Giovanni Raboni. Una trasgressione F ra le pare~chie cose c~e mi sono via via venute m mente ascoltando gli interventi di questi giorni ne scelgo una soltanto, per chiarezza, per stanchezza, anche per rispetto della vostra stanchezza. Ciò che voglio dire rimane in un aggancio molto forte con il primo punto che ha trattato Sanguineti, anzi coincide larghissimamente con la descrizione che ha fatto al primo punto, dove Sanguineti notava una carenza di progetti. E poi Conte ha ripreso questa constatazione, pure in forte polemica con Sanguineti, ha parlato di mancanza di progettualità. E, sempre Sanguineti, parlava di un apparente eccesso teorico, che era forse probabilmente più un eccesso di metaletteratura. lo sono del tutto d'accordo con questa descrizione e mi sono chiesto via via, mi sono venuto chiedendo nel verificare questa situazione, il perc~é. E perché i progetti mancano? E perché i progetti sono così frantumati, così personali da non avere voce, in un certo senso? Forse sì, ma io credo che il punto toccato da Sanguineti, cioè l'eccesso di metaletteratura, sia forse la causa maggiore. Cioè si ha l'impressione, non soltanto in questo convegno, direi in questi anni, che quello che chiamiamo la critica, la saggistica, sia evoluta occupando lo spazio della letteratura in modo sicuramente molto suggestivo, ma probabilmente anche paralizzante per gli scrittori, i quali naturalmente continuano a fare gli scrittori. Non credo che vi sia francamente una generale crisi di scritture, c'è una crisi di scritture in certi campi, non c'è in certi altri e questo può avere molte spiegazioni. Però sicuramente c'è un silenzio proprio progettuale. La mia impressione è questa: che il campo delle scritture sia stato invaso dalla metaletteraturae che questo da una parte intimidisca degli scrittori, li induca al silenzio oppure, che è poi la stessa cosa, li induca in fondo all'imitazione della metaletteratura. Qui abbiamo sentito parecchi scrittori, ma di questi moltissimi si sono espressi in forma metaletteraria, cioè imitando la saggistica e hanno taciuto, hanno occultato, hanno nascosto i loro progetti. E non mi sembra un caso che i pochi progetti che sono stati espressi lo sono stati in forma violenta, quasi inarticolata e rozza, direi. Qui cito ancora una volta Sanguineti, per il suo discorso di ieri non per quello di oggi. Cioè, quando Sanguineti ha parlato dell'antiletteratura come compito oggi della letteratura, mi pare che abbia fatto una dichiarazione di poetica interessante in quanto tale, ma espressa con una straordinaria brutalità. Forse è questo il modo in cui oggi una proposta di poetica può essere espressa, perché appunto la straordinaria ricchezza letteraria della metaletteratura, lo straordinariofascino della metaletteratura, strozza la voce agli scrittori nel momento in cui vorrebbero esprimere i loro progetti. Resta naturalmente il campo della scrittura e questo è sempre possibile ed è sempre aperto. Ma credo che il perdurare di questa situazione potrebbe veramente alla fine ripercuotersi anche sull'atto della scrittura, e certamente possa avere dellegravi conseguenze sulla possibilità tra scrittori di riconoscersi, per esempio, tenendo conto anche che l'attività di mediazione della criticamanca, in quanto la miglior critica non si applica, se non con pochissime eccezioni, alla produzione corrente; e qui faccio mie le riserve sulle banalità e sull'approssimazione delle formule con cui si liquida a priori quello che sta _suecedendo, etichettandolo come neoromanticismo, neo-orfismo, postmoderno, ecc. In realtà tutte queste cose sono etichette a priori che non tengono nessun conto delle verità e dell'eventuale qualità dei prodotti. A questo punto potrei anche aver finito, ma faccio una piccola aggiunta, cioè faccia una minima dichiarazione di poetica. lo penso, e lo dico con la brutalità del caso, penso in questo momento a qualcosa che mi interessae questo qualcosa che mi interessa è una trasgressione di tipo comunicativo, penso che la poesia che mi interessa fare in questo momento sia una poesia che cerca una chiarezza e una immediatezza di discorso. Questo non ha nessuno sfondo teorico, non ha nessuno spessore teorico, è una semplice e brutale enunciazione. Ma questo, mi pare, è il punto a cui in qualche modo ci siamo ridotti o siamo stati ridotti. Antonio Porta. Contro il grande stile I o ho dei progetti, ma si verificheranno soltanto nel momento in cui riuscirò a scriverepoesie nuove. A questo punto queste paesi~ possono essere accolte, rifiutate, rigettate, incomprese, ma solo lì mi voglio misurare. Il mio progetto è la comunicabilità. Oggi mi è stato chiesto per l'ennesima volta con gentilezza che differenza e'era tra i miei progetti degli anni Sessanta e quelli di adesso. Allora mi preoccupavo sostanzialmente dell'opera in sé, adesso mi preoccupo di nascondere gli strumenti dell'opera, per comunicare a tutti i costi. Questo è un progetto però che non si dà teoricamente, si dà praticamente. Per quanto riguarda la teoria nella letteratura mi va benissimo quello che ha esposto oggi Stefano Agosti. Cioè, è il senso, il reale, che vado cercando e sono anche d'accordo che è la figura della madre a condurmi contro l'autorità del padre. Questo per me significa un rifiuto netto, secco, del grande stile. Il grande stile è una prefabbricazione delle risposte; questa la rifiuto. Abbiamo conosciuto molti grandi stili nella storia letteraria italiana, dal petrarchismo ali'arcadia, che diciamo potrebbe essere definito uno stile medio; rifiuto i grandi stiliprefabbricati. La comunicazione me la posso ritagliare soltanto su quella porzione di senso che riesco a catturare e a quel punto il mio stile dovrà coincidere con quel senso o fallire, tutto qui. Giorgio Celti. Un gruppo di giovani S arò brevissimo perché mi rendo conto che l'ora è tarda, quindi bisogna non indugiare. Intervengo perché l'ambiente mi sembrava si stesse riscaldando e in realtà si è riscaldato. In precedenza anch'io ero molto perplesso. Sono perfettamente d'accordo che si sia fatta della m,t;taletteratura,il fantasma della sociologia è stato fin troppo incombente, io non credo nella sociologia, in quanto che la sociologia è una scienza che non riesce a far nulla neanche per se stessa, quindi figurarsi se riesce a far la • scienza della letteratura; quindi mi sembrano sempre di scarsissimo interesse i suoi contributi alla comprensione perlomeno del senso della letteratura, e soprattutto del senso della scrittura o anche diciamo cosi della modalità della scrittura. Qui si è detto che si parla sempre nella genericità e non nellapratica, cioè senza esempi, invece io vorrei parlare solamente e brevemente per esempi. Quindi parlerei della lettura di ieri sera e di quello che mi ha suggerito. Ho avuto un antefatto, con giovani poeti del gruppo di Anceschi che opera a Bologna; io ho partecipato a una serata con loro e ho avuto questa impressione, cioè che questi giovani si prendessero troppo sul serio: erano estremamente lucidi, filosofici, duri, imperiosi, lineari, si prendevano molto sul serio. Alla fine gli ho detto: «Ragazzi, ma non vi pare che qui ci sia un eccesso di autogratificazione intellettuale? Ci vorrebbe una maggiore ironia, ci vorrebbe un maggior distacco sui materiali, che sono l'indice di un cinismo poi sui materiali, che dovrebbe sempre trasparire nella filigrana!». Invece lì non mi sembrava che ci fosse. Ieri sera - lasciamo perdere che Di Marco è molto bravo, ma in pratica io non vorrei parlare di lui, di lui abbiamo già parlato vent'anni fa, come si è parlato anche di cose che allora facevo io, non è il caso forse di mettersi a parlare di Di Marco - tutti abbiamo sentito quanta vitalità ancora avesse la Lezione di fisica di Pagliarani, ma non è questo il punto tutto sommato. Il punto sarebbe di parlare dei giovani poeti che abbiamo sentito e dell'impressione che ne ho avuto. Devo dire che ieri sera ho avuto l'impressione generalizzata di un certo tipo di tono piangente. Tono piangente che ha percorso direi la lettura quasi ininterrottamente, fino a che è diventato un lamento quasi totale in alcuni di loro. La cosa singolare che mi ha colpito sono state le modalità di scrittura che molti di loro hanno portato avanti. Cioè era la lettura del cuore, insomma, cioè quella lettura che saltava tutti i presupposti in definitiva, diciamo, di alienazione di cui Brecht è stato uno dei tanti rappresentanti e volgarizzatori nel nostro secolo, per entrare direttamente afar parlare le ragioni del cuore. E, quando queste ragioni parlavano più chiaramente, purtroppo il modello letterario passato, cioè il modello letterarioermetico, filtrato attraverso, forse, in moltissimi casi l'enfasi elegiaca, riveniva fuori in questa canzone che ci stavano cantando. Non dico tutti, adesso non vorreifare nomi per dividere buoni o cattivi, ci sono stati anche quelli che interrompevano questa cosa con considerazioni che volevano costituire la cesurafra questa cantilena e il necessario disequilibrio che la dialettizzasse un po'. Direi com•unque che quello che ho sentito ieri sera è l'opposto speculare di quello che ho sentito nel seminario dei giovani di Anceschi, di cui Luca Cesari è uno dei capi, per così dire. Mentre là c'era un'assenza di ironia per eccesso di determinazione, di desiderio di dire, di fare un collage tutto consapevole, qui c'è una perdita di ironia all'interno-di quello che è un'elegia portata alle estreme conseguenze. Ora, io trovo la cosa preoccupante, perché se il progetto, che intra-· vedo in questi giovani poeti, è quello di costruire,una specie di poesia. come lamentazione sui mali del mondo, sugli amori perduti, sulle occasioni più o meno incontrate, sulle controversie e dedali percorsi della loro vita, allora devo dire che come progetto mi interessa pochissimo. Angelo Guglielmi. Nuovo intervento Anch'io devo denunciare qualche insoddisfazione anche sul modo come fino ad oggi i lavori si sono svolti. In effetti abbiamo assistito a un soliloquio ininterrotto, cioè ad interventi che, come diceva Luperini, non si sono né incontrati né scontrati. Forse soltanto in queste ultime battute stiamo tentando di correggere il tiro. E il motivo di questa insoddisfazione è non solo legato al soliloquio ininterrotto, ma anche all'approccio pesantemente teorico con il quale i vari intervenuti si sono posti di fronte al tema. Un approccio pesantemente teorico che finiva per nascondere, se non cancellare, l'oggetto, cioè la letteratura -che avrebbe dovuto essere al centro del nostro convegno. E in questo senso vanno colti anche i rammarichi per la mancanza assoluta di riferimenti alla situazione italiana e a ciò che sta accadendo intorno. lo vorrei provare a gettarvi uno sguardo e intanto comincerei a chiedermi il perché di questo convegno e come è stato scelto il tema che ne è al centro: nasce da un disagio. Il disagio per il tipo di letteratura e di proposta di questi ultimi anni, proposta che ci lascia profondamente insoddisfatti. Nell'ultimo decennio, infatti, si è continuato, secondo me, a fare la stessa letteratura degli anni Sessanta, che non può più essere riproposta se non viene, non dico aggiornata, ma profondamente riformata nelle sue strutture e nei suoi obiettivi. La letteratura degli anni Sessanta intanto è stata una grande (nel senso di importante) letteratura, in quanto è stata una letteratura di contestazione: ma non semplicemente di contestazione delle forme della letteratura, ma anche di contestazione del contesto in cui la letteratura si poneva. In effetti la neo-avanguardia anni Sessanta, sepure dal cantone del suo 'specifico', pretendeva a obiettivi di contestazione globale: che ovviamente perseguiva nella consapevolezza che l'unico modo che allora aveva di agire sulla struttura, e dunque sull'assetto strutturale della società, era di portare una forte azione contestativa sul linguaggio, cioè di operare sulla sovrastruttura. Tutto questo durò fino al '68 quando, facendosi possibile l'intervento diretto sulla struttura, il neo-sperimentalismo anni Sessanta, almeno come lavoro d'équipe, perse le sue ragioni e concluse la sua parabola. Il nostro lavoro insieme, il nostro gruppo si interruppe e prevalse per un lungo periodo il discorso politico, la supremazia del discorso politico, l'autoritarismo del discorso politico; successivamente però il discorsn politico mostrò la sua insuffi • riza a porsi come discorso suprtmo e tornò la letteratura. Ma quale letteratura? Tutta la letteratura degli anni Settanta secondo me è uria letteratura di epigoni, è una letteraturadi sperimentalismo dimidiato, in cui lo sperimentalismo ha perduto una parte essenziale delle sue ragioni: laparte di contestazione alla comunicazione sociale e quindi di contestazione al contesto politico-sociale; quindi una letteratura di epigoni, magari anche raffinata, che tuttavia ha rinunciato a dialogare con l'attualità del tempo; una letteratura che cerca di compensare ciò che ha perduto con il recupero del dolore ermetico o della felicità dolorosa di memoria lawrenciana che ovviamente non è sufficiente a ridarle completezza di senso. Una letteratura che ormai è stata spinta ai margini fuori dell'interesse comune della gente. Ciò che non accadeva nemmeno ai tempi dei Bassani e Casso/a quando, pur nellasua preferenza crepuscolare, godeva di un riflesso diretto e concreto nella società del tem. po. Così questo nostro convegno nasce dalla consapevolezza che la letteraturadegli anni Settanta accusa una perdita e dalla conseguente necessità di ricercare un qualcosa che quella perdita possa colmare. E qui il discorso si fa molto difficile. Sulla perdita siamo d'accordo; ma come poi riguadagnare un senso più proprio alla letteratura, questo... Per arrivare a capo di questo problema occorre rischiare l'ingenuità, non aver paura di apparire un po' ingenui. Magari l'ingenuità di Porta, il quale poco fa ha detto che mentre una volta era interessato a evidenziare gli strumenti dell'operare poetico, oggi è interessato a nascondere quegli strumenti e a puntare sulla comunicazione. Comunque al pericolo di ingenuità anch'io voglio espormi. Allora ricordo, credo che ci fosse anche Leonetti in quell'occasione, che ultimamente abbiamo fatto a Roma un convegno su Gadda. Ci sono state relazioni, tante, di Leonetti, mia e di altri, ma non è di queste che voglio parlare, ma del dibattito che ha concluso il convegno. Intervenendo nel dibattito un nostro compagno e amico che si chiama Alfredo Giuliani ha detto che Gadda è un punto finale, un po' come Joyce, e che oltre di lui non si può andare ed ha aggiunto che non c'è nessuno scrittore italiano, oggi operante, che possa fare a meno di fare i conti con Gadda. Tuttavia non è il suo espressionismo feroce, non è il suo linguaggio lacerato e violentissimo che oggi può in qualche modo essere mutato e servire da indicazione; l'espressionismo feroce, l'allegria linguistica di Gadda era l'unico strumento che Gadda dichiarava di avere per rispondere, come lui stesso dice, alla «baroccaggine» del mondo; per «baroccaggine» Gadda intende il non finito del mondo. Le cose vivono in ogni momento in uno stato di provvisorietà: si costituiscono di strati successivi, di cui uno supera l'altro, cioè si sovrappone ali'altro senza eliderlo. Gadda attua contro il non finito del mondo la pluralità del reale, la scelta espressionista. Oggi, il mondo presenta ancora la stessa «baroccaggine». Però qualcosa è cambiato: è cambiato il nostro rapporto con la «baroccaggine» del mondo. Quello di Gadda è un romanzo rivelatoregrottesco, che nasceva in un momento in cui la realtà tendeva a nascondersi, avviluppandosi in segreti e misteri indecifrabili: a Gadda toccava il compito di scoprirla, violentandola con lo strumento della lingua. Oggi invece, aggiungeva Giuliani; il mondo è ripugnantemente scoperto, è un mondo abitato da spie spiate e da spiati che spiano. Così che non vi è niente di più ridicolo e ipocrita che gridare allo scandalo per la scoperta, che ci viene quotidianamente elargita, di poteri sommersi (dalla P2 alle deviazioni del Sismi) che in realtà sono, nel mondo esploso in cui viviamo, quanto di meno segreto esista. In queste condizioni, la scelta gaddiana dell'espressionismo linguistico non sembra più la risposta adatta. Più convincente appare, concludeva Giuliani, la scelta dell'inespressività esilarante, cioè- come anch'io sostenevo nel volume La letteratura del risparmio - il ricorso a un linguaggio basico, oltremodo semplificato, che non si ponga il problema di scoprire, ma semmai di riassemblare iframmenti sparsi, riunendoli nel mistero, nello stupore di una nuova unità. E allora è proprio in questo senso che si può parlare di recupero dellafavola, quale nuova tessitura che sappia re-istituire (istituire di nuovo) il mondo come enigma.
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