Alfabeta - anno VII - n. 70 - marzo 1985

e ontinua il malcostume degli editori italiani di pubblicare traduzioni di traduzioni non appena si esca dalla pratica delle lingue europee. Giorgio Mantici, sinologo e yamatologo, scrive a proposito di una ristampa italiana dello Scimmiotto, un classico della letteratura cinese il cui titolo originale Xiyou ji vuol dire «Viaggio in Occidente», la cui traduzione italiana è condotta sulla parziale traduzione inglese che Arthur Waley pubblicò a Londra nel 1944, scrive dunque: «Proviamo soltanto a immaginare se tutta la Recherche proustiana venisse pubblicata in traduzione italiana dalla pur eccel- ~ . )ente e 'classic.a'.traduzione inglese di C.K. Scott Moncrieff, e per di più ridotta in due volumi di duecentocinquanta pagine ciascuno, sotto il titolo Charlus e i Guermantes. ( ... ) Eppure, se ciò si verifica nella realtà per quanto concerne un classico della letteratura cinese, nessuno se ne accorge, nessuno si indigna, nessuno reclama scrupoli filologici... »' (Prometeo, giugno 1984, Mondadori). Anche il diario di Murasaki Shikibu pubblicato da Feltrinelli ha subito la stessa sorte. L'apparato critico è quello di Richard Bowring, però ridotto. E il testo? Ebbene, il testo che sottostà a questa traduzione non è quello che Murasaki Shikibu compose intorno all'anno Mille (riportandosi alla datazione occidentale), bensì la traduzione inglese fatta dallo stesso Bowring e inoltre anch'essa ridotta. È un eccesso di ingenuità o è un moto di inatteso umorismo o è l'intenzione dt confondere le acque che ha spinto il nostro traduttore a mettere come nota alla traduzione italiana la· nota che lo stesso Bowring antepose alla propria traduzione in inglese e in cui fa esatto riferimento alle proprie fonti giapponesi? Oltretutto il Nostro condisce la propria scrittura di certe disinvolture e rozzezze che con la scrittura dell'originale non hanno niente a che fare: e come avrebbe potuto accorgersene, visto che l'originale gli è del tutto sconosciuto? La considerazione della scrittura del testo è in tutti i casi fondamentale. Ma è tanto più pressante in questo caso dove ha una sua specifica importanza connessa all'origine stessa dell'opera. Va ricordato che fino a un'epoca corrispondente all'VIII secolo della nostra datazione, in Giappone non esisteva una scrittura connessa alla lingua nativa: la tradizione, sia lirica che epica, veniva trasmessa per via orale, mentre su un piano ufficiale si utilizzava la lingua cinese e, quando occorreva, la scrittura ideogrammatica cinese. All'inizio dell'VIII secolo si ha, con il Ko-gi-kiper la storia nazionale e con il Manyoshu per la poesia tradizionale, un primo tentativo, r-... collegato a una manovra· di pote- ~ re, di fissare dei testi orali giappo- .5 nesi utilizzando ideogrammi cine- ~ si. I continui slittamenti di prevalenza fra l'elemento grafico, quello fonetico e quello semantico produssero una tale confusione che nell'XI secolo alcuni testi risultavano già indecifrabili e in minima parte lo sono ancora oggi. ~ ...... La situazione era così difficile ~ che a poco a poco si venne affer- l mando una scrittura semplificata, ~ detta kana, non più ideografica I diaridelledame ma sillabica, corrispondente alla fonetica giapponese. Il kana diventò così una scrittura parallela che finì col produrre una letteratura parallela. Infatti, la cultura e la scrittura importate dalla Cina non scomparvero: continuarono a essere usate nei documenti ufficiali, nelle occasioni pubbliche, in tutte quelle situazioni che riguardavano l'ufficialità e il potere; quindi furono riservate agli uomini. La nuova scrittura kana, che era occasione di uno stile letterario completamente nuovo, rimase circoscritta al privato, all'intimo, al fantastico: , I -#1 ~ <:~--~ Ii ~-- fu lasciata alle donne, proprio a quelle donne della piccola e media aristocrazia feudale che nell'epoca Heian venivano chiamate in servizio alla corte di Kyoto, fra cui si trovava la stessa Murasaki Shikibu. Si può dire, dunque, che coesistevano una scrittura forte, al maschile, e una scrittura debole, al femminile. Né mi è mai capitato di vedere un caso simile di istituzionalizzazione della spartizione fra letteratura debole e letteratura forte, addirittura con l'uso obbligatorio di due lingue diverse. La separazione era così intransigente che leggiamo nel diario di Murasa- • ki come lei stessa insieme all'imperatrice Shoshi dovessero nascondersi per non essere viste mentre leggevano le poesie di Po chii-i scritte in cinese, e commenta: «Preoccupata di quello che avrebbe pensato la gente, fingevo di non esser capace neppure di decifrare le scritte (cinesi) sui paraventi». Una volta una cameriera la sorprende e le dice : «Se fate così non Carla Vasio camperete a lungo: perché leggete il cinese?». Come si vede non era cosa da poco. D'altra parte, "l'autore del Tosa Nikki, l'unico diario che d rimanga scritto da un uomo in· kana, si salva ricorrendo all'artificio di fingerne autrice una dama del suo seguito. Conseguenza di un tale parallelismo linguistico non intercambiabile, anzi pistinto ~a investiture riconosciute diverse, fu che nacque in Giappçme una n~ova letteratura in forma di romanzi e soprattutto di diari, esercitata da donne appartenenti a una classe sociale ben Lima 98, 1974 definita: questa letteratura è indicata in Giappone con un termine proprio, Nyobo Bungaku, che la definisce come genere a se stante. Bisogna dire che queste finissime lettera_tenon si sentono né autorevoli né autoritarie, non hanno intenzione di fondare niente di nuovo e stabile, non teorizzano: si limitano a esercitare occasionalmente una scrittura della memoria nella lingua a loro riservata. Quelli che teorizzano restano gli uomini: in cinese. L a discriminazione letteraria corrispondeva a una esclusione delle donne dalle cariche pubbliche: erano tenute scrupolosamente fuori dal nuovo sistema di potere organizzato dai Fujiwara in una struttura rigidamente burocratica, anche se spesso venivano usate indirettamente nella pianificazione di quello stesso potere cui istituzionalmente non potevano partecipare. Né si supponeva che una donna dell'aristocrazia potesse e tantomeno dovesse provvedere al proprio sostentamento: finché erano protette da un uomo della famiglia o da un amante in carica tutto andava bene, dopo chissà. • Murasaki scrive «Especially the fact that I have no man who will look out for my future makes me comfortless» (dalla traduzione di Donald Keen in Anthology of japa,te_seliterature). E di Sei Shonagon, autrice di uno dei diari più famosi Il libro del guanciale, si racconta che un giorno dei cortigiani passeggiando in campagna videro una misera capanna da cui uscì una misera vecchia che gridò: «Chi vuol comprare ossa vecchie?», alludendo a una poesia cinese in cui si dice che esistono cavalli così preziosi che anche le loro ossa valgono: al che i cortigiani capirono trattarsi dell'unica donna così sfrontata e così raffinata da osare una simile citazione, lei appunto, Sei Shonagon, ex dama di corte, ex favorita, un tempo famosa per bellezza e ingegno; ma non si meravigliarono né commossero per la sua fine. Private, dunque, della possibilità di procurarsi una sicurezza economica al di fuori della benevolenza maschile, esentate da quella ambizione di far carriera che ossessionava gli uomini, impedite a farsi delle opinioni politiche o a promuovere mutamenti sociali, le dame di corte trovarono nella loro stessa esclusione uno spazio libero in cui esplicarsi: era uno spazio culturale· e soprattutto letterario. Uno spazio dove trovavano una tradizione cui attenersi, poiché già nel Man-yo-shii sono presenti poetesse famose. Faceva parte dell'educazione che ricevevano sia un corredo di cognizioni letterarie che alimentavano l'arte apprezzatissima della citazione, sia l'esercizio di una capacità formativa anche estemp0ranea, indispensabile nella vita quotidiana dove non esisteva situazione cerimoniale o privata che non richiedesse uno scambio continuo di poesie in funzione di messaggio o per metaforizzare il momento e quindi renderlo memorabile. La qualità del. prodotto poetico era determinante sia nell'elezione a cariche pubbliche sia nella scelta dei legami amorosi. Sei Shonagon esclama: «La scrittura è cosa abbastanza comune, eppure quanto è preziosa!» Pe• l'arte di poetare esistevano modelli e regole tradizionali, temi preferenziali da cui non era il caso di distaccarsi. Nella sua opera teoretica, il Toshiyori Zuino scritto nel 1124, Minamoto Toshiyori discute nella maniera più dettagliata e apparentemente oggettiva se una parola sia migliore di un'altra, se un sentimento sia più profondo di un altro è quale sia la metafora più adatta a esprimerlo e così via. Le opere teoretiche servivano a rinforzare l'autorità dei giudici du- •rante le gare e così l'autorità della classe che essi rappresentavano, di fronte a qualsiasi pericoloso innovatore letterario o altro: la formalizzazione dei generi letterari era per l'aristocrazia Heian un mezzo come un altro per rinforzare un impianto tradizionale su cui fondava il proprio potere e in cui non desiderava cambiamenti. Si trattava di un nucleo sociale isolato che consumava senza produrre, impoverendo pericolosamente una popolazione di contadini e di piccoli artigiani di cui si sforzava di ignorare perfino l'esistenza. Sei Shonagon scopre per caso che i muratori hanno l'abitudine di mangiare e come mangiano, conclude, «non posso dire che lo trovo molto attraente». In un ambiente così esclusivo e chiuso, le dame stanno appartate e poco coinvolte e questo permette loro di sfuggire alla regolamentazione dei modelli letterari sentiti come modelli di comportamento: osservano il mondo in cui si trovano involontariamente a esistere e provano a interpretarlo, riempiendo con la fluida scrittura kana rotoli e rotoli di romanzi e soprattutto di diari. Una prima antologia di questi diari fu pubblicata da Einaudi nel 1946 con il titolo Diari di dame di corte nell'antico Giappone, proponendo brani dai quattro diari più noti dell'epoca Heian, quello di Sei Shonagon, quello di Izumi Shikibu, quello di Murasaki Shikibu e il diario di Sarashina. Nella prefazione e nelle note di Giorgia Valensin sono presentati più come una chinoiserie francese del XVIII secolo che come una testimonianza tutt'altro che frivola di un'epoca in cui si è compiuto in Giappone un movimento culturale decisivo, attuato da quelle dame della corte di Kyoto proprio perché la poca considerazione in cui erano tenute le metteva fuori dalla competizione e dal controllo. N on bisogna .lasciarsi ingannare da tante maniche inzuppate di lacrime. Queste donne esilissime, fragilissime, elegantissime, sensibilissime, coltissime, avevano una capacità sor-

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