I Peuls del Sénégal, cugini dei Berberi Zénegas, che hanno dato al mio paese il suo nome, definiscono così la poesia: «parole piacevoli per il cuore e l'orecchio». E infatti ci sono tre elementi, essenziali, che caratterizzano la poesia africana. E sono le immagini analogiche, la melodia e il ritmo. Per i miei esempi, mi baserò soprattutto sulle «poesie ginniche» della mia etnia sérère. Ho raccolto queste poesie ginniche, vale a dire poesie di lotta, dalle bocche delle mie tre grazie, poetesse popolari del mio villaggio. Faccio notare, tra parentesi, che la poesia araba, la poesia semitica in genere, presenta numerosi tratti comuni con la poesia africana. E benché sia possibile distinguere tra poesia egiziana, poesia berbera e poesia più specificamente negro-africana, non ci sono differenze fondamentali tra di loro, come si vedrà. Primo elemento caratteristico della poesia africana è l'immagine simbolica, «l'immagine analogica», come dicevano i surrealisti, quella che unisce il visibile e l'invisibile, l'elemento materiale e quello spirituale. Come in questi tre versi di una poesia berbera dell'esilio, che canta la bellezza di un giovane emigrato in Francia: «D'oro e diamanti è il suo viso / dove non si nasconde menzogna alcuna,/ è alto come la palma del deserto». E gli fa eco una ragazza del mio villaggio, che canta la bellezza del fidanzato: del suo «Nero slanciato». Perché, nel Sénégal, per essere belli, bisogna essere alti, veloci e neri come l'ebano. Ascoltatela: «Che belli i giovanotti, I Campione di Fatù; I E che massaggiano sei tu, I con un vaso d'olio». Sei tu quello che massaggiano, perché sei il più bello. Il secondo elemento della poesia africana è la melodia. Nella mia lingua madre, come nelle lingue del gruppo dell'Atlantico occidentale, nelle quali l'accento intensivo è sulla prima sillaba, dominano gli effetti •di allitterazione. Tuttavia, sono frequenti allo stesso modo anche le assonanze. Ed ecco un valido esempio. Siamo ancora nell'ambito dei canti ginnici, i quali, come gli haikai giapponesi, Il suggestivo scritto di Senghor che qui pubblichiamo non solo ci gratifica come tutte le belle utopie ma ci costringe a riflettere non oziosamente sul destino della poesia nel mondo occidentale. Va da sé che l'Africa per noi più che Madre può essere un esempio e anche molto salutare, come lo è stata per l'arte di questo secolo, e che non dobbiamo rinunciare alle nostre caratteristiche e tradizioni, che a sua volta l'Africa riflette (da noi è certopiù problematico ma non impossibile un rapporto costante tra poesia e danza, trapoesia e musica e di fatto viene praticato, sia pure eccezionalmente); ma quello che ancora ci manca è l'inserimento l'Africa-madre· sono brevi, dai due ai quattro versi: «Daankiim, ngel né mfeeka; / Lam la mi caala a yuube». Si tratta di una ragazza che ha visto il suo «campione», vale a dire il suo fidanzato, trionfare nella lotta sulla piazza del villaggio. Ed esprime la sua gioia, che è per lei come un gioiello. Traduco: «Non dormirò sulla piazza, ma veglierò; / io, tam-tam adorno di una collana bianca». Osserviamo il ·secondo verso dell'originale. C'è, all'inizio, una allitterazione in 1am la e un'assonanza tra 1amla e caala. Ma non è tutto. Avrete notato, infatti, che, in questo verso di otto sillabe', cinque hanno la vocale a, che esprime, qui, la gioia col risalto di quel biancore. Rassicuratevi, gli africani non hanno complessi. E lo stesso popolo sérère esprime la bellezza nera attraverso il risalto della Leopold Senghor vocale a, come in questi versi, che cantano l'eleganza di un giovane di nome Lang Sar: «Lan Sar a lipwa pay baal, / O fes o genooc, nan fo sorom». Traduco: «Lang Sar ha indossato un perizoma nero,/ Un giovane si è alzato come un arbusto». Come avrete notato, nel primo verso (dell'originale), su sette sillabe sei hanno la vocale a. Dalla melodia, passiamo al ritLima 58, 1975 mo africano, che io ho definito: «serie di ripetizioni che non si ripetono». Infatti, la stessa parola viene ripresa, e così lo stesso sintagma o la stessa espressione: ma non allo stesso modo. L'elemento che si ripete si colloca in un'altra posizione del verso, o viene leggermente, modificato. Come in questi versi estratti da una poesia ginnica wolof del Sénégal. Si tratta di un campione di lotta che sfida i suoi antagonisti, e salmodia la sua poesia camminando, rit~ndola con le sue lunghe braccia e gambe: «Kandaadat, pat um Ndar, maa ko daan. /- Dege le!/ Muusa Gey ça Kees-Kaay, maa ko daan. I - Dege le!/ Ma né Asan Fay Tengegeej, maa ko daan. / - Dege le! / Ma di ko nax, di ko nax, di ko nax. I - Dege le! / Ma di ko nax bé mu kosté ci man./- Dege le!/ Weex u Naar laa ko jox, bajo yés. / - Dege le!/ Té fi ma jaar, ku fa jaar taxa ban. / - Dege le!». Traduco: «Kandadate, il guercio di Ndar, io l'ho battuto. / - È così!/ Moussa Gueye di Thiès-Kaye, io l'ho battuto. / - È così! / E Assane Faye di Rufisque, io l'ho battuto. I - È così!/ Io lo attiro, io lo attiro, io lo attiro./- È così!/ Io lo attiro fino a che lui si accosta. / - È così! / Come un Moro io lo Un'ambiz~osparoposta della poesia nel sistema generale delle arti. Non vi è manifestazione ufficiale che metta in programma la poesia. Non lo fa la Biennale veneziana, non lo fa quella parigina. La poesia si regge, da questo punto di vista, sull'iniziativa di pochi e singoli (Polyphonix o Milanopoesia), ma non ha ancora un punto di riferimento più stabile. L'anno scorso nell'ambito della Biennale veneziana qualcuno ha parlato di un «progettopoesia» ma tutto sembra caduto nel vuoto. Prevalgono le resistenze di derivazione scolastica, come fosse accettata senza discutere la convinzione che la poesia non serve a nulla. Non è un business... Il che è forse vero ma ininfluente rispetto al nostro discorso. C'è in realtà una forte richiesta di poesia e di manifestazioni legate ad essa che trovano poche e sporadiche risposte, le quali risposte riscuotono comunque un successo sempre eccezionale, da Parma a Roma, da Milano a Palermo. No,n sembra dunque prematura né tanto meno stravagante l'idea di fare entrare la poesia, in tutte le forme oggi praticate e con tutte le possibili simbiosi, nel circuito generale delle manifestazioni culturali. Di più, i tempi sono ormai maturi per proporre· a Milano un centro permanente .di documentazione e informazione sulla poesia nel . mondo, cui si possa fare riferimento per qualsiasi richiesta, dallo studio allapossibilità di incontri regolari con i poeti di ogni lingua, linguaggio e nazione, a partire da quell'Africa-madre di cui ci parla Senghor. Non sfuggirà a nessuno che un centro siffatto avrebbe anche una straordinaria importanza politica: in molte parti del mondo i poeti (e gli scrittori) sono perseguitati, imprigionati e a volte assassinati. Spesso non possono lasciare il loro paese nemmeno per una lettura e vengono dichiarati «irreperibili». È in gioco la libertà di linguaggio, dunque di pensiero. Certo, i poeti non possono vivere nelle riserve o afferro e lui crolla./- È così!/ Chi mi incrocia va all'inferno. / - È '' COSI.». Avete ascoltato, ritmate, le ripetizioni che non si ripetono1 • Le si ritrova nel!'Africa del Nord, presso i Berberi del Maghreb, ma anche presso gli Egiziani. Eccone un esempio, tratto dal Libro dei Morti: «Ecco che ho riunito I Tutte le parole di Potenza / Di tutte le regioni in cui si trovavano / Come nel cuore di tutti gli esseri umani / Che hanno potuto ospitarle. / E io le cerco e le riunisco / Più veloce della luce / Più zelante di un cane da caccia. / Sono colui che fa sorgere dagli abissi gli dei / E che, compiuto il loro ciclo, / Li vede discendere verso il Nulla / E verso la distruzione per opera del Fuoco. I Ecco che ho riunito tutte / le Parole di Potenza I Che io cercavo più veloce della luce, / Più zelante di un cane da caccia». 2 M a andiamo più lontani nel ritmo, fino alla prosodia o, più precisamente, alla metrica. Quando ero studente all'Istituto di Etnologia di Parigi, ci insegnavano che non c'era poesia nelle letterature orali africane: semplicemente «prosa ritmata». Come se non fosse, proprio questa, la definizione stessa della poesia. Poi, un giorno, misi delle poesie senegalesi in formule matematiche. I versi di prima, per esempio, ognuno con la ripetizione· di Dege le, «È così»3 sono dei tetrametri di 12 sillabe, formati dunque, ciascuno, di quattro metri o misure. E il ritmo di base del verso, scandito dal tamburo, è 3+3+3+3. Tuttavia, la realtà è più complessa. Infatti ci possono essere, nel verso, controtempi e sincopi, o addirittura dei silenzi. Così ognuno dei 4 metri può avere 3 sillabe, 2 sillabe, 1 sillaba o uno zero, vale a dire un silenzio più o meno lungo. Ma andiamo avanti. La poesia di lotta in questione è a più voci. C'è, da una parte, tin campione di lotta, che fa il .corifeosalmodiando • la poesia, e, dall'altra, ci sono gli spettatori, che fanno il coro sottolineando il loro consenso nell'ultimo metro: Dege le: «È così». Ma talvolta, prima ancora che il coro abbia salmodiato a sua volta il quarto e ultimo metro, il campione-corifeo attacca il verso seguenal di fuori delle lotte e delle trasformazioni socio-politiche in cui nascono, ma sarebbe comunque di grande conforto e aiuto sapàe che in alcune città del mondo vi possono essere centri di appoggio e protezione, magari momentanea. In questo periodo si parla molto, e giustamente, dell'iniqua sorte degli scrittori da vecchi; ma una cosa è certa, che i poeti rischiano di essere abbandonati anche da giovani, a cominciare dal rifiuto e dal disprezzo di quei valori linguisticoespressivi di cui sono gli umili o geniali interpreti. A.P.
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