Pierre Bourdieu Homo academicus Paris, Minuit, 1984 pp. 302, ff. 85 Jean-Paul Aron Les Modemes Paris, Gallimard, 1984 pp. 318, ff. 75 Anna Boschetti L'impresa intellettuale. Sartre e «Les Temps modernes~ Bari, Dedalo, 1984 pp. 383, lire 22.000 A Parigi, nel novembre 1984, sono curiosamente usciti insieme due saggi sullo stesso argomento: la storia degli intellettuali dal dopoguerra a oggi. Con Homo academicus, Pierre Bourdieu tira le somme di un lavoro iniziato negli anni Sessanta (vedi Les héritiers, scritto in collaborazione con J.-Cl. Passeron): una sociologia dei «maltres à penser» che, vista la configurazione storica del campo, interroga innanzitutto l'istituzione universitaria. Fin dalle prime pagine, difende la sua scelta di non fare nomi: «Per quanto mi sia sforzato di evitare le notazioni suscettibili di funzionare nella logica comune del pettegolezzo, della maldicenza, della calunnia, o in quella del libello e del pamphlet che, pur mascherandosi oggi da analisi, non sacrificano un solo aneddoto, una sola spiritosaggine, una sola battuta al piacere di ferire o di brillare; per quanto abbia rinunciato metocltcamente a ricordare gli affari notla tutti, i legami dichiarati tra gli universitari e il giornalismo, per non parlare dei legami nascosti, familiari o altri, che gli storici si faranno un dovere di svelare, probabilmente non sfuggirò lo stesso al sospetto che stia esercitando una azione di denuncia, di cui solo il lettore, però, è responsabile». Ma quelle «strategie della polemica, dell'insinuazione, dell'allusione, del sottinteso», prima ancora del lettore, è stato Jean Paul Aron a metterle in atto. In Les Modernes, vede nella storia culturale francese, una progressiva glaciazione del senso e dei sensi, effetto perverso della fusione del professore e dello scrittore in un individuo ibrido, puro terrorista delle idee, senza arte né parte. Aron non ha certo gli scrupoli di Bourdieu, di cui peraltro riprende alcuni effetti lessicali o concetti fra i più divulgabili, senza mai nominarlo. Strana dimenticanza, quella della sociologia, in un saggio che, dalla psicanalisi alla storia, dalla pittura alla musica, dal fatto di costume alla politica, chiacchiera di tutto con una trivialità fatta di malevolenza e di buon senso, propria delle maggioranze silenziose. «Il teatro contemporaneo - stigmatizzava Artaud - è in decadent-... za perché ha perso il senso sia del- ~ la serietà che del riso». Questo .s giudizio, ricordato da Aron nel ~ suo libro, privo del resto sia dell'uno sia dell'altro, è facile invece applicarlo al lavoro di Bourdieu. Recensendolo, non si può non insistere su quell'intreccio di rigore e di humour che meglio caratterizza le sue pagine. Humour nero che, nella Distinzione per esempio, na- ~ sce dal blasfemo contro l'aura più -Cl sacra della nostra individualità: i ~ - ~ gusti, le opinioni, il modo di vestiHomoacademicus re, di mangiare, di arredare la casa o di battezzare i figli... Non più espressioni di una squisita originalità, _bensìatti contabili e ripetuti di una strategia sociale, così introiettata da diventare 'naturale',· automatica, inconsapevole. Chi si è indignato di più non è il proletario, abituato a sentirsi dire che può solo piacergli Claudio Villa, ma l'intellettuale, offeso che gli venga mostrato, statistiche •alla mano, come il suo amore per Bach e Schonberg sia comune a tutti gli intellettuali nella sua posizione o come, a un certo punto della propria carriera, non si mangino più banane, bensì kiwi. L'effetto comico proviene proprio da una trasgressione: far vedere che l'intellettuale, come tutti gli altri, non sfugge né al suo corpo, né alla società. Dissacrazione un po' simile a quella di Arbasino quando il suo approccio a un Grande poeta pasLaura Kreyder nello spazio, in cui operano gli intellettuali, definendo sia le loro posizioni sia le loro traiettorie in termini di strategia volta ad assicurarsi «il monopolio della legittimità», produce irritazione. In primo luogo, negli attori i quali, come in un campo di battaglia o in una scena di vaudeville, si «piazzano», ognuno a seconda delle proprie possibilità o di quelle offerte oggettivamente dal campo stesso. Nel suo ultimo libro, Pierre Bourdieu traccia una mappa del campo universitario, sottospecie del campo culturale, intento a evidenziare la topografia del luogo in cui nascono i discorsi scientifici e critici odierni, a cominciare dal suo. Sempre di più, l'universitario tradizionale, così come si è definito durante la Terza Repubblica, dall' Affaire Dreyfus in poi, da protagonista della diffusione del sapere qual era, viene ad essere Ricordando Joseph Cornell in Merida 23, 1974 sava attraverso l'esame delle sue funzioni intestinali. Nello stesso modo, la Beauvoir, desiderando rievocare un Sartre che, in quanto corpo biologico e storico, apparteneva solo a lei, trovò come unica soluzione quella di raccontarne l'agonia fatta di purulenze e deiezioni. Donde lo scandalo e il disgusto del critico medio (si voleva il ritratto postumo del grande Uomo, pudicamente tratteggiato dalla grande Vedova, e invece toccò subire la descrizione puntigliosa dei vomiti e delle diarree). Mal si tollera inoltre, che il «penseur» sia definito socialmente, se non come appartenente a quell'olimpo superiore ad ogni interesse di classe, che è la società degli intellettuali. Tutt'al più, egli ricorda la propria provenienza, ma si corregge ben presto nell'esporre come l'accesso al mondo delle idee e delle forme lo abbia emancipato da ogni stretta determinazione di censo, di scuola, di parte (confortato in questo dalla teoria marxista dell'intellettuale che sceglie la classe al servizio della quale operare). Questi rifiuta ogni condizionamento, ogni complicità, ogni incrinatura alla sua immagine di coscienza fattasi Verbo, «poiché chi entra nel campo letterario e artistico ha interesse al disinteresse». Ricostruire quindi il campo culturale det~rminato nel tempo e estromesso dalle istituzioni del riconoscimento allargato (case editrici, riviste, giornali), e si limita a gestire e ad ampliare la sua fetta di potere accademico (reclutamento, presidenze di giurie, di facoltà, rettorato, attribuzioni di finanziamenti, insegnamento), mentre chi proviene dall'editoria e dai circuiti della grande diffusione entra a sua volta nell'università, dedicandosi alla produzi<;_>nsceientifica. Il tutto in un clima conflittuale e con grande disprezzo reciproco. Il campo si trova doppiamente orientato: da una parte l'alto funzionario oscuro, «sconosciuto al grande pubblico colto»1; dall'altra il ricercatore brillante, con poco potere istituzionale, ma molto prestigio culturale. Il potere accademico rispetta la spartizione del campo in materie e discipline e si distribuisce soprattutto tra le facoltà di medicina e di diritto, mentre quelle umanistiche sono piuttosto rivolte all'acquisizione di profitto simbolico (ricerca pura). Questo «conflitto delle facoltà» o si era stabilizzato in un equilibrio in cui ognuno ritagliava la sua parte fino al «momento critico». Il Sessantotto è analizzato da Bourdieu come la crisi di varie categorie universitarie e studentesche, sotto la spinta dell'incremento demografico, di un reclutamento apparentemente selvaggio ma limitato nella gerarchia, delle nuove possibilità di riconversione e di investimento che rappresentano le scienze umane, per le quali non sono state ancora predisposte forme canoniche di assunzione. Nascono così spettacolari speranze (l'accesso per molti a gradi universitari) che vengono surrettiziamente negate (mentre sono reclutati molti agenti nelle fasce inferiori, assistenti o precari, i cattedratici crescono in numero assai minore), chiudendo gli aspiranti legittimi, come i «miracolati>~,in una situazione senza uscita. Tanto più che tutti hanno introiettato regole di carriera che non corrispondono alla nuova realtà, come l'onnipotenza imparziale del concorso nazionale o il prestigio indiscusso delle pubblicazioni. Le pagine di Bourdieu sulle modalità di reclutamento, sui loro meccanismi latenti, sull'immagine che i candidati se ne fanno, sono preziose anche per noi. Nepotismo e cooptazione rimangono, alla fin fine, i modi legittimi quanto impliciti di garantire la riproduzione dell'istituzione laddove «si sa - ed è una delle caratteristiche più rivelatrici del campo universitario che proclama di riconoscere solo i valori scientifici - che non ci sono del tutto, o ben pochi veri criteri istituzionali del valore scientifico». I funzionari incapaci di ricono- • scere il cambiamento, i quali vedono nella carriera universitaria di un tempo l'unico modello valido, come «grandi animali ma- . rini naufragati sulla spiaggia che continuano a vivere al ritmo delle maree», convivono conflittualmente con i pidocchi nervosi, pieni di brillanti idee e di relazioni lusinghiere nel mondo editoriale e giornalistico. Conflitto antico quanto modulato nei decenni: dall'invalicabile scissione tra professore e creatore, all'epoca di Zola, fino alla sintesi operata da Sartre, di cui possiamo ripercorrere la lunga traiettoria nel saggio dedicatogli da Anna Boschetti. Con un curriculum che lo votava a una tipica carriera professionale (normaliano, uscito primo dalla sua promozione alla «agrégation»), Sartre cumula i titoli della legittimità filosofica, ma rimane sempre attento al pubblico allargato come romanziere, e soprattutto come drammaturgo, giornalista, sceneggiatore per il cinema. La svolta successiva, frutto di una tradizione che risale al Romanticismo, sarà l'engagement, il passaggio dalla teoria dell' «uomo solo» a quella dell'«uomo totale come intellettuale». Una rivista infine, Les Temps modernes, diviene il mezzo per consolidare l'operazione. Il titolo del saggio di Anna Boschetti, L'impresa intellettuale, ci invita a vedere in Sartre un imprenditore che, nella sua scalata al potere, monopolizza i segni del riconoscimento, capo di un trust che concentra nelle sue mani tutti gli strumenti e tutti gli emblemi della dominazione del mondo culturale, pur mantenendo (ed è una delle condizioni irrinunciabili della legittimità) le apparenze dell'autonomia e dell'indipendenza nei confronti del potere economico, affermando quindi il diritto alla buona coscienza e al profetismo. Non a caso, con una perfetta denegazione, il tipo del «salaud» ossessiona l'intellettuale sartriano che, per quanto inavvertitamente o consapevolmente faccia sempre la mossa giusta, sente l'eterno bisogno di esorcizzarlo, esibendo le sue «mani pulite». Trionfa il mito della coscienza dolorosa ma trasparente, della coerenza tra pensiero e azione, scrittura e vita personale. Vestale della buona fede, Simo~ ne de Beauvoir è incaricata di testimoniare pubblicamente la schiettezza delle scelte intime. La rivista permette di pilotare l'attualità, di coprire tutti gli avvenimenti, di commentare e divulgare ogni presa di posizione. I discepoli si dividono i lavori subalterni: riscrittura, diffusione della buona parola, giornalismo, entrismo negli organi di opinione e nelle istituzioni. .Un lustro o due della vita intellettuale francese sotto la dominazione di Sartre ci viene così raccontato. È lo stesso effetto «inquietante e suggestivo»2 , ma anche spesso feroce e divertente, dei lavori di_Bourdieu ai quali Anna Boschetti esplicitamente si riferisce. È anche l'occasione per delineare l'ambito di riviste quali Esprit, Critique, Nouvelle critique dal '39 al '50; per rifare la storia . della redazione dei ·Temps modernes; per tracciare un ritratto esilarante degli epigoni, particolarmente mediocri o sfortunati (i vari Roger Stéphane, Bost, fino a Benny Lévy che ancora oggi si agita nella vetrina culturale); per ricordare le tappe dei grandi duelli, silenziosi e crudeli, con i concorrenti alla legittimità: Camus, Raymond Aron, ma soprattutto Merleau-Ponty, cui l'autrice, senza dissimulare la sua simpatia, consacra numerose pagine. La copertina ci mostra Sartre, piccolo uomo in nero, solo in un paesaggio lunare, curvo in avanti, che sale, assorto, lungo una china. Ma in questa fatica, c'è stato anche molto sperpero: inter~essano ormai soprattutto i suoi scritti autobiografici, La nausea, oppure le novelle, mentre teatro, pensiero filosofico, critico e politico vengono dimenticati. Una certa critica sta elevando un mausoleo tipicamente accademico a un autore seppellito nei manuali3; come Camus, Sartre finisce coll'essere un maestro per le quinte liceali. Anna Boschetti ricostruisce le ragioni di un mito, esamina la parte meno riletta della sua opera, collegandola ad un tragitto logico, e infine distrugge ogni velleità agiografica o censoria, e tutti i buoni sentimenti dei sartrologi. Oggi, in Francia, primi nelle classifiche librarie, sono i due Aron: Raymond, rivale un tempo sfortunato di Sartre, liberale imbalsamato da una morte nemmeno precoce, e JeanPaul,. magro emulo di un Cioran malinteso. A ben vedere, è pur sempre meglio rileggere Sartre. Note (1) Maggiore rimprovero rivolto all'ambiente universitario da T. Maschi-· no, uno dei più virulenti pamphlettisti con vocazione al «vituperio contro la scuola» nati come funghi e con grande successo in libreria dopo il 1981. (2) In Questions de sociologie, Pierre Bourdieu si dichiara compiaciuto del- !' «effetto suggestivo e inquietante» che i suoi libri hanno sui «guardiani del- !' ortodossia». (3) Vedi per esempio la neonata rivista Etudes sartriennes. Cahiers de sémiotique textuelle, pubblicata dall'Uni-- versità Paris X, n. 1, 1984.
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