni ambienti dell'establishment americano, come avevamo rilevato in una precedente analisi sull'argomento (L'altra faccia del dollaro, ottobre 1984) dopo che, verso la metà dello scorso settembre, il dollaro aveva superato le 1800 lire, sollevando il consueto sciame di titoli di testa e • di «opinioni». Nel frattempo, Reagan è stato rieletto, l'economia americana ha continuato a tirare - come si dice-, accumulando un gigantesco deficit nel bilancio federale e un deficit altrettanto gigantesco nella bilancia dei pagamenti: per la prima volta si profila la prospettiva che gli Stati Uniti diventino un paese «debitore» verso l'estero. Siamo nell'epoca in cui il recente congresso degli economisti americani, riunitosi a Dallas poco dopo Natale, in un clima di totale depressione, ha dovuto riconoscere che da anni si sbagliano sistematicamente analisi e previsioni (cfr. Economists are this year's endangered species - Gli economisti sono la specie in pericolo dell'anno, Business Week, l4 gennaio). «La sessione sulle prospettive economiche, che negli scorsi anni vedeva la presenza di centinaia di specialisti, ha attratto solo una ventina di persone», scrive Business Week. Noi ci uniremo di certo al gruppetto dei temerari che si avventurano in diagnosi sulla voo- , doo economics di Reagan. Da settembre in qua, non pare che l'atteggiamento europeo verso l'America di Reagan sia mutato in modo notevole, anche se, qua e là, qualche governo cerca di imitarne le politiche di riduzione delle tasse e di crescita-senza-inflazione. Una °' verifica, per quanto riguarda l'lta- ~ lia, si può avere leggendo i quoti- .:; diani in occasione del messaggio gf> sulla stato dell'Unione. ~ ~ È sufficiente leggere alcuni pas- :2:: si del discorso per convincersi che o esso è gonfio di retorica, ma, cer- ~ tàmente, non privo di solidi legaE mi sia con le politiche che Reagan ~ pratica effettivamente, sia con la li:! «filosofia» e con i valori sui quali ~ Reagan ha eretto la sua fortuna l elettorale e la sua popolarità. Ci- ~ tiamo qualche passo dalla traduzione pubblicata da Mondo Economico, a cura di Alberto Pattono. «(... ) Quattro anni fa assicurammo che dando alla gente maggiore libertà, incentivandola maggiormente ad assumersi dei rischi, e lasciando loro una quota maggiore del loro guadagno, saremmo stati in grado di rafforzare la nostra economia. Questa promessa è stata mantenuta, e oggi un grande ridurre la spesa pubblica consiste nel ridurre l'esigenza stessa di tale spesa aumentando la prosperità del paese ( ... ). «Puntare decisamente verso l'equilibrio del bilancio significa anche alleggerire il peso dello Stato nella nostra economia. Non otterremo certo questo scopo aumentando le tasse, ma dobbiamo fare in modo che la nostra economia cresca a un ritmo più veloce della South Dakota 7, 1970 colosso industriale è tornato a vivere( ... ). È giunta l'ora di procedere verso una nuova grande sfida: una seconda rivoluzione americana, una rivoluzione piena di speranze e di prospettive. Una rivoluzione che porterà ancora più in alto il nostro progresso, che amplierà le frontiere della conoscenza e dello spazio. Una rivoluzione dello spirito che solleciterà l'anima dell'America (... ). spesa governativa (... )». Questo autentico inno al progresso e allo sviluppo economico, che raggiunge talora toni quasi faustiani, non può che lasciare perplessa un'Europa dove, anche negli ambienti della sinistra, il «mito del progresso» è guardato come un ferrovecchio, talora con toni quasi spengleriani. Le perplessità di fronte al proclama ·della «seconda rivoluzione In tutte le edicole e nelle principali· librerie Sfidiamo per prima cosa vecchi luoghi comuni: la mente umana non ha limiti, lo spirito dell'uomo non ha alcun muro intorno a sé, il nostro progresso non ha barriere fuorché quelle che noi stessi erigiamo( ... ). «La cura migliore per ridurre il deficit federale è la crescita economica. Ciò significa nuove imprese, sempre più posti di lavoro, sempre più gente che riceve denaro e che paga le tasse. Il modo migliore per americana1> hanno lasciato il segno, complice il fuso orario (il discorso di Reagan è stato pronunciato alle 3 del mattino, ora italiana, di giovedì 7 febbraio). Miracolosamente, il Corriere della Sera di giovedì esce con una corrispondenza in prima pagina, anche se non in grande evidenza (Come sarà il Reagan secondo); l'articolo sembra in grado di riferire solo i tratti essenziali e riduce al minimo gli aspetti enfatici del discorso. Il giorno dopo, venerdì, La Stampà, Il Giorno, l'Unità (per fare qualche esempio) e lo stesso Corriere della Sera riprendono il messaggio sullo stato dell'Unione con rilievo mediocre, in pagina interna. Persino // Tempo, il cui direttore, Gianni Letta, non nasconde la sua ammirazione per Reagan, relega il resoconto nell'angolino basso della prima, su due colonne; in prima pagina, e con un certo rilievo, La Repubblica titola: Uno show di Reagan/«L'America avanza,./«È una seconda rivoluzione,.. La stampa italiana orientata a sinistra avrebbe avuto buon gioco nel sottolineare al massimo come, nel progetto di bilancio di Reagan, il solo capitolo di spesa in netto incremento .sia quello militare. Aggiungendo, come fanno molti esponenti democratici del Congresso, che la spesa militare in continuo aumento è alla base dello spaventoso deficit federale. La stampa italiana orientata in senso moderato avrebbe avuto buon gioco nel sottolineare al massimo la «seconda rivoluzione americana», la filosofia ottimistica e liberistica che sta alla base dei successi economici reaganiani. Anche nell'ottica ristretta degli argomenti di facile presa, ci si poteva attendere che avvenissero amplificazioni di questo tipo. Tutto sommato, non è accaduta né la prima, né la seconda cosa. L'attenzione si è fissata ipnoticamente sull'ascesa del dollaro che, alla fine, è solo il sintomo esteriore di fattori '-economici (e politici) ben più radicali. Si ha quasi l'impressione che si continui a guardare a Reagan come a uno showman, un «grande comunicatore» che non ha niente da comunicare. La sua politica conomica è vista come una sorta di funambolismo, basato sul «trucco>> di risucchiare fondi sul dollaro con alti tassi di interesse. Si attende, con malcelata ansia, che il funambolo cada dal filo, e con lui il dollaro. Può darsi che le cose vadano secondo queste attese. Intanto Reagan procede per la sua strada per il quinto anno consecutivo; nessuno può smentirlo quando afferma che l'economia Usa è in espansione da 25 mesi e che «ciò non accadeva da 34 anni». Nel frattempo, ha praticamente licenziato il Council of Economie Adviser, un tempo ascoltato e prestigioso consesso di economisti, incaricato di assistere il Presidente nelle sue scelte. Forse aveva ragione The Economist quando, nel suo bilancio di fine anno, scriveva che «Ronald Reagan è uno dei presidenti più ideologici che l'America abbia mai avuto» e che, in Europa, «molti hanno difficoltà a riconoscere che il dibattito avvenuto in America negli scorsi anni ha avuto un carattere ideologico. Ciò avviene perché gli europei tendono a pensare le idee pubbliche in termini di ferrei concetti ottocenteschi - per esempio in termini di classe - che non significano molto. Il pensiero politico che oggi conta riguarda la liberazione dei mercati e degli inçlividui dall'autorità dello Stato in un'era di mutamento tecnologico. Le idee più interessanti su tali argomenti sono state sviluppate negli Stati Uniti». Per quanto riguarda l'Italia, si ha l'impressione che la nostra stampa (forse la nostra cultura), disponibilissima a mandare in soffitta i «ferrei concetti ottocenteschi», e a erigere piedistalli per la mitica dea America, non per questo sia meno impacciata nell'affrontare quello che è accaduto, e sta accadendo, nell'America meno mitica che si legge quotidianamente sulle pagine del Wali Street Journal. Forse siamo troppo occupati con Santa Maria Goretti. novità di filosofia Aldo G. Gargani Lo stupore e il caso pp. XVl-196, lire 20 000 Giuseppe Bedeschi Introduzione alla Scuola di Francoforte pp. IV-186, lire 12 000 Gianni Vattimo Introduzione a Nietzsche pp. IV-194, lire 10 000 Peter F. Strawson Saggio sulla «Critica della Ragion pura» pp. Vlll-286, lire 28 000 A. Bausola, G. Bedeschi M. Dal Pra, E. Garin M. Pera, V. Verra La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi pp. IV-436, lire 30 000 Editori Laterza caseaditricmearietti NARRATIVA Rudolf Brunngraber KARL E IL VENTESIMO SECOLO Prefazione di Cesare Cases Pagine XVII+ 180, lire 17.000 Un «piccolo uomo qualsiasi» partecipa alla prima guerra mondiale ed è travolto dalla crisi post-bellica. Una «cascata di storia» che intesse vertiginosamente il percorso della vita individuale con i processi collettivi che l'alienano. Roberto Pazzi CERCANDO L'IMPERATORE Prefazione di Giovanni Raboni Pagine X+ 176, lire 16.000 Russia 1917. La tragicaprigionia della famiglia imperiale. Il reggimento Preobrajensky, sperduto in Siberia cerca di raggiungere Nicola Il... Una figura del Potere svanisce nella tempesta della Storia. SAGGISTICA Jacques Gernet CINA E CRISTIANESIMO Nota introduttiva di Adriano Prosperi Pagine XXIV+270, lire 29.000 In una sorta di «rovescio dell'evangelizzazione», la storia, le strategie e le astuzie della penetrazione pacifica del cristianesimo in Cina. Siegfried Kracauer JACQUES OFFENBACH E LA PARIGI DEL SUO TEMPO Pagine 306, lire 30.000 Doppia biografia, di un uomo e di una città. La figura del maestro dell'operetta nella Parigi del Secondo Impero con «i suoi protagonisti, il suo apparato di potere, le sue feste e la sua dissoluzione». STUDI RELIGIOSI Martin Buber LA FEDE DEI PROFETI Nota introduttiva di Andrea Poma Pagine XLII +240, lire 26.000 Il rapporto diawgico fra il Dio di Israele e il suo popolo. Il messaggio profetico e la speranza messianica. Un'interpretazione complessiva e unitaria del significato dell'Antico Testamento. Distribuzione, P.D.E., DIF.ED. (Roma), Magnanelli (To).

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