ad esso sostanzialmente esterna ed estraneae nei confronti della quale esso, come lavoro letterario, può compiere impunemente tutte le sceltedi campo possibili, dalle più corrivealle più oppositive. Posso scegliere alcuni esempi, sempre dal progetto, di questa idea di separazione, di questa impostazione di separazione e separatezza. Il progetto indica una realtàmutata nell'universo multimediale e audiovisivo, separandola dall'area di ricercae di proposta. Ancora, sembra ipotizzare un'attività editoriale fondata sul testo scritto come separatanettamente da un'attività multimedialefondata su~'audiovisivo, indicando, nella prima, l'attività editoriale (sottni11tendendosilibraria), la sola sede possibile di vari modi di fare letteratura e di fare critica. Ancora, là dove indica in modo puntuale e perspicuo la condizione di difficoltà, precarietÌI, strumentalizzazione, crisi di funzione e di ruolo anche sociale della letteratura, in realtà vede sempre tutto questo come risultato del/'avvento di una realtà altra, la comunicazione oggi, rispettò alla quale la letteraturastessa dovrebbe definire se stessa e il suo relativo rapporto. Voglio riferirmi a un ultimo punto del progetto per poi passare ad altro che ritengo importante. Contributi e dibattiti recenti in varie sedi hanno ulteriormente evidenziato . a mio parere l'estrema difficoltà, o addirittura non possibilitò, a distinguere a priori tra letteratura di consumo interna all'universo multimediale e letteratura di ricerca esterna ad esso, paraletteraturae letteratura, ecc. mettendo ulteriormente in crisi il tradizionale criteriodi valore da un lato e il moderno criterio di trasgressività dal- /' altro. Ma allora mi chiedo: è ancora possibile e producente, come fa il progetto, impostare que~'analisi sulla discriminazione fra autentico e inautentico? Qualificando così una ricerca e proposta autentica o inautentica solo per il fatto di collocarsi al di fuori o all'interno (come personale esperienza produttiva) dell'universo multimedia/e? Partendo da quell'impostazione di separazione e separatezza, nel passato più o meno recente si è assegnata spesso alla letteratura come unica alternativa possibile quella del/'autoemarginazione ed opposizione , estrema, trasgressività, ecc., Ora a . me è parso interessante notare invece (mi riferisco a due intellettuali diversissimi), come nel suo intervento Arbasino abbia posto un preciso interrogativo sulla validità del concetto di trasgressi01;e,e come Luperini nell'intervento in Alfabeta abbia riaperto efficacemente il discorso sulla funzione istituzionale della letteratura proprio tagliando fuori vecchie e nuove querelles sulla trasgressività minoritaria. Anche se poi, persino Luperini, e qui non lo seguo più, sembra reimpostare in quello stesso scritto e anche nel suo intervento un rapporto con l'universo multimediale in termini di opposizione, autoesclusione, separazione, ecc. Ma vorrei soffermarmi in particolare, sempre per questo primo paragrafo del senso come collocazione, sullo scritto di Leonetti in Alfabeta appunto, che mostra la precisa consapevolezza della crisi (una crisi che egli mi sembra consideri, giustamente a mio parere, irreversibile) del momento oppositivo di tipo semplice, come egli stesso dice, della rottura di comunicazione, dello statuto minoritario, nel quadro della visione di un universo multimediale come non unitario. D'accordo su questo. Ma mi sembra che lo scritto provochi per contro, dopo questo mio personale consenso e anche apprezzamento di un contributo utile e chiarificatore, tre obiezioni che assumono anche un caratteregenerale. Una: Leonetti, riproponendo in tal modo un atteggiamento diffuso, sembra attribuire le ragioni di questa crisi soltanto alla strapotenza della serializzazione, manipolazione mass-mediale, articolazione tecnologica, e all'impotenza dell'intellettuale che ne deriva, che sono certamente fatti concreti oggettivi, ma che non escludono /'esigenza di un'analisi della vulnerabilità e inefficacia della stessa alternativa autoemarginante e trasgressiva. Esperienze e riflessioni più o meno recenti, anche qui, hanno dimostrato a mio parere che le vecchie contrapposizioni trasgressione/ordine, scarto/adattamento, novità/convenzione, distruttività/creatività, non prevedono necessariamente la scelta del primo termine come più attivo e producente per la letteratura; che la trasgressività non si identifica necessariamente con l'innovazione, e la ripetitività con la vecchiezza; che possono darsi operazioni condotte nel segno della trasgressività che ,risultano di fatto immediatamente consumabili; che un criterio unilaterale della novità e della trasgressione f!UÒ risolversi anche in un nuovo conformismo. Seconda obiezione: Leonetti assume sempre l'universo multime- . •-dialecome termine arJch'egli altro, rispetto al quale la letteratura può cercare soltanto una sua alternativa di interstizialità, marginalità, eccentricità, reimpostando di fatto il problema nei termini della separazione. Da qui deriva la terza mia obiezione: che il proposito di arrivare in edicola di cui Leonetti parla nel suo scritto, di entrare cioè nel- /' universo multimediale, sembra allora riproporre ancora l'illusione di una letteratura salamandra, capace di passare attraverso il mercato senza porsi minimamente il problema dell'esistenza del mercato stesso e delle conseguenze relative. E vengo al secondo senso: il senso come destino. Riprendendo gli spunti precedenti e dando per scontate alcune indicazioni su cui, per ragioni di tempo, sorvolo, si può ipotizzare che la crisi della letteratura e dello stesso libro oggi, perfino quando intendano collocarsi, essa letteratura ed esso libro, in una posizione di autoemarginazione e di rifiuto, non viene da una realtà esterna ed estranea ad essi, questa crisi, ma dal complesso rapporto o addirittura coinvolgimento, immersione in quella stessa realtà; il che presuppone naturalmente una visione di un universo multimedia/e non come dio ascoso o entità diabolica, ma come orizzonte di contraddizioni e conflitti, trasformazioni e complessità, ecc. Ciò investe per esempio i sistemi retorici, simbolici, induce a elaborare probabilmente nuove tecniche di discorso. Mi sembra che il discorso sul destino della letteratura e scrittura, e del libro stesso, possa difficilmente eludere questo passaggio problematico, salvo poi naturalmente poter arrivare a conclusioni diverse. Bisogna chiarire anzitutto che il coinvolgimento nei grandi processi multimediali (il richiamo non è banale, non è ovvio a mio parere) non riguarda soltanto gli aspetti più grossolani e vistosi, dalla sequenza multimedia/e del prodottolibro alla più corriva letteratura commercia/e, ma qualcosa di più generale e profondo, e non fatalmente involutivo e distruttivo; non credo in sostanza che il futuro e il presente descritto da Malerba nel suo intervento scritto rappresenti l'unica prospettiva e realtàpossibile: l'annullamento dello scrittore nel ronzio della comunicazione, l'improponibilità della scrittura dentro questo orizzonte, l'affermazione di se stessa attraverso la propria negazione. Mi sento più d'accordo con Sassi, il suo intervento mi ha molto interessato, sia perché pone il problema del senso della letteratura proprio partendo dall'interno dell'universo multimediale, sia perché contesta la tesi di una fine ineluttabile della letteratura all'interno della rivoluzione elettronica, anche se non credo, come egli dice, che sia sufficiente ad evitare questa fine l'argomento della non subordinazione ai media. Eco non si è formato a Canale 5, d'accordo, ma il lettore e scrittore del futuro avranno una formazione assai diversa da lui e da tutti noi. L'analisi va portata perciò sulle trasformazioni in atto già oggi ponendosi almeno alcuni problemi, che riguardano, ripeto, non soltanto la letteratura, ma più in generale la scrittura e il libro stesso. Ci sarebbe anzitutto da chiedersi quali conseguenze potrà avere, per esempio, a livello del linguaggio e della scrittura, appunto, il continuo movimento di articolazione e capillarizzazione e al tempo stesso di fusione e interscambio di tutti i livelli della comunicazione scritta e audiovisiva, nel quadro di una produzione sempre più integrata e multimedia/e, di una rivoluzione elettronica e di una mutazione antropologica nei consumi culturali in direzione di un consumo prevalentemente fisico-corporale. E quindi anche nel quadro di una crisi dei modi e strumenti classici di conquista della conoscenza e trasmissione del sapere, fondati sulle istituzioni scolastiche, sulla tradizione scritta, sull'apprendimento intellettuale e sulla memorizzazione. Qui si apre un lunga serie di in- . terrogativi, considerando il problema dalla parte della lettura e dalla parte della scrittura, investite entrambe dai nuovi processi. Alcuni esempi tra i molti possibili, con la piena consapevolezza di una certa loro temerarietà. Se prima il consumatore passava dal letto al visivo, un tempo dalla lettura scolastica al cinema, poi dal romanzo allo sceneggiato per esempio', nell'attuale fase di transizione egli passa sempre più dal visivo al Letto, l'esempio più semplice è il passaggio dal telefilm al libro secondo la sequenza multimediale. Ne deriva allora un diverso approccio, una diversa lettura? E in prospettiva, nel quadro di una estensione dei consumi corporali audiovisivi, ne deriverà una lettura arricchita o impoverita dal punto di vista emotivo, intellettuale, immaginario? Come influirà tutto questo, inoltre, sul riassetto delle forme dell'immaginazione espressiva e quindi anche su.Lialetteratura? Come agiranno in futuro le opposte e concomitanti ipotesi di una riduzione della letteratura scritta o della scrittura a tracciaper processi multimediali da una parte, e di un suo arricchimento creativo come fu già per il cinema da/I'altra? E nell'ipotesi più lontana e diversa di un futuro elettronico tutto scritto, sempre più dominato dalla lettura sul video, come agiranno le opposte e concomitanti esperienze di una prevalenza della scrittura strumenta/e semplificata da una parte o della formazione di uno sterminato destinatario potenziale dall'altra? Sembra quanto meno difficile ridurre tutto a un rapporto di necessaria strumentalizzazione della scrittura e letteratura dentro o da parte dell'universo multimediale, e di inevitabile emarginazione dell'una dall'altro per avere, essa letteratura, un suo senso; come pure è apparso credere più di un intervenuto in questo dibattito. Sembra quanto merlo ragionevole vedere questo orizzonte di trasformazione anche come un orizzonte dentro il quale /o·scrittore e il lettore faranno le loro specifiche e personali scelte di scrittura e destinazione. Insomma, per concludere con un'immagine facile, anche vedendo l'universo multimediale come un mare sempre più inquinato e paragonando lo scrittore o lettore all'ostrica che filtra l'acqua in cui vive, ci potremmo chiedere: questo scrittore o lettore futuro, morirà o produrrà la perla? Alberto Arbasino. Il lavoro teorico e quello critico B revissimamente. Soltanto qualche osservazione comparata con altri convegni simili a questo. In convegni più antichi, preferibilmente, sovente il lavoro teorico prendeva u.naspetto di precettistica, di ricettario, ai fini di una elaborazione concreta di letteratura (fra duecentomila virgolette, creativa) in una ·situazione pratica specifica. Questo, mi sembra, è il senso di alcuni nostri convegni ormai lontani nel tempo. Dopo, in seguito, il lavoro teorico sembrava attraversare una fase di affievolimento. lo credo che più d'uno in questa sala ricorderà i rimproveri di François Wahl a Orvieto, col dito puntato come Mosè; era in collera con tutti noi per la pochezza del «travail théorique» degli autori italiani. Attualmente, invece, l'impressione è che il lavoro teorico confini spesso con il soliloquio eccelso di anime belle d magari anche bellissime intorno a un assoluto domestico, casalingo. I nostri giovani spettatori meriterebbero qualche cosa di più e di diverso, cioè dei riferimenti forse più precisi e forse più specifici non a u.nassoluto, che poi è un assoluto individuale come dicevo, domestico e casalingo, ma forse a situazioni specifiche della letteratura italiana degli ultimi quindici anni, cioè qual è lo stato delle cose in un territorio che tutti noi conosciamo impoverito. Dopo aver ascoltato Lamaggior parte degli interventi ho notato infatti che scarsissima menzione è stata fatta di nomi, di autori, di titoli, di temi, di problemi specifici relativi a questo territorio impoverito che è la Letteraturaitaliana degli ultimi quindici anni. Per dirla tutta, sono rimasto anche un poco sorpreso che non sia stato evocato un fantasma che negli anni scorsi e anche attualmente corre:molto per le strade della nostra letteratura, cioè il ritorno della trama, del/' intreccio, del plìot; questo fantasma non è stato molto evocato. E un altro fantasma che non è stato molto evocato, benché si sarebbe forse dovuto avvertire in ciascun intervento e non in taluni rari interventi, è l'influenza dello spettacolo elettronico del telefilm su.Ilanuova letteratura dei giovani di oggi, influenza proprio nell'approccio, nelle tecniche, nella formazione, ne~'apprendistato, nella formazione della personalità e de/l'individualità. All'opposto di questo fenomeno di influenza diretta e prepotente delle tecniche del telefilm sull'immaginario che farà letteratura c'è invece l'atteggiamento opposto, quello del rifiuto e dell'opposizione al contesto mass-mediologico, all'universo elettronico e informatico: e questo rifiuto, questa opposizione mi sembra vagamente di sentire che potrebbe anche aprire la strada a una generazione di nuovi piccoli Cerone/ti... Stefano Agosti. In piena discussione S ono stato chiamato direttamente in causa da Luperini e mi dispiace dire che per la seconda volta vedo stravolto completamente il senso del mio testo. Una volta in occasione di un saggio che avevo scritto su Zanzotto, dove il critico rilevava nel mio· discorso una contraddizione, mentre era una contraddizione che io rilevavo nella fisiologia del prodotto zanzottiano, vale a dire una fisiologia dell'atomizzante, del parcellare, la quale era associata incredibilmente ad una fisiologia del compatto e del monolitico. Per quanto riguarda le affermazioni di poco fa, e cioè tutte quelle affermazioni che Luperini ha attribuito al sottoscritto, sì al sottoscritto in quanto locutore, dirò anzitutto che la linguistica distingue fra locutori ed enunciatori; ma qui non c'era neanche bisogno di questa distinzione, perché appunto figuravano gli attori del piccolo dialogo, vale a dire un redattore di Alfabeta e Mallarmé. Le citazioni che ho fatto sono tutte citazioni dai testi di Mallarmé; praticamente quel dialogo non è altro che un collage di citazioni di testi mallarméani compreso l'inizio sul cappello a cilindro (che è infatti un'intervista che è stata fatta a Mallarmé) e così tutte le altre, naturalmente manipolate leggermente per dar senso all'insieme. Per esempio «la littérature existe» (ho buona memoria, quindi le ho ritrascritte adesso di memoria ma sono testuali): «la littérature existe à I' éxception de tout»; sempre in quel piccolo brano «le livre, expansion totale de la lettre»; poi, per quanto riguarda l'oggetto e il fatto: «la notion d' objet echappant qui fait défaut»; dalla prefazione a «Un coup des dés»: «on évite le recit», quindi, si evita la storia. Che poi il discorso sul letterario si fondi sul genere lirico anche qui ci sono autori che lo confermano, e su cui mi appoggio. Nel celebre saggio continiano su Pascoli, Contini dice che appunto per sorprendere la realtà, per conoscerla, bisogn_asorprender/a in un suo momento sollecitato; considero il genere Liricoil momento più sollecitato del letterario, quindi un'analisi del genere lirico comprende tutta la realtà in quanto ne fissa, ne mette a fuoco il momento più sollecitato. Farei intanto una distinzione sul titolo del convegno; è stato detto qualcosa anche da Leonetti in questo senso; cioè farei proprio una dJstinzione tra significato e senso. E una distinzione che faccio spesso. Attribuisco a «significato» il valore semantico che viene emesso dai codici istituiti, dai codici del linguaggio comunicativo, dai codici che usiamo. E attribuisco a «senso» il valore di quel sovrappiù di lavoro sul linguaggio che viene compiuto dal letterario, dalla poesia ma anche dalla prosa, perché no? In uno di questi punti mallarméani che figurano nel mio dialogo, Ma/larmé (non il locutore ma l'enunciatore) sostiene che vi è sempre verso, là dove vi è tensione di stile. Allora per spiegare un poco meglio questa distinzione tra significato e senso, mi riferirò, non me ne voglia Luperini, ancora a Mal/armé. In un celebre brano Mal/armé distingue molto bene il lavoro del letterario dal significato che trasn:zetteil linguaggio comunicativo. E il brano famoso che poi storicamente • è stato interpretato come una posizione diciamo idealistica di Mal/armé, mentre invece si trattq di una posizione ma(erialistica. E il brano sul fiore. «A quoi bon la merveille de transposer un fait de nature en sa presque disparition vibratoire se/on le jeu de la parole, cependant; si ce n'est pour qu'en émane, sans la gene d'un proche ou concrei rappel, la notion pure. le dis: une fleur! et, hors de I' oubli où ma voix relègue aucun contour, en tani que quelque chose d'autre que /es calices sus, musica- /ement se lève, idée meme et suave, I' absente de tous bouquets. » Qui Mallarmé fissa con precisione quasi prefreudiana e addirittura prelacaniana il lavoro sul linguaggio compiuto dal letterario attraverso il lavoro dei codici, attraverso l'esistenza dei codici; non si dà produzione di senso se non appoggiata al significato. Se esaminiamo rapidamente questa b~eve citazione lo vediamo subito («A quoi bon la merveille de transposer un f ait de nature», a che pro la meraviglia di trasporre un fatto di natura «en sa presque disparition vibratoire», nella sua quasi disparizione vibrati/e); e la disparizione vibratile sarebbe il letterario. Non dice «en sa disparition», dice «en sa presque disparition»; quindi il fatto di natura non sparisce totalmente, resta agganciato a quanto lo determina come fatto di natura in quanto fermato dentro un codice, il codice culturale, il codice linguistico comunicativo. A che pro la meraviglia di trasporre un fatto di natura nella sua quasi sparizione vibratile, «se/on le jeu de la parole, cependant». Allora la disparizione vibratile, la produzione del senso, si effettua «se- /on le jeu de la parole», secondo quanto la parola permette, come istituto, di agire in quanto gioco, in quanto lavoro; «si ce n'est pour qu'en émane» se non perché ne fuoriesca, ne emani, «sans la gene d'un proche ou concret rappel», senza l'impaccio di un prossimo o concreto richiamo - il richiamo al codice, il richiamo al fatto come codificazione del sistema culturale
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