Alfabeta - anno VII - n. 69 - febbraio 1985

d,i camminatoridaipiedi impolveNti, quindicamminanosulla terra. Ma Gadda dice di più: ci sono a pinzare agliallucidei suoi santi dei granchi volterriani. Ecco, credo che lascritturadebbaprocedere tenendosiaipiedi questigranchi volterriani,che l'aiutino a non innalzarsi. EdoardoSanguineti. Leradici del futuro N on spaventatevi, io vorrei toccare molto rapidamente sei punti che sono dati in maniera assolutamente disorganica,perché sono punti nati da note prese questo pomeriggio man mano che si accumulavano gli intervent(.Primo, a proposito di quello che osservavaArbasino e che era una descrizione molto, mi pare, correttadi galatei, di vecchi convegni; lui è un attendibiletestimone, e testimoniava in modo preciso di cose che ho vissute anch'io; l'osservazionesecondo me era corretta doveparlava dellafedeltà precettistica, che una volta vigeva in maniera in qualche modo autoritaria almeno nei momenti di dibattito. Aggiungereiche a riguardo mi pare che oggi - oggi vuol dire in questi giorni - si sia sentita particolarmente una certa carenza di progetti, se non di precettistica, vorrei dire una certacarenza di poetica nel senso originale della parola e del chefare. Probabilmente questo era in qualchemodo necessarioperché legatomolto a un tipo di sradicamento dai testi, di lontananza dai testiche eraforse un prezzo necessariodapagare nella configurazione stessa del convegno. Curiosamentesi può avere allora l'impressione di un eccesso teorico, che si è esibitoun poco sradicato nelle due mattinatee nei due pomeriggi. Ma a dire eccesso teorico credo che se fosse presente Wahl non esprimerebbe nessuna soddisfazione. Perché è per davvero un eccesso teori; co quello che abbiamo sentito? E piuttosto un eccesso di metaletteratura, non di teoria. Credo che Wahl oggi riconfermerebbe le sue deplorazioni circa un vuoto teorico, come io, se vogliamo dirla così, circa un'abbondanza di teorie vuote. Mi pare abbastanza sintomatico, se posso sfruttare l'aneddotica, che i nostri interventi fossero designati come testi critici, c'è un'abbondanza di letteratura teoricao, come preferisco dire, metaletteraria:in una parola, se volete, di poetiche-poetiche dove i vocaboli sono una volta sostantivo e una volta aggettivo, che è un genere letterario, devo dire, che amo pochissimo. In coda a questo, il secondq punto, che sarà molto più breve. E anche su questa sorta di allegoria che mi pare di poter leggere, nel modo in cui si articola, la tavola rotonda, che non è una tavola rotonda: è molto democratica, lascia spazio evidentemente a tutti, mentre un.t.tavola rotonda se non è un tavolone sconfinato è naturalmente selezionante a priori; ma che conferma questo andamento molto per giustapposizioni e una sostanziale assenza di dibattito, non perché naturalmente non si contrappongano posizioni, ma in un tutto ovattato, preso a distanza con rinvii della cui scarsità anche è stato sottolineato l'eccesso. Terzo punto: qualcuno ha detto «i testi letterari non sono suscettibili di verificabilità»: ha avuto il grande merito di toccare, secondo me in maniera rovesciata, però, un punto capitale; ma i testi, le scritture (preferisco non dire la letteratura. e capite bene perché, lo sapete già) hanno un unico punto che interessa: ed è questo l'unico problema teorico serio del senso della letteratura: è la verificabilità dei testi letterari, che naturalmente non è mica la verificabilità ingenua, diciamo naturalisticaper capirci; ma è proprio questo come si verificq un testo, questo è il problema. E un problema tra l'altro posto da Brecht, che usava l'aggettivo verificµbile come qualificante un testo. E un problema, diciamo, della verificabilità dei sensi secondi, supponendo che si possa cogliere questa nozione media per cui la letteratura è la qualità che si suole riconoscere a testi che si suppongono dotati di un senso secondo, con naturalmente subito due avvertenze. Prima: questa qualità non è intrinseca al testo, è un attributo sociale, è una decisione responsabile ed è questo per cui non si può parlare propriamente di testo letterario, se non attraverso una decisione, assumendosene la responsabilità fino in fondo. La seconda è che questo supplemento di senso è, riprendendo una parola che felicemente è circolata molte volte, nient'altro che un processo di allegorizzazione. La critica letteraria, questo singolare mestiere, non è altro che l'esplicita allegorizzazione di testi, di testi che possono essere o no supposti dotati ali'origine di intenzioni allegorizzanti, ma questo fa scarsissima differenza. Se non che, dal punto di vista teorico, vorrei richiamarmi per la seconda volta a Rimbaud e per un'altra ragione che non riguarda più l'appello alla modernità. Rimbaud ha posto un problema capitale e non ancora direi risolto, forse nòn risolubile, ma che comunque ci riguarda ancora, quando parlava di un testo che vale alla lettera e in tutti i sensi. Questo è un altro modo di indicare questo nodo teorico. Quarto punto: il quarto punto è stato sollevato particolarmente oggi da Ferretti, il quale diceva giustamente che si è parlato di testi, ma pochissimo di contesto. Io però essendo cattivo farei un'ulteriore obiezione a Ferretti, al suo discorso. È vero che Ferretti ha parlato di contesto, ma perché poi il suo intervento si è differenziato mi pare poco dagli altri interventi? Perché il contesto è stato perpetuamente inteso come l'universo multimediale, cioè come se tutto si potesse ridurre a una questione di linguaggi concorrenziali, con naturalmente l'enfasi che si deve, a compensare questa riduzione della solita mutazione antropologica. Ma non è questo, io credo, il problema di una interpretazione materialistica della letteratura e di un contesto inteso in senso materialistico, se non andando alle radici e alle basi sociali del fenomeno; ma se io taglio sopra le creste (di questo darò subito poi in uno dei due punti che seguono un esempio), naturalmente mi precludo ogni possibilità di comprensione corretta. Quinto punto: supponiamo, accogliendo il discorso di Ferretti - prendo Ferretti pretestuosamente perché riassume molti interventi, è il più fresco, è quello che mi ha stimolato alla cosa -, che davvero ci limitiomo alla questione della concorrenzialità e delle possibili reciproche influenze, emarginazioni, trionfi, dell'uso verbale, scritto, testuale nei confronti di altri mezzi di comunicazione. Bene, il paradigma ultimo, per quello che è lo stato attuale della situazione, mi pare, dell'universo informatico, è un'assoluta tendenza verso l'univocità. lo sogno, non io personalmente, io accidentale, traduttori computerizzati, poniamo, che superino tutte le incertezze e le ambiguità di una scrittura. Ma se questo è vero, signori, per la letteratura si aprono tempi meravigliosi! Vengono aperti spazi come mai erano stati concessi, perché di fronte a questa esigua fetta di universo che tende all'univocità rimane tutto questo territorio completamente disponibile di caccia, pesca, raccolta di fronte ali'ambivalenza del discorso, alla dotazione di sensi, alla allegorizzazione infinita dei materiali normali. A me piace dire che qualunque testo letterario con le duecentomila virgolette (non so se Arbasino si erafermato a ventimila o duecentomila quando usava questa parola), ogni testo letterario, perché in fondo è polisemico, perché costruito come un indovinello? Leggere un testo significa trovare lo scioglimento di un enigma con una diff erenza sottile, ma capitale, l'indovi- . nello è davvero multimediale, perché univoco, o azzecchi la risposta o la manchi. Ma un testo letterario ha infinite risposte, o per esserepiù precisi non ne ha nessuna, che è esattamente la stessa cosa. Allora si potrebbe fare l'ipotesi che quello che oggi si manifesta come trionfo del neoromantico, del simbolistico, dell'orfico, il rinascente ermetismo, siano la malattia infantile di quell'orribile trionfo della letteratura, che sta per emergere e che emerge naturalmente come suole avvenire in ogni nascita patologica nella forma di un delirio di grandezza. Sesto e ultimo punto: si èparlato del rapporto fra tradizione e avanguardia. Secondo me replicando però un equivoco che può andare bene forse in una prima approssimazione in scuola media inferiore, ma che al di là di questa soglia non mi pare tollerabile. La tradizione non c'è, la tradizione è storicamente posta, è storicamente inventata, è il risultato di un lavoro, non è lì davanti, così... Le tradizioni vengono ogni volta rifabbricate, corrette, modificate, rovesciate nei sensi, eccetera, sono piene di frantumazioni e di contraddizioni, per chi ci tiene potrà con duro travaglio arrivare a offrire un simulacro di compattezza, di coerenza, di deduzione, ma a questo punto è riuscito un lavoro probabilmente infame, sudando tutto quello che è già sudato. Che cos'è l'avanguardia? È quell'albero parassitario o quella cosa, che devo dire mi gettava in sospetto, per cui, diceva Luperini, bisogna restaurare i musei per poterli disfare? Bisogna che l'albero della tradizione fiorisca perché l'obliqua e vampiresca macchina del- /' avanguardia possa continuare a funzionare? Ma no, l'avanguardia è semplicemente quel tipo di operazione letteraria che sa che la tradizione non c'è: è questa l'avanguardia, non ~ il conflitto contro la tradizione. E quella macchina che sa che la tradizione se la fabbrica lei, si fabbrica i suoi nemici, si sceglie amici e nemici, stabilisce rete di alleanze con i cadaveri e a questo punto comincia a mettersi in movimento e di fronte all'ingenuità della linearità conflittuale sa di essere in conflitto non solo nel presente, ma anche che sta rimettendo in causa tutto il proprio passato, sta inventandosi delle radici e sa che in sostanza questo albero è un albero dotato dunque di relativa autonomia, le sue radici le ha nel futuro, e cioè (come dicevo nel punto p,:imo, in cui ne deprecavo la carenza o l'assenza) nella sua forza di progettazione. Giuseppe Conte. Polemica contro il convegno e contro la definizione di neo-romanticismo V orrei dire due cose brevissime. In realtà avrei dovuto dire: bene, fate i vostri giochi, tra voi, e andarmene a vedere i palazzi, la gente, il mare di Palermo. Probabilmente avrei imparato di più, invece faccio un atto di buona creanza e sto qui a parlare per pochi minuti. Ho sentito un senso di passato, un senso di necrofilia, un senso di morte aleggiare troppo spesso tra le p'arole dette in questo convegno. Ho sentito e ho visto uno sguardo costantemente, o quasi, rivolto al passato, mancanza di progettualità, di unione e mi sembra di si, mancanza di fiducia in quello di cui stiamo parlando, mancanza di speranza e di sogno. Un panorama che non poteva che gettare in un senso di disal{io. Ho sentito la parola neo-romanticismo, ma io voglio chiedere che cazzo è questo neo-romanticismo; perché io avevo messo in guardia dicendo nel mio intervento: è un'etichetta, io avevo detto testualmente, ignobile e stupida. Nonostante ciò viene usata, ma polemicamente contro chi, per quale bersaglio, per individuare cosa? Io non lo capisco. Io so che esiste la complessità di un grande pensiero che è quello romantico, che è quello di Schelling, di Vico, che è quello che si esprime in Holderlin, che è quello che si esprime in Goethe, nel nostro Foscolo, so che esiste quello. Non so se può essere che i professori universitari di lingue e letterature moderne siano specializzati soltanto sugli ultimi vent'anni della nostra letteratura e non tengano d'occhio, conosceranno sicuramente meglio di me, ma non tengono d'occhio, la complessità e la vastità del pensiero romantico, come se al neo-romanticismo... Non è stato detto! È stato usato solo come bersaglio polemico generico, senza dire a chi, a che cosa, a quali fenomeni si riferisce. Neo.romanticismo, neo-ermetismo, ma siamo veramente, veramente stanchi! C'è gente che crede, poiché credono loro, che niente di nuovo, niente di nuovo possa più essere fatto, si appiccicano a questo piccolo prefisso neurotico, e va tutto bene, vi dico che veramente è ora di finirla! È veramente ora che su questo punto venga fatta quantomeno chiarezza. Per quanto mi riguarda quando sento una parola che comincia con neo avrei voglia veramente non più di parlare. Fosse possibile scontrarsi, un tempo si diceva mettere mano alla pistola. Ho sentito parlare di antiletteratura, dopo vent'anni, ho avuto un'allucinazione, sono rimasti al 1963! Antiletteratura, ma non si può I Antiletteratura dopo vent'anni, se questa letteratura non è morta, non si tratta più neppure di un'uccisione che avrebbe qualcosa ancora di eroico, qui si tratta di oltraggio al cadavere con tutto quello di sordido che è implicato in un oltraggio al cadavere. Ho sentito parlare di termini sociologici, di cose che hanno una loro pertinenza nel loro ambito, ma che non aiutano mica la letteratura ad andare avanti, a rifandare il mondo. Ho sentito parlare di sabotaggio, infine, al che io non so che cosa si possa sabotare, anche perché, dico, sabotare la letteratura vuol dire continuare dal punto di vista di un certo tipo di avanguardia l'oltraggio al cadavere. Io credo invece che il vero sabotaggio lo può fare una nuova letteratura che si ponga non contro se stessa, ma che elabori gli strumenti di se stessa contro l'esistente. Ho sentito solo pochi interventi in cui c'è stato almeno un riferimento di tipo non sociologico o comunque non soltanto analitico a quello che c'è al di fuori della letteratura, a quello che è la realtà, a quello che è la realtà politica. Io vi dico che una poetica del mito è tutt'altro che qualcosa di evasivo, ma presuppone veramente la fiducia di un linguaggio, presuppone veramente un sabotaggio che questa volta non è più rivolto contro il corpo vivente e splendido della letteratura, ma che è condotto contro lo strapotere del consumismo americano, contro per esempio la dittatura dell'esistente, contro l'attualità, contro una situazione che è assestata su degli equilibri talmente ignobili che io e altri amici come me non osiamo parlarne, la situazione per esempio politica italiana, per non infangarci. Non è che il mito vuol dire evadere, il mito vuol dire essere veramente eversivi. Ricordatevi, e concludo veramente, chi di voi ha visto il libro di Marce/ Detienne, intitolato L'invenzione della mitologia? «Oi mithiedai», quelli del mito, è la_parola che usa Erodoto per definire i ribelli contro il tiranno Policrate di Samo, «oi mithiedai», quelli del mito, quelli che portano la voce alta, che, attraverso la loro voce, sognano, sanno che possono essere sconfitti, ma osano lo stesso, sanno che possono essere sconfitti ma osano alzare la loro voce contro l'esistente, contro la realtà in atto nella speranza del futuro. Io ho parlato di meno perché, subito dopo di me, se siete d'accordo, mi ha chiesto Mila De Angel~ di usare i miei due o tre minuti. E possibile? Io chiederei che i due o tre minuti miei venissero dati a Mi/o De Angelis. Milo De Angelis. Per sdegno S ono fuori tempo perché c'è stato uno sdegno forte, specie dopo gli interventi di Luperini e di Ferretti, di due bancari del- ['anima i quali suppongono, come dice il proverbio, che fotografare i cessi sia più veritierio, dia più vita che non il delirio di René in Diario di una schizofrenica. Certo lo stesso vale per la tranquillità da venditore di enciclopedie con cui Sanguineti parla di neo-romanticismo e di neo-orfismo. Neanch'io come Conte so cos'è il neo ... voglio dire il romanticismo, boh? Pellico, Grimm, Novalis, ci sta tutto, ecc. L'orfismo, il mito dei titani, l'agnosticismo, il cristo, boh? Si tratta di persone che non avendo un fremito, niente, allora possono circondare, andare a gradi successivi dallo zero al novantanove, che non tocca mai l'unità, ma ciò che non porta con sé la sua fine non ha il diritto di iniziare,. costoro potranno parlare all'infinito di neo, di vecchio, di nuovo, di codice, di scarto, d'informazione, solo che non corre nessuna tragedia nella loro voce anche quando parlano del male, nel male non c'è tempo di dire c'è il male, si sta male, appunto. Francesco Leonetti (coordinatore della discussione) Faccio presente che le polemiche sono molto buone e restano aperte. Tra di noi ci sono però anche delle piccole contraddizioni. Spesso nel citarsi a vicenda ciò che è prevalente è l'argomento. Per fare un esempio personale che è più facile, io non rispondo a Ferretti che mi ha posto molte domande e non rispondo ad altri; non è necessario riprendere la parola per brevi precisazioni su quello che si è detto, ma per gli argomenti. E siccome questa sera lo spettacolo prevede anche una nuova sistemazione della sala, noi non facciamo intervalli. Ancora: si è iscrittopoco fa il signor Ferrara di Palermo; siamo lieti di questa iscrizione, ma faccio presente che 'lanostra difficile tavola rotonda (che convenzionalmente abbiamo chiamato tavola rotonda) è chiaro che si svolgefra i quaranta-quaranticinque invitati al convegno. Abbiamo all'inizio stabilito che il pubblico poteva intervenire nella giornata di ieri per i suoi interventi sul tema, nella mattina di domani saremo di nuovo presenti. È una regola che ci siamo dati per non mesco(are i diversi livelli conversativi. E vero che una tavola rotonda di solito prevede dieci interventi; quando ne prevede quaranta possibili, è chiaro che abbiamo voluto trovare una nuova formula: parla chi ha già presentato un suo intervento di fondo.

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